C’era una volta Salvia, in Lucania
Poi nel 1879 il re Umberto I cambiò il nome in “Savoia”, dopo che l'anarchico Giovanni Passannante – nato a Salvia – aveva tentato di ucciderlo: in paese la questione è ancora aperta, e se ne parla molto in vista delle elezioni comunali di giugno
di Angelo Mastrandrea
A Savoia di Lucania, un paese di poco più di mille abitanti in provincia di Potenza, gli abitanti continuano a chiamarsi fra loro «salviani» nonostante il Comune non si chiami più Salvia da quasi 150 anni. Pure il gonfalone del Comune ha come simbolo dal 2002 una pianta di salvia, che da queste parti cresce abbondante e spontanea. «Sono le uniche cose che ci rimangono della nostra storia, che per il resto è stata del tutto cancellata», dice Luisa Caggianese, un’impiegata comunale.
Il 3 luglio del 1879 il re Umberto I firmò infatti un decreto che disponeva di cambiare il nome del paese – appunto da “Salvia” a “Savoia” di Lucania – dopo che un anarchico nato a Salvia, Giovanni Passannante, aveva tentato di accoltellarlo durante una visita a Napoli. «Fu un’inaccettabile imposizione della monarchia, che decise di punire un’intera comunità per un reato inesistente: essere concittadini di un uomo che voleva uccidere il re», dice lo storico Giuseppe Galzerano, che ha ricostruito in un libro ricco di documenti originali l’intera vicenda, dall’attentato a Umberto I al processo a Passannante, fino alla criminalizzazione prima della sua famiglia e poi dell’intero paese.
A quasi 150 anni di distanza a Savoia di Lucania questa questione è ancora aperta e grandissima parte di quello che succede in paese ruota ancora attorno alla figura di Passannante: al punto che la valorizzazione del suo ricordo e la possibilità di ritornare al vecchio nome sono temi molto dibattuti anche nella campagna elettorale per le elezioni amministrative, per cui gli abitanti di Savoia di Lucania voteranno l’8 e il 9 giugno insieme alle elezioni europee e a molti altri Comuni italiani.
Il 17 novembre del 1878 Giovanni Passannante era a Napoli tra la folla che applaudiva al passaggio di Umberto I, della regina Margherita e del figlio, il futuro re Vittorio Emanuele III. Si avvicinò alla carrozza con la famiglia reale e colpì con un coltello il re urlando «viva la repubblica universale». La notizia fece il giro d’Europa e a Salvia i carabinieri perquisirono le case dei parenti e dei conoscenti di Passannante, che da alcuni anni si era trasferito prima a Salerno e poi a Napoli per lavorare come cuoco. Il sindaco Giovanni Parrella si precipitò a Napoli per scusarsi con la famiglia reale e i consiglieri di Umberto I gli chiesero di cambiare il nome del paese. Lui accettò senza protestare, nel giro di cinque giorni il consiglio comunale approvò la richiesta e nel luglio successivo il re firmò il decreto che ufficializzava il passaggio da Salvia a Savoia di Lucania. Nel frattempo Passannante fu arrestato e torturato in carcere. Fu condannato a morte e in seguito la pena fu trasformata in ergastolo. Morì trent’anni dopo nel manicomio di Montelupo Fiorentino, vicino a Firenze.
«Siamo cresciuti senza sapere nulla di questa storia, a scuola non ci hanno insegnato niente e a casa non se ne parlava, anche se ne pagavamo le conseguenze perché per lungo tempo siamo stati persino discriminati nei concorsi pubblici, specie in quelli nelle forze dell’ordine», racconta Carlo Cavallo, un altro impiegato comunale. Alcuni in paese pensano che i cittadini abbiano sviluppato una forma di resistenza passiva continuando a comportarsi come se il paese si chiamasse ancora Salvia, altri ritengono che abbiano continuato a chiamarsi fra loro «salviani» per abitudine e altri ancora sostengono che gli abitanti dei paesi vicini li conoscevano così e non hanno mai davvero cominciato a chiamarli in modo diverso. «La verità è che non abbiamo mai accettato di chiamarci savoiardi», dice ancora Cavallo.
Al comitato pro Salvia ritengono che sia ora di risolvere quella che considerano «una colossale ingiustizia», ridando al paese il suo vecchio nome. Qualche anno fa hanno provato a indire un referendum cittadino per «chiedere ai nostri concittadini cosa ne pensavano», dice Michele Parrella, uno dei promotori. La consultazione non si è mai tenuta perché, una volta raccolte le 150 firme necessarie, la giunta avrebbe dovuto approvare un regolamento attuativo dello Statuto comunale e la sindaca Rosina Ricciardi si è sempre opposta. Ricciardi, che fu eletta per la prima volta nel 1994 con il Partito Popolare e si dice ancora «democristiana», è stata accusata di aver aderito alle richieste del comitato pro Savoia – affiliato all’Unione monarchica italiana – che si oppone al cambio del nome.
Lei però sostiene che sia una questione molto pratica. «Se passasse il cambio del nome dovremmo cambiare tutte le carte d’identità e la toponomastica, e non abbiamo i soldi per farlo», dice nel suo ufficio, dove accanto al ritratto del presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha affisso una foto di Emanuele Filiberto di Savoia, l’ultimo discendente della famiglia reale. «Me l’ha regalata lui quando è venuto a trovarci, qualche anno fa dopo il rientro dall’esilio», racconta.
Ricciardi si è ricandidata alle elezioni comunali di giugno grazie alla legge che ha eliminato il numero di mandati per i comuni sotto i cinquemila abitanti. È stata sindaca per quattro volte e vicesindaca per altre due, e per esperienza sa bene che, nonostante la situazione ora sia tranquilla, basta poco per far riemergere l’antica questione del nome del paese.
Anche il candidato rivale Rocco Mastroberti, un trentenne rientrato dagli Stati Uniti dove ha studiato e dove lavorava come ingegnere biomedico all’Università della California di Los Angeles, sa che sul tema «esistono due schieramenti molto polarizzati» e rinvia la questione a dopo il voto. Mastroberti ha un’idea molto partecipativa della politica locale e dice che, se sarà eletto, organizzerà delle assemblee pubbliche e nel caso anche un referendum, «per far decidere ai cittadini». Ha incentrato la campagna elettorale in particolare sul tema del turismo, che a suo parere potrebbe portare nuovi posti di lavoro e combattere lo spopolamento del paese. «Abbiamo tre cose che possono essere valorizzate: le cascate, il museo e la storia di Passannante, che va conosciuta al di là di come la si pensi», dice.
Ricciardi ricorda che il giorno in cui fu eletta per la prima volta in consiglio comunale, nel 1994, il primo nome che sentì pronunciare fu proprio quello di Passannante. All’epoca, una parte della popolazione chiedeva il ritorno in paese del cranio e della teca con il cervello dell’anarchico conservato nella formalina, esposte nel Museo criminologico di via Giulia a Roma. Nel 2007, dopo una mobilitazione che superò i confini del comune e coinvolse persone note nel campo della letteratura, della musica e del teatro tra cui Dario Fo, Erri De Luca e Francesco Guccini, i resti furono riportati nel luogo di nascita. Il trasporto avvenne in gran segreto «per ragioni di ordine pubblico», ma quando si venne a sapere dell’arrivo ci furono proteste da una parte e dall’altra. Un sostenitore di Passannante si incatenò all’ingresso del cimitero chiedendo che prima della tumulazione le spoglie fossero portate in giro per il paese. Negli stessi giorni fu annullato pure, per ragioni di sicurezza, un incontro pubblico con Emanuele Filiberto. Dopo di allora, la lapide dell’anarchico è stata sfregiata più di una volta e il Comune ha deciso di non ripararla più.
Nel 2023 a Savoia di Lucania sono nati appena tre bambini, non c’è l’asilo nido e le scuole rimangono aperte con le pluriclassi, cioè classi che comprendono alunni di diverse annate, perché non ce ne sono abbastanza per comporre una classe per ogni annata. «Quando sono stata eletta per la prima volta gli abitanti erano 1.500, ora rischiamo di scendere sotto i mille, i giovani vanno via per studiare e non tornano, molti vanno a lavorare fuori e neppure i matrimoni si fanno più qui», dice Ricciardi.
A suo parere, la figura di Passannante può diventare «una risorsa» per un paese che rischia lo spopolamento. I giovani lo considerano una sorta di eroe locale e citano frasi celebri come «la maggioranza che si rassegna è colpevole, la minoranza ha il diritto di richiamarla». Il suo volto è diventato un’icona e si trova ovunque, dipinto sui muri o davanti al bar della piazza che gli è stato intitolato. Un artista locale, Luciano La Torre, gli ha dedicato una serie di murales che ricordano l’attentato e la prigionia.
Il Comune ha ottenuto 700mila euro dal ministero della Cultura e altri 300mila dalla Regione Basilicata per un museo multimediale intitolato a Passannante e aperto all’interno del castello. In una «sala immersiva» si proiettano fotogrammi d’epoca e frammenti di film e documentari, mentre si ascolta la voce dell’attore teatrale Ulderico Pesce raccontare la storia di Passannante. Dopo la morte nel manicomio di Montelupo Fiorentino, Passannante fu decapitato e il suo cervello, conservato in una teca nella formalina, divenne oggetto di studi per individuare le cause di quella che in base alle teorie del medico, antropologo e criminologo Cesare Lombroso era considerata una sua «devianza».
I sostenitori del ritorno al nome Salvia però dicono che «la figura di Passannante non può essere ridotta a un’attrazione turistica». Secondo loro per risolvere quest’annosa questione l’unico modo è cambiare il nome del paese, per tornare a quello vecchio. Secondo Parrella del comitato pro Salvia la questione dei costi non è rilevante come sostiene la sindaca Ricciardi. «Una situazione del genere è inaccettabile per l’Italia repubblicana e non può essere derubricata a una bega di paese», conclude.