Chi era Ebrahim Raisi, il presidente ultraconservatore dell’Iran
Era molto vicino alla Guida Suprema dell'Iran, Ali Khamenei, il leader assoluto del paese, di cui era considerato il potenziale successore
Ebrahim Raisi, il presidente dell’Iran morto domenica in un incidente in elicottero, aveva 63 anni ed era presidente dal 2021, quando vinse le elezioni ottenendo 17,9 milioni di preferenze, il 62 per cento del totale, secondo i dati del ministero dell’Interno. Era espressione della componente ultraconservatrice della politica iraniana ed era considerato molto vicino alla Guida Suprema dell’Iran, Ali Khamenei, il leader assoluto dell’Iran e rappresentante della fazione più radicale del regime, di cui era anche accreditato come potenziale successore.
Raisi aveva avuto vari ruoli nella Repubblica Islamica dell’Iran, fino a diventare capo del sistema giudiziario del paese nel 2019. Già allora la sua nomina venne considerata una svolta in senso ulteriormente conservatore del regime. Nel 1988, alla fine della guerra che l’Iran stava combattendo contro l’Iraq e dieci anni dopo la rivoluzione khomeinista, fece parte di una delle cosiddette “commissioni della morte” che ordinarono esecuzioni di massa di migliaia di prigionieri politici e combattenti nemici. Quelle esecuzioni durarono cinque mesi, e non fu mai possibile stimare con certezza il numero dei morti, comunque nell’ordine delle migliaia.
Da quando era presidente il regime iraniano aveva attuato una repressione feroce e violenta del dissenso, in particolare dopo le proteste di piazza iniziate in seguito alla morte di Mahsa Amini.
Amini era una donna di 22 anni morta il 16 settembre del 2022 a Teheran dopo essere stata arrestata dalla polizia religiosa per non avere indossato correttamente il velo islamico, o hijab, come prescritto dalle leggi iraniane. Si stima che negli scontri siano stati uccisi almeno 500 manifestanti, migliaia siano stati feriti e almeno 20mila arrestati, con ricorrenti testimonianze di abusi, torture e stupri nelle carceri e nei centri di detenzione. Sette degli arrestati sono stati condannati a morte, per impiccagione.
L’Iran di Raisi aveva anche ripreso il proprio programma nucleare militare, dopo il ritiro degli Stati Uniti dallo storico accordo del 2015, che limitava le possibilità per l’Iran di sviluppare la tecnologia per la creazione di un’arma nucleare in cambio della rimozione di alcune sanzioni internazionali imposte sull’economia iraniana.
L’accordo era stato cancellato dall’allora presidente americano Donald Trump, ma l’Iran aveva comunque mantenuto alcuni suoi elementi nella speranza di poterlo riattivare una volta che Trump avesse lasciato la presidenza. Con le elezioni del 2021, però, al presidente moderato Hassan Rouhani, che aveva fatto dell’accordo sul nucleare uno dei più importanti obiettivi del suo mandato, era subentrato proprio Raisi, che nel corso dei negoziati degli ultimi anni per tornare sull’accordo aveva sempre mantenuto posizioni molto intransigenti, contribuendo ad alimentare una profonda diffidenza reciproca tra le due parti.
Che sotto la presidenza di Raisi l’Iran avesse ripreso il programma nucleare è un fatto accertato, ma che lui ufficialmente aveva sempre negato, bloccando ogni possibile ispezione internazionale. Aveva poi finanziato e addestrato vari gruppi militari radicali sciiti per aumentare la propria influenza nell’area mediorientale. In politica estera aveva intensificato i rapporti commerciali e la collaborazione con Russia e Cina e ristabilito rapporti diplomatici con l’Arabia Saudita.