Benny Gantz minaccia di dimettersi dal gabinetto di guerra israeliano
Ha dato tre settimane al primo ministro Benjamin Netanyahu per fare un piano sulla fine della guerra nella Striscia di Gaza, altrimenti dice che ritirerà il suo sostegno al governo
Sabato sera Benny Gantz, membro del “gabinetto di guerra” di Israele in cui vengono prese le decisioni strategiche sulla guerra nella Striscia di Gaza, ha tenuto una conferenza stampa in cui ha attaccato direttamente il primo ministro Benjamin Netanyahu per come sta conducendo la guerra, minacciando di dimettersi e lasciare il governo di unità nazionale se non definirà un piano per terminarla, e a certe specifiche condizioni. Gantz ha insomma minacciato di far cadere il governo di unità nazionale e ha fissato anche una data entro la quale Netanyahu dovrebbe adeguarsi alle sue richieste: l’8 giugno, fra tre settimane.
Gantz è l’ex capo di stato maggiore dell’esercito israeliano e politicamente è da tempo uno dei principali leader dell’opposizione a Netanyahu, ma pochi giorni dopo l’attacco del gruppo radicale palestinese Hamas in territorio israeliano del 7 ottobre 2023 accettò di far entrare il suo partito (il centrista Blu e Bianco) in un governo di unità nazionale guidato proprio da Netanyahu. Allo stesso tempo Gantz entrò a far parte del gabinetto di guerra, che è composto da sei membri: tre a pieno titolo, cioè Netanyahu, Gantz e il ministro della Difesa Yoav Gallant; e tre osservatori che hanno funzioni di consiglieri.
Prima di Gantz, qualche giorno fa anche Gallant aveva molto criticato Netanyahu per ragioni simili: in questo momento quindi fra le tre persone di maggior peso nelle decisioni di Israele sulla guerra nella Striscia di Gaza, due sono fortemente in disaccordo con la terza, che è anche il primo ministro del paese. Quello che sia Gallant che Gantz imputano a Netanyahu, anche se in modi un po’ diversi, è di non avere una strategia chiara sulla guerra e su come debba finire. In generale in Israele c’è ormai da tempo una crescente insoddisfazione nei confronti di Netanyahu, accusato di essere molto lontano da entrambi gli obiettivi che si era fissato con questa guerra: riportare in Israele gli ostaggi rapiti da Hamas il 7 ottobre e distruggere definitivamente Hamas.
Gantz ha elencato sei obiettivi strategici che Netanyahu dovrebbe approvare entro l’8 giugno se vuole evitare di perdere il suo sostegno al governo, i più decisivi dei quali sono: il recupero degli ostaggi israeliani e stranieri dalla Striscia di Gaza; il superamento del governo di Hamas e la demilitarizzazione della Striscia; l’istituzione di un ente che governi la Striscia a gestione statunitense, europea, araba e palestinese che ponga le basi per un nuovo governo a lungo termine.
Gantz chiede poi che vengano fatti tornare nelle proprie case gli israeliani che avevano evacuato il nord del paese al confine col Libano (per via degli scontri col gruppo armato libanese Hezbollah, alleato di Hamas) e il ripristino delle comunità al confine con la Striscia di Gaza, cioè quelle più colpite negli attacchi del 7 ottobre, oltre a una normalizzazione dei rapporti con l’Arabia Saudita.
«Primo ministro Netanyahu, stasera ti guardo negli occhi e ti dico: la scelta è nelle tue mani», ha detto Gantz durante la conferenza. Poi ha aggiunto: «Il popolo israeliano ti sta osservando. Devi decidere tra sionismo e cinismo, tra unità e divisione, tra responsabilità e illegalità. E tra la vittoria e il disastro».
Dopo la conferenza di Gantz l’ufficio del primo ministro ha diffuso un comunicato in cui rispondeva direttamente alle accuse dicendo: «Mentre i nostri eroici soldati stanno combattendo per distruggere le milizie di Hamas a Rafah, Gantz sceglie di dare un ultimatum al primo ministro invece di darlo ad Hamas». Secondo Netanyahu le condizioni chieste da Gantz sono «parole riciclate» che implicherebbero «la fine della guerra e una sconfitta per Israele», oltre che «l’abbandono della maggior parte degli ostaggi» e il mantenimento del governo di Hamas nella Striscia.
Sul campo l’esercito israeliano si sta scontrando con Hamas a Rafah, a sud, ma nel frattempo ha ripreso in modo consistente anche le operazioni al nord, dove in teoria doveva aver smantellato Hamas già qualche mese fa: questa circostanza ha alimentato le convinzioni di chi crede che Netanyahu non stia raggiungendo i suoi obiettivi e non sappia bene come proseguire la guerra. Degli ostaggi ancora nella Striscia di Gaza, invece, al momento non si sa dove siano né quanti siano vivi: solo due giorni fa per esempio l’esercito israeliano ha recuperato i corpi di tre ostaggi morti durante un’operazione al nord.
Nella conferenza stampa che aveva a sua volta tenuto qualche giorno fa, anche Gallant aveva avuto toni simili a quelli di Gantz nei confronti di Netanyahu: aveva detto che «la fine della campagna militare è una decisione politica», implicando quindi che Netanyahu possa terminarla, se vuole, e che si opporrà alla creazione di un governo militare controllato da Israele nella Striscia. Anche lui in modo simile a Gantz sostiene la necessità di un ente palestinese che instauri un governo alternativo a quello di Hamas insieme agli organismi internazionali.
Oltre a quelle di Gantz e Gallant, Netanyahu riceve pressioni anche da parte dei membri di estrema destra del suo governo, che hanno un approccio molto radicale alla guerra e sostengono sia necessario continuare a occupare la Striscia per smantellare del tutto Hamas. Il ministro della Sicurezza pubblica Itamar Ben-Gvir, uno dei membri considerati più estremisti nel governo di Netanyahu, dopo la conferenza di Gantz lo ha definito per esempio «un piccolo leader e una grande truffa».
Netanyahu teme che la fine della guerra significhi anche la fine del suo governo, mentre Gantz ha tutto da guadagnarci: i consensi di Netanyahu nei sondaggi sono in calo da mesi, al contrario di quelli di Gantz che sono in crescita. A marzo Gantz era stato invitato dall’amministrazione del presidente Joe Biden negli Stati Uniti, dove aveva incontrato la vicepresidente Kamala Harris, ad aprile aveva chiesto elezioni anticipate per il prossimo settembre.
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