«Ma secondo voi, io come mangio? Come bevo? Come mi lavo?»

A un'altra persona con una patologia irreversibile e degenerativa è stato negato il ricorso alla morte assistita perché secondo le autorità non è tenuta in vita da «trattamenti di sostegno vitale»

(Martina Oppelli nell'appello diffuso sul canale YouTube dell'Associazione Luca Coscioni)
(Martina Oppelli nell'appello diffuso sul canale YouTube dell'Associazione Luca Coscioni)
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Nel fine settimana una donna triestina di 49 anni tetraplegica, Martina Oppelli, ha diffuso un appello in cui ha denunciato il diniego ricevuto dalla sua regione per il ricorso alla morte assistita, la pratica con cui a determinate condizioni ci si autosomministra un farmaco letale. Oppelli, che è affetta da una patologia neurodegenerativa progressiva, ha detto di averne fatto richiesta la scorsa estate, e che il comitato etico della sua regione glielo ha impedito sostenendo che non fosse tenuta in vita da «trattamenti di sostegno vitale», come per esempio un ventilatore o un respiratore meccanico.

Oppelli ha detto che, pur non essendo tenuta in vita da macchinari del genere, ha bisogno costante di assistenza fisica per compiere qualsiasi gesto, e di non poter sopravvivere senza. «Ma secondo voi, io come mangio? Come bevo? Come mi lavo? Come vado in bagno? Come sopravvivo, come assumo i farmaci?», ha detto rivolgendosi al Senato, dove da tempo è ferma una proposta di legge per regolamentare il cosiddetto fine vita (cioè l’insieme delle pratiche e dei trattamenti relativi alla morte e al periodo che la precede, compresa la possibilità per le persone di decidere come debba avvenire). L’appello di Oppelli è stato diffuso dall’Associazione Luca Coscioni, che da anni promuove la libertà di scelta sul fine vita.

In Italia la morte assistita è legale grazie a una sentenza della Corte Costituzionale del 2019, che l’ha depenalizzata ad alcune condizioni dopo anni di iniziative, appelli e infine disobbedienze civili. Non è però mai stata approvata una legge che definisca in modo chiaro tempi e modalità di attuazione di questa pratica, né a livello nazionale né a livello locale, nonostante ripetuti inviti da parte della stessa Corte: è un vuoto normativo che dal 2019 ha continuato a provocare intense sofferenze in molte persone che hanno cercato di ricorrere a questa pratica.

Nel frattempo ogni caso è stato affidato volta per volta alla gestione delle singole aziende sanitarie locali, con svariati problemi. Per colmare questo vuoto alcune regioni stanno anche cercando di dotarsi di leggi autonome, nella maggior parte dei casi attraverso una proposta di legge regionale elaborata proprio dall’Associazione Luca Coscioni.

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Oppelli è un’architetta, e ha detto di essere tetraplegica dal 2012 per via della sua malattia, che ha definito «devastante». Ha detto che in tutti questi anni, quasi «un quarto di secolo», ha lavorato, utilizzando i comandi vocali, anche per mantenere l’assistenza di cui aveva bisogno, in aggiunta ai servizi pubblici garantiti che nella sua regione, il Friuli Venezia Giulia, «funzionano molto bene». Oppelli ha detto di essere ora «esausta», di aver «perso la voglia di andare avanti», e di voler quindi porre fine alla propria vita nel modo in cui lo ha scelto. A questo proposito Oppelli ha detto di «aborrire» il termine “suicidio assistito” e di preferire “buona morte”: «non sono una suicida, altrimenti non sarei qui a parlarvi».

Il requisito dei «trattamenti di sostegno vitale», quello sulla base del quale a Oppelli è stato negato l’accesso alla morte assistita, è uno di quelli previsti dalla sentenza del 2019 della Corte Costituzionale, nota anche come “sentenza Cappato”. La Corte ha stabilito che è legale ricorrere a una morte assistita se sussistono contemporaneamente quattro requisiti: il fatto che la persona che fa richiesta sia in grado di prendere decisioni libere e consapevoli, che sia affetta da una patologia irreversibile, che questa patologia sia fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ritiene intollerabili (un criterio estremamente soggettivo e individuale), e, appunto, che sia «tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale».

Finora le autorità sanitarie delle varie regioni italiane hanno interpretato l’ultimo requisito, quello dei trattamenti di sostegno vitale, in modo restrittivo, riferendosi a macchinari come ventilatori o respiratori. Ma un’importante sentenza ha esteso questa definizione anche ad altri trattamenti sanitari, per esempio farmacologici, che se interrotti possono portare alla morte del paziente. Più in generale l’interpretazione del quarto requisito è molto discussa tra i giuristi che finora si sono occupati della questione, con varie critiche rispetto a una sua interpretazione restrittiva, sia di per sé che rispetto alla fondatezza dei limiti che pone nella libertà di pazienti terminali che vogliano ricorrere alla morte assistita. Tra gli altri anche il Comitato nazionale di bioetica ha definito il requisito «discriminazione irragionevole e incostituzionale».

Il requisito dei trattamenti di sostegno vitale è stato anche al centro degli ultimi casi di disobbedienza civile sulla morte assistita: alcuni pazienti terminali che volevano ricorrere a morte assistita ma non erano tenuti in vita da respiratori o ventilatori meccanici sono stati accompagnati all’estero per poterlo fare, da persone che una volta tornate si sono autodenunciate per aiuto al suicidio. È il reato previsto dall’articolo 580 del codice penale italiano, che punisce «chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione». Finora tre procure (Milano, Bologna e Firenze) hanno chiesto l’archiviazione, nel caso di Firenze rimandando nuovamente la questione alla Corte Costituzionale, che non si è ancora espressa.

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