Stormy Daniels, 26 anni dopo Monica Lewinsky
Il processo contro Donald Trump ricorda sotto alcuni aspetti lo scandalo che coinvolse Bill Clinton: ma l'atteggiamento della società e dei media nei confronti delle due protagoniste è diverso
L’attrice di film porno Stormy Daniels è una figura centrale del processo in corso a Manhattan in cui è imputato l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump. I capi d’accusa che possono costare a Trump quattro anni di carcere non sono legati direttamente al rapporto sessuale che i due avrebbero avuto nel 2006 (e che Trump nega), ma quel rapporto è finito per essere al centro della narrazione del processo, del gossip e delle attenzioni dei media.
Per molti versi il processo attuale ricorda il celebre “caso Monica Lewinsky”, la stagista della Casa Bianca con cui il presidente Bill Clinton ebbe una prolungata relazione. In comune hanno sesso, enormi attenzioni dei media e presidenti sotto accusa, seppur in condizioni molto diverse: Clinton nel 1998 fu posto sotto impeachment e lo superò, Trump è il primo ex presidente a essere imputato in un processo penale.
Molto diversi sono però l’atteggiamento e il trattamento da parte dell’opinione pubblica e dei media nei confronti delle donne coinvolte in questi scandali: Lewinsky finì con l’essere travolta da attenzioni, interessi morbosi e battute nei programmi televisivi, e divenne oggetto di attacchi pubblici e umiliazioni, che segnarono la sua vita negli anni successivi. Stormy Daniels invece è finora riuscita a difendersi meglio dalla morbosità dei media e del sistema politico statunitense, per vari motivi.
Daniels ha 45 anni, contro i 25 di Lewinsky al tempo, una lunga esperienza nel complesso mondo dei film porno e molta più voglia e occasioni di far valere il suo punto di vista. Durante il processo ha mostrato un atteggiamento consapevole, mai imbarazzato e pronto a reagire agli attacchi, che sono arrivati soprattutto dagli avvocati della difesa interessati a screditarla. Rispetto al 1998, poi, sono cambiati molto anche i tempi e le attenzioni nel trattare questioni che coinvolgono le donne e le relazioni sessuali e di potere, anche grazie al movimento #metoo.
Il caso Lewinsky fu al centro delle attenzioni dei media per oltre un anno, dal gennaio 1998 al febbraio 1999: le rivelazioni sulla relazione sessuale consensuale fra la stagista della Casa Bianca e Clinton furono l’argomento principale di news, programmi di approfondimento, show televisivi e programmi comici. Lo scandalo ebbe una forte connotazione moralista, anche perché non c’erano in ballo grossi reati: Clinton fu accusato soltanto di aver mentito in contesti ufficiali sulla sua relazione. Per questo gran parte del dibattito si concentrò sulla moralità del suo rapporto extraconiugale, con conseguenze estremamente pesanti per Lewinsky.
Lewinsky in seguito disse di essere stata «probabilmente la prima persona la cui umiliazione globale è stata causata da internet». Molto giovane, senza un’identità pubblica precedente allo scandalo a cui ritornare, ebbe problemi da stress post-traumatico, pensò al suicidio e faticò a trovare altri lavori per l’estrema notorietà del suo caso. Solo nel 2014 fu in grado di raccontare la sua esperienza, ed è diventata una attivista contro bullismo e umiliazioni pubbliche.
Durante lo scandalo, Lewinsky non parlò mai pubblicamente e quando lo fece davanti alla commissione d’inchiesta e poi al gran giurì finì per doversi difendere da domande che di fatto la facevano apparire come un’imputata. Per mesi i programmi televisivi si soffermarono sul suo vestito macchiato, i comici facevano battute sulla sua forma fisica, mentre in un articolo poi rimosso il Wall Street Journal la definì “little tart”, un termine dispregiativo per indicare una prostituta.
Al contrario, Stormy Daniels appare abituata a rivendicare la propria professione e a respingere accuse e potenziali offese: anche sui social network, dove è molto attiva. Hinda Mandell, docente universitaria e autrice di Sex Scandals, Gender, and Power in Contemporary American Politics, ha detto a BBC News: «Non si vergogna e questo le dà del potere. Vuole essere lei a raccontare la sua storia».
Durante il processo, Stormy Daniels ha raccontato con molti particolari e con una certa serenità come avrebbe conosciuto Donald Trump, l’invito a cena nel suo hotel, il seguente rapporto sessuale e poi i saltuari contatti successivi. Gli avvocati della difesa hanno provato a mettere in dubbio la sua versione e a presentarla alla giuria come poco credibile e motivata solo dalla volontà di ottenere denaro. Daniels non è mai sembrata andare in difficoltà, e ha risposto alle obiezioni spesso in modo brillante, o contrattaccando. Gli avvocati l’hanno interrogata sul nome di uno dei suoi tour, “Make America Horny Again” (gioco di parole sullo slogan di Trump, dove horny, “eccitata”, sostituiva great), senza ottenere granché: «Non ho scelto io quel titolo, e nemmeno mi piaceva», ha detto.
Nel suo store online vende candele con la sua immagine vestita a tema biblico: l’avvocato di Trump ha definito l’operazione commerciale “disturbante”. Lei ha avuto una risposta pronta: «Non è diverso da quello che fa Trump», riferendosi all’edizione “MAGA” della Bibbia che vende l’ex presidente. Quando una legale le ha detto «Quindi lei è abituata a far sembrare vere scene di sesso finte?», lei ha ribattuto: «Il sesso nei miei film porno è vero, come quello avvenuto nella stanza con Trump. E comunque se l’avessi scritta, quella scena, l’avrei fatta molto migliore».
A essere diverse non sono solo le personalità di Daniels e Lewinsky, ma soprattutto la società e il mondo mediatico attuale rispetto a quello di 25 anni fa. Nonostante in entrambi i casi i rapporti siano stati definiti consensuali, la sensibilizzazione innescata dal movimento #metoo ha cambiato le condizioni in cui ci si relaziona con i temi del sesso e con i racconti e le testimonianze delle donne. Alcuni eccessi dei media degli anni Novanta non potrebbero più essere tollerati oggi, così come molte delle battute degli show comici che avevano come oggetto Lewinsky o altre donne in casi analoghi, pur con minore risonanza mediatica.