Che posto è la Nuova Caledonia
È un arcipelago in Oceania diventato francese nel 1853, molto diviso a livello sociale fra indigeni e europei, dipendente a livello economico dal nichel e alle prese con una profonda crisi del settore industriale
In Nuova Caledonia proseguirà anche nel weekend lo stato di emergenza proclamato dal governo francese, in risposta alle grandi proteste che hanno causato al momento cinque morti (fra cui due poliziotti), decine di feriti, centinaia di arresti e molti incendi dolosi di aziende e negozi. La Nuova Caledonia è un arcipelago in Oceania che dal 1853 si trova sotto il controllo della Francia, dal 1946 con lo status di “territorio d’oltremare francese”, ossia un’ex colonia che ora si amministra in modo semi-indipendente, pur trovandosi ancora sotto la sovranità dello stato francese.
La rivolta violenta è stata organizzata dal cosiddetto “fronte indipendentista” per contestare una riforma costituzionale che potrebbe diminuire il peso delle popolazioni indigene nella politica locale. Ma da decenni la questione dell’indipendenza dell’arcipelago e la questione della popolazione indigena Kanak sono al centro di dispute politiche, che si sono trasformate in più occasioni in insurrezioni violente.
La società della Nuova Caledonia è fortemente divisa fra una componente kanaka discendente dei primi abitanti dell’isola, un tempo maggioritaria e che ora è il 40 per cento del totale, e una “europea”, cioè i discendenti dei coloni e i nuovi immigrati, per lo più dalla Francia. La divisione è rappresentata anche geograficamente: le province del nord sono a maggioranza kanaka, quelle meridionali che comprendono la capitale Nouméa sono abitate soprattutto da persone di origine europea, anche definite “lealisti” o “caldoches” (un termine vagamente dispregiativo coniato dalle popolazioni indigene).
Nel complesso la Nuova Caledonia è piuttosto piccola: ha una superficie totale inferiore a quella della Sardegna e poco più di 270mila abitanti. Si trova a 24 ore di volo da Parigi e circa 1.500 chilometri a est dell’Australia. Fu chiamata così dall’esploratore britannico James Cook nel 1774, perché gli ricordava la Scozia (Caledonia era il nome latino di una parte della Scozia). La sua collocazione geografica nel Pacifico l’ha resa strategicamente importante: nel Diciannovesimo secolo la Francia la occupò per difendere i suoi interessi coloniali nell’area dai rivali inglesi e olandesi, oggi è considerata importante all’interno delle crescenti tensioni nella regione, dove la Cina e gli Stati Uniti stanno cercando di consolidare o aumentare la propria influenza.
La Nuova Caledonia non è un arcipelago povero: il PIL pro capite è decisamente superiore a quello dei paesi dell’area, ma le differenze sociali interne sono consistenti. L’economia del territorio dipende quasi completamente dall’industria dell’estrazione del nichel, di cui la Nuova Caledonia è il terzo produttore al mondo. Il nichel è utilizzato nelle leghe d’acciaio e per le batterie elettriche: nonostante la domanda sia in crescita, la diminuzione dei prezzi degli ultimi anni, dovuti anche a una crescita produttiva in Indonesia, ha causato una profonda crisi industriale nel paese, che ha colpito soprattutto le popolazioni Kanak.
La Francia occupò la Nuova Caledonia nel 1853 su ordine di Napoleone III anche alla ricerca di un luogo abbastanza lontano per istituirvi una o più colonie penali, cioè prigioni in cui i detenuti sono costretti a lavori forzati: la popolazione locale allora viveva di agricoltura, allevamento e pesca. Un anno dopo venne fondato l’attuale capoluogo, dieci anni dopo le prigioni iniziarono a entrare in attività e ospitarono oltre 20mila reclusi fino a fine secolo, fra cui migliaia di prigionieri politici, molti provenienti dalla repressione della Comune di Parigi nel 1871 (cioè la forma di autogoverno socialista e anarchico con cui fu gestita Parigi per poco più di tre mesi di quell’anno). Alcuni tentativi di insurrezione kanaka furono repressi.
Nel 1946 la colonia assunse lo status di territorio d’oltremare, con maggiore indipendenza rispetto ad altri: a partire dagli anni Sessanta iniziò l’estrazione del nichel, che divenne presto la principale attività economica dell’arcipelago. Il potere politico rimase però alla Francia. Nell’arcipelago furono dominanti sempre le formazioni di destra. Nel 1984 una coalizione di partiti indipendentisti kanaki creò il Fronte di liberazione kanako e socialista (FLNKS), che dichiarò unilateralmente l’indipendenza, boicottò le elezioni locali e iniziò alcune proteste violente, anche con l’assedio di alcune città minerarie. Gli scontri presero la forma di una guerra civile a bassa intensità, durata 4 anni (fino al 1988), che causò oltre ottanta morti.
Il FLNKS accettò nel 1988 un dialogo e firmò col governo francese un patto trentennale che definì un percorso verso un referendum per l’indipendenza e favorì un riequilibrio politico, sociale, economico e territoriale a favore dei Kanak. Dal 2018 al 2021 si sono svolti effettivamente tre referendum sull’indipendenza, tutti vinti da chi voleva restare nella Francia. L’esito dell’ultimo referendum non era stato accettato dagli indigeni Kanak, che avevano boicottato il voto perché si era svolto durante la pandemia da coronavirus: vinse il “no” all’indipendenza con il 96 per cento dei voti.
Nel frattempo nelle regioni settentrionali dell’isola principale, fino all’inizio degli anni Duemila occupate per lo più da foreste e laghi, fu creato un enorme polo industriale, che oggi conta quasi 4.000 diverse aziende. I cantieri furono enormi e portarono sull’isola più di 6.500 lavoratori, venuti principalmente da Filippine, India e Canada, ma anche da molti altri paesi. Le aziende hanno dato lavoro alla maggioranza Kanak dell’area, ma hanno anche profondamente trasformato la regione. La comunità indigena possiede spesso il 51 per cento delle aziende, ma negli ultimi anni molti dei partner internazionali hanno annunciato un disimpegno, di fronte a una riduzione dei profitti e in certi casi all’accumulo di ingenti perdite. Nel 2023 il prezzo del nichel è sceso del 45 per cento, causando grossi problemi alle tre aziende principali, la cui situazione economica era già stata complicata dalla crescita dei prezzi dell’energia.
La riduzione della produzione o la chiusura delle fabbriche ha causato un generale peggioramento delle condizioni economiche dei Kanak, che già in precedenza erano più poveri e notevolmente meno istruiti delle altre componenti della società della Nuova Caledonia. Le crescenti tensioni sociali si sono quindi trasformate in aperta rivolta in corrispondenza della discussione nel parlamento francese della riforma costituzionale, che ampliando il diritto di voto ai nuovi residenti nell’arcipelago potrebbe diminuire ulteriormente il peso delle popolazioni indigene nella politica locale.