Le critiche al governo italiano per la mancata adesione a una dichiarazione europea sui diritti della comunità LGBT+
Era un documento perlopiù simbolico, l'Italia non lo ha firmato insieme ad altri 8 paesi e ne è nata una polemica politica
Venerdì sera si è saputo che l’Italia non ha aderito a una dichiarazione del Consiglio dell’Unione Europea che aveva l’obiettivo di promuovere nei paesi membri politiche di uguaglianza e rispetto dei diritti umani verso le persone della comunità LGBT+. Ne sono nate molte critiche al governo italiano di Giorgia Meloni, soprattutto da membri dei partiti dell’opposizione.
Il Consiglio dell’Unione Europea è l’organo in cui sono rappresentati i governi dei 27 paesi membri e detiene il potere legislativo insieme al parlamento. La dichiarazione era stata proposta dalla presidenza di turno belga in occasione della Giornata mondiale contro l’omofobia, la transfobia e la bifobia: è un documento dal valore perlopiù simbolico e senza particolari effetti concreti, che ribadisce concetti e valori già affermati in diversi trattati europei. Decidere di non aderire è insomma una presa di posizione politica, più che il tentativo di evitare imposizioni di qualche tipo: non hanno firmato il documento Italia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Croazia, Lituania, Lettonia, Repubblica Ceca e Slovacchia, 9 paesi su 27.
L’agenzia di stampa Ansa ha contattato il ministero della Famiglia e delle Pari opportunità, competente sul tema, per chiedere come mai l’Italia abbia deciso di non aderire alla dichiarazione: fonti del ministero, ma non direttamente la ministra Eugenia Roccella, hanno riferito che il motivo è che la dichiarazione sarebbe troppo «sbilanciata sull’identità di genere, quindi ricalcherebbe fondamentalmente il contenuto della legge Zan».
Il disegno di legge (ddl) Zan è una proposta di legge di cui si è parlato molto negli ultimi anni ma mai approvata dal parlamento, che prende il nome dal deputato del Partito Democratico che l’aveva avanzata, Alessandro Zan. Il PD era stato il principale partito promotore della legge, insieme al Movimento 5 Stelle, mentre la destra l’aveva fortemente osteggiata. Il disegno di legge interveniva su due articoli del codice penale e ampliava la cosiddetta legge Mancino inserendo accanto alle discriminazioni per razza, etnia e religione (già contemplate) anche le discriminazioni per sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere e disabilità. Introduceva poi una serie di azioni per prevenirle.
A differenza della dichiarazione del Consiglio dell’Unione Europea, insomma, interveniva su materie giuridiche specifiche e avrebbe introdotto modifiche al codice penale italiano: la destra infatti per criticarlo aveva sempre sostenuto che il ddl Zan minacciasse la libertà di opinione e che in più non fosse necessario, perché i reati di omotransfobia rientrano già in un’aggravante comune del codice penale.
La dichiarazione del Consiglio invece contiene varie richieste di impegno su temi molto generici per «il continuo avanzamento dei diritti umani delle persone LGBTIQ in Europa». Tra questi ci sono, per esempio: l’«impegno a promuovere l’uguaglianza e a prevenire e combattere la discriminazione, in particolare sulla base dell’identità di genere»; «far progredire ulteriormente la protezione legale e il riconoscimento dei diritti fondamentali delle persone LGBTIQ»; «impegnarsi a continuare a sostenere il lavoro di accettazione sociale delle persone LGBTIQ»; insieme ad altri impegni simili (il testo integrale si può leggere qui).
La segretaria del PD, Elly Schlein, ha criticato molto la decisione del governo, dicendo che «non è accettabile» e facendo notare che l’anno scorso invece lo stesso governo aveva firmato una dichiarazione simile proposta sempre per la Giornata mondiale contro l’omofobia, la transfobia e la bifobia: «Quest’anno non lo ha fatto per fare campagna sulla pelle delle persone discriminate», ha detto Schlein. Altre critiche simili sono arrivate anche dal Movimento 5 Stelle, mentre Ivan Scalfarotto di Italia Viva, responsabile Esteri del partito, ha sostenuto che questa decisione «mina la credibilità internazionale» del paese, «accomunandolo a nazioni dove i diritti da sempre sono negati e lo Stato di diritto soffre».