Cosa sta succedendo in Nuova Caledonia, dall’inizio
Da giorni proseguono scontri violenti tra gruppi indipendentisti locali e forze di sicurezza della Francia, a causa di una contestata legge che estenderebbe il diritto di voto ai nuovi abitanti francesi
Da lunedì 13 maggio in Nuova Caledonia, un arcipelago in Oceania che dal 1853 si trova sotto il controllo della Francia, è in corso una violenta rivolta organizzata per contestare una riforma costituzionale che potrebbe diminuire il peso delle popolazioni indigene nella politica locale. La Nuova Caledonia è un territorio d’oltremare francese, ossia un’ex colonia che ora si amministra in modo semi-indipendente, pur trovandosi ancora sotto la sovranità dello stato francese. Da tempo al centro della politica caledoniana c’è la questione dell’indipendenza dalla Francia, fortemente voluta da una parte della popolazione indigena ma a cui si oppone il resto della popolazione, formata sempre più da cittadini francesi che si sono trasferiti nell’arcipelago.
Le proteste di questa settimana sono le più violente degli ultimi decenni e riguardano proprio l’estensione del diritto di voto ai nuovi abitanti francesi, cosa che secondo la fazione indipendentista porterebbe a un maggiore controllo dello stato francese sul territorio.
Durante la prima notte di proteste diverse auto sono state incendiate e decine di negozi e supermercati sono stati saccheggiati, per lo più da persone giovani incappucciate. La situazione è peggiorata mercoledì, quando la riforma costituzionale è stata approvata da entrambe le Camere del parlamento francese, che però dovranno votarla nuovamente in seduta comune affinché entri in vigore. Ci sono stati anche scontri armati fra le forze di polizia, composte da squadre di polizia locale e agenti francesi inviati dalla Francia continentale, e circa 5mila abitanti dell’arcipelago. Le violenze si sono concentrate a Nouméa, la città principale.
Secondo i dati ufficiali forniti da Louis Le Franc, l’Alto commissario della Repubblica (una sorta di prefetto locale), nelle proteste sono morte almeno cinque persone, fra cui due agenti di polizia. 64 poliziotti sono stati feriti e 200 persone sono state arrestate. La Francia ha inviato mille agenti di polizia in più oltre a tutti i 1.700 che sono normalmente stanziati sull’isola e il governo francese ha approvato l’invio di alcuni militari sull’isola, che avranno il compito di «proteggere» i porti e l’aeroporto dai rivoltosi.
Dopo alcune misure adottate immediatamente, come l’imposizione del coprifuoco a Nouméa, il divieto di ogni incontro pubblico e la chiusura delle scuole e dell’aeroporto, mercoledì sera (giovedì mattina in Nuova Caledonia) è stato dichiarato lo stato di emergenza nel territorio: può essere dichiarato in caso di pericoli imminenti per l’ordine pubblico e permette alle autorità civili di restringere le libertà personali senza l’intervento della magistratura. In questo caso ha comportato anche il blocco dell’accesso al social network TikTok dagli smartphone.
Venerdì infine Louis Le Franc (il prefetto) ha detto che le autorità non hanno più il controllo di alcuni quartieri di Nouméa, dove i gruppi che protestano hanno appiccato incendi e costruito barricate sulle strade. Tra le altre cose hanno anche impedito l’accesso a supermercati e farmacie: il governo locale ha fatto sapere che nel territorio sono presenti scorte di cibo per due mesi, il problema attualmente è la distribuzione.
La Nuova Caledonia è un arcipelago che fa parte della Melanesia, una delle regioni dell’Oceania, e si trova circa 1.500 chilometri a est dall’Australia. Ha una superficie totale inferiore a quella della Sardegna e meno di 300mila abitanti, ma è da sempre al centro di forti tensioni e rivalità tra stati, oltre che tra fazioni politiche e gruppi etnici interni al territorio che si scontrano sul tema dell’indipendenza dalla Francia: dal 2018 al 2021 si sono svolti tre referendum sull’indipendenza, tutti vinti da chi voleva restare nella Francia. L’esito dell’ultimo referendum non era stato accettato dagli indigeni Kanak, che avevano boicottato il voto perché si era svolto durante la pandemia da coronavirus.
L’arcipelago è il terzo produttore di nichel al mondo e si trova in una regione del Pacifico dove la Cina e gli Stati Uniti stanno cercando di consolidare o aumentare la propria influenza.
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La riforma costituzionale al centro delle proteste amplierebbe l’accesso al voto e modificherebbe le liste elettorali per le elezioni provinciali (quelle che definiscono il governo locale), che sono ferme al 1998. Secondo gli oppositori la riforma però ridurrebbe il peso politico della popolazione indigena locale, i Kanak.
La legge elettorale della Nuova Caledonia inizialmente prevedeva che potesse votare chi risiedeva nell’arcipelago da almeno dieci anni. Nel 2007 il presidente Jacques Chirac stabilì che avrebbero avuto diritto di voto solo coloro che risiedevano sull’isola dal 1988 e i loro eredi, in virtù di accordi con esponenti dei Kanak presi nel 1998. Questa modifica ancora in vigore fa sì che circa un quinto dei residenti in Nuova Caledonia, quindi cittadini francesi trasferiti negli ultimi anni, sia privato del diritto di voto: la riforma proposta oggi riporterebbe invece il requisito a dieci anni di residenza, dando diritto di voto a 25mila persone in più.
La rivolta è guidata da un gruppo indipendentista chiamato Cellula di Coordinamento dell’Azione sul Campo (CCAT), che il ministro dell’Interno Gérald Darmanin ha definito un’organizzazione «mafiosa» e «violenta» e che secondo lui non ha obiettivi politici, ma è formata da «delinquenti che compiono atti di violenza con l’obiettivo di uccidere agenti di polizia, gendarmi e forze dell’ordine».
Giovedì Darmanin ha anche suggerito che l’Azerbaijan abbia un ruolo nelle proteste, dopo che erano circolate delle foto che mostravano alcuni indipendentisti nella Nuova Caledonia issare delle bandiere azere sugli edifici dell’isola. L’Azerbaijan è molto lontano sia dalla Francia che dalla Nuova Caledonia: si trova sul Mar Caspio e confina con l’Iran. Nell’ultimo periodo però il governo azero si è avvicinato ai partiti indipendentisti dei territori d’oltremare francesi per via del sostegno da parte del governo centrale della Francia all’Armenia nella guerra per il controllo del territorio del Nagorno Karabakh. Poche ore dopo l’Azerbaijan ha però smentito categoricamente di avere dei legami con i leader di questa rivolta, ribadendo di avere solo rapporti di natura diplomatica con i partiti indipendentisti dell’arcipelago, quelli che in questi giorni hanno condannato le violenze.
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In un tentativo di calmare la situazione, il presidente francese Emmanuel Macron ha detto che ritarderà il più possibile il voto finale per l’approvazione della modifica costituzionale e il governo del primo ministro Gabriel Attal ha detto di essere disposto ad abbandonare la riforma se verrà trovato un accordo politico con i partiti locali che metta fine alle proteste. Al centro di questo accordo potrebbe esserci la definizione di un nuovo status della Nuova Caledonia, che renda il territorio ancora più indipendente e soddisfi quindi in parte le richieste della fazione indipendentista. Macron ha fatto anche sapere che se questo accordo non verrà raggiunto entro fine giugno le camere verranno convocate e la riforma sarà approvata così com’è ora.
Macron aveva proposto di incontrare in videoconferenza i leader dei partiti locali giovedì pomeriggio, ma l’incontro è stato cancellato perché, ha detto il suo staff, «i vari attori non vogliono parlare tra loro per il momento». Macron ha fatto comunque sapere che verranno organizzati degli incontri bilaterali con i principali esponenti politici della Nuova Caledonia per cercare di trovare una soluzione.
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