Il programma di Fratelli d’Italia per le elezioni europee è già un po’ superato
Si propone di modificare il Patto di stabilità e la direttiva sulle “case green”, che però sono state appena approvate: considerando i tempi dell'Europa se ne riparlerà tra qualche anno (forse)
Questa settimana Fratelli d’Italia, il partito della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ha pubblicato il suo programma per le elezioni europee dell’8 e del 9 giugno. È composto da 15 capitoli tematici, preceduti da un’introduzione generale intitolata “Manifesto per l’Europa dei popoli, della libertà e delle identità”. I capitoli parlano di molti temi, tra cui il lavoro, l’agricoltura, la sanità: ma su alcuni aspetti, specialmente quelli economici, gli obiettivi del programma sono già per certi versi superati, perché riguardano questioni molto importanti su cui in realtà i governi e le istituzioni dell’Unione Europa hanno appena raggiunto accordi vincolanti. Fratelli d’Italia si propone di modificare o migliorare riforme che sono appena state approvate, e su cui è improbabile che si potrà intervenire di nuovo nei prossimi cinque anni.
Una di queste questioni è il Patto di stabilità e crescita, l’insieme delle regole fiscali e di bilancio che gli Stati membri sono tenuti a rispettare nel definire le loro politiche economiche: il programma di Fratelli d’Italia si prefigge di «migliorare» il Patto «nell’ottica di una maggiore flessibilità, tenendo conto delle esigenze finanziarie degli Stati membri».
Dopo che il precedente Patto era stato sospeso dal marzo 2020 fino alla fine del 2023 per via della pandemia da coronavirus e della guerra in Ucraina, il 23 aprile scorso il Parlamento Europeo ha approvato la nuova versione, che entrerà pienamente in vigore nel corso del 2024. Il voto del Parlamento Europeo è stato l’ultimo atto di un negoziato lungo e accidentato, iniziato nell’aprile del 2023, tra la Commissione Europea e i vari Stati membri. È pertanto molto improbabile che una nuova versione del Patto venga approvata prossimamente, come vorrebbe Fratelli d’Italia.
Inserito nei Trattati europei a partire dal 1997, il Patto di stabilità è stato lievemente modificato una prima volta nel 2005, per poi subire una revisione più sostanziosa tra il 2011 e il 2013, quando le regole fiscali e di bilancio europee hanno assunto dei connotati che sono rimasti sostanzialmente immutati nel decennio successivo. Le riforme in questo ambito avvengono a distanza di molti anni l’una dall’altra.
Peraltro i negoziati per l’ultima modifica si sono protratti per tutto il 2023, con il governo guidato da Meloni che all’inizio si è opposto a una prima proposta della Commissione, abbastanza vantaggiosa per i paesi più indebitati come l’Italia, sperando di poter ottenere condizioni ancora migliori. La versione finale che ne è uscita, fortemente condizionata da alcune richieste più rispettose degli equilibri di bilancio fatte dalla Germania, è stata infine approvata dai ministri dell’Economia il 20 dicembre del 2023, ed è stata accolta dal governo italiano con scarso entusiasmo.
Il programma per le europee di Fratelli d’Italia indica anche la necessità di «scorporare gli investimenti nella transizione verde dal calcolo del rapporto deficit/PIL» e di «escludere dal computo di deficit e debito le spese per investimento collegate alla transizione verde e digitale, nonché quelle per la difesa».
Semplificando, questo passaggio del programma significa che Fratelli d’Italia vuole fare in modo che ciò che gli Stati spendono per la transizione ecologica e digitale venga incluso in una sorta di capitolo a parte del bilancio pubblico, di cui non si dovrebbe tenere conto nel calcolare il rapporto tra il deficit, cioè il disavanzo annuale tra entrate e uscite, e il prodotto interno lordo (PIL). Il rapporto deficit/PIL è determinante, nell’ottica del nuovo Patto di stabilità, perché ai paesi che hanno un deficit superiore al 3 per cento del PIL vengono imposti limiti alla spesa pubblica e percorsi di rientro del disavanzo di 4 o 7 anni per risanare i conti pubblici.
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Ma l’ipotesi di scorporare queste spese dal computo del deficit, su cui l’Italia ha insistito a lungo ma senza successo nel corso del 2023, è stata alla fine scartata dalla Commissione e dal Consiglio Europeo. Anche per questo Meloni commentò il raggiungimento dell’accordo sul Patto freddamente, ammettendo in un comunicato ufficiale che «rimane il rammarico per la mancata automatica esclusione delle spese in investimenti strategici dall’equilibrio di deficit e debito da rispettare», cioè appunto ciò che ora Fratelli d’Italia si propone di modificare. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha ammesso che è scontato che l’Italia avrà una procedura d’infrazione da parte della Commissione Europea, proprio per deficit eccessivo a partire dall’autunno 2024, quando le nuove regole saranno pienamente in vigore.
Nel programma di Fratelli d’Italia c’è anche una parte che si propone di «modificare radicalmente la direttiva sulle “case green”»: anche in questo caso, la volontà di cambiare è stata superata dagli eventi, visto che la direttiva è appena entrata in vigore. Lo scorso 12 aprile l’ECOFIN, cioè la riunione dei ministri dell’Economia e delle Finanze degli Stati membri, ha approvato in via definitiva l’accordo su un provvedimento presentato dalla Commissione Europea nel dicembre del 2021, e poi più volte discusso e sensibilmente modificato dal Parlamento nel corso dei due anni seguenti.
La direttiva stabilisce che gli edifici che consumano più energia vengano ristrutturati, così da renderli più efficienti, e ridurre il loro impatto sull’ambiente: ogni paese sarà libero di adottare in autonomia le misure che ritiene più efficaci, a patto di rispettare alcuni obiettivi minimi fissati per il 2030, il 2033 e il 2035. Anche considerando un eventuale cambio di maggioranza nel Parlamento Europeo, e una maggiore rappresentanza dei partiti contrari all’approccio finora seguito dalla Commissione su questi temi, è improbabile uno scenario in cui questa direttiva possa essere ribaltata in tempi brevi, dopo due anni di negoziato: in questa legislatura infatti è stata votata da una maggioranza ampia e solida di 20 paesi su 27. A votare contro sono state soltanto l’Ungheria e l’Italia, appunto, mentre si sono astenute la Croazia, la Svezia, la Slovacchia, la Repubblica Ceca e la Polonia.
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