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  • Giovedì 16 maggio 2024

Sayaka Murata e le sue strane idee

Dal Salone del Libro di Torino è passata una romanziera giapponese che ha spiazzato molti lettori scrivendo di cannibalismo e altri temi respingenti con uno stile quasi fiabesco

di Ludovica Lugli

La scrittrice giapponese Sayaka Murata
La scrittrice giapponese Sayaka Murata (Bungeishunju Ltd)
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«A me fa paura che una persona pensi cose del genere», ha commentato una giovane studentessa di giapponese che domenica scorsa è stata a lungo in fila per sentir parlare la scrittrice Sayaka Murata al Salone del Libro di Torino. Insieme a lei c’erano più di duecento persone, ma solo la metà ha poi trovato posto nella sala in cui era stato organizzato l’evento di presentazione dell’ultimo libro di Murata pubblicato in italiano, la raccolta di racconti Parti e omicidi.

Murata non ha ancora una notorietà paragonabile ai più celebri autori giapponesi contemporanei, come Haruki Murakami o, in Italia, Banana Yoshimoto, ma i suoi romanzi e racconti sono tra i testi di narrativa più sorprendenti e originali degli ultimi anni e in Giappone è tra gli scrittori di cui si parla di più. Nelle recensioni di lettrici e lettori su Amazon si ritrovano sia l’interesse che il senso di inquietudine manifestati dalla studentessa di Torino. Infatti la narrativa di Murata invita a mettere in discussione alcuni degli aspetti della vita che diamo più per scontati, e dato che spesso includono scene molto crude che hanno a che vedere con l’alimentazione, il sesso e la morte possono risultare sconcertanti, o turbare. «I lettori o amano o odiano quello che scrivo», dice Murata.

Di persona la scrittrice non ha nulla di inquietante o bizzarro. Dimostra meno dei suoi 44 anni, indossa un abito nero sotto il ginocchio (una tipologia di abbigliamento femminile che per le strade di Tokyo si vede molto di più rispetto all’Italia), semplice ma con un taglio inconsueto, e calze verde scuro. Parla a voce bassa e gesticola un po’ per spiegarsi mentre risponde. Il fatto che si esprima in giapponese e che per conversare con lei serva la mediazione di un interprete – Giuseppe Tommaso Gervasio – non permette di farsi un’idea chiara sul senso delle pause nelle sue risposte e su cosa la fa sorridere, ma sorride spesso.

In Europa Murata è conosciuta dal 2018, quando uscì il suo sesto romanzo, La ragazza del convenience store, che aveva vinto il più importante premio letterario giapponese, l’Akutagawa, e che in Italia è pubblicato da E/O come i successivi. Parla di una donna incapace di comprendere le convenzioni sociali che riesce ad avere rapporti con gli altri solo lavorando come commessa part-time in un konbini, cioè in uno dei tipici minimarket giapponesi molto forniti. Nonostante la sua «stranezza», che molti lettori occidentali hanno ricondotto all’esperienza di chi ha un disturbo dello spettro autistico, è un personaggio positivo e il tono del romanzo è quasi sempre allegro, a tratti comico.

Per questo molti di quelli che lo avevano apprezzato sono rimasti spiazzati dal secondo romanzo di Murata tradotto in italiano e in inglese, I terrestri. Ha a sua volta come protagonista una donna non del tutto integrata nella società, in questo caso convinta di essere un’extraterrestre dotata di poteri magici. Ma è un romanzo che si distingue anche perché contiene scene di sesso fra bambini, di un abuso sessuale e di cannibalismo.

Le copertine delle attuali edizioni italiane di "La ragazza del convenience store" e di "I terrestri"

La copertina dell’edizione tascabile di La ragazza del convenience store e quella di I terrestri

In Giappone non c’è stato questo “effetto sorpresa” perché anche nei precedenti libri di Murata, per la maggior parte ancora non tradotti in italiano, sono spesso descritte situazioni repellenti o inquietanti. Ad esempio il racconto che dà il titolo a Parti e omicidi, uscito nella versione originale nel 2014, è ambientato in un futuro in cui la maggior parte dei bambini nasce grazie a «gestanti», donne e uomini che si offrono volontariamente di portare a termine dieci gravidanze (gli uomini attraverso uteri artificiali) in cambio della possibilità di uccidere un’altra persona.

Anche nel suo paese, comunque, Murata si distingue per i temi della sua narrativa. Sui media è spesso chiamata “Crazy Sayaka”, un soprannome traducibile come “Sayaka la pazzerella”, che inizialmente le era stato dato da alcune altre scrittrici sue amiche.

Leggendo Parti e omicidi e l’altra raccolta di racconti di Murata pubblicata in Italia, La cerimonia della vita, è più facile capire cos’è la narrativa per Murata. In ognuno dei suoi racconti c’è una società o un piccolo gruppo di persone per cui un aspetto del vivere quotidiano è molto diverso dalle consuetudini e dalle convenzioni sociali a cui siamo abituati, a volte contraddicendo dei tabù. In un racconto ad esempio è “normale” che i corpi delle persone defunte siano usati per produrre mobili e capi di abbigliamento, in un altro sono cucinati e mangiati nelle cerimonie funebri.

Spesso a essere sovvertiti nei racconti di Murata sono aspetti che riguardano la sessualità: ci sono personaggi che si potrebbero definire asessuali, altri che provano attrazione per oggetti o parti del corpo che generalmente non ne suscitano, o fanno sesso compiendo atti che non considereremmo sessuali. Nessuno comunque viene inquadrato con una delle parole che sempre di più vengono usate nei paesi occidentali per indicare le minoranze sessuali o le persone nello spettro autistico (che in Giappone sono maggiormente stigmatizzate rispetto all’Europa o al Nord America).

La copertina italiana di "Parti e omicidi": presenta un'illustrazione a piena pagina in cui si vedono grandi organi umani (uno stomaco, due reni, un cervello, un cuore e un fegato) sospesi in aria da tronchi di vene e arterie come se fossero chiome di alberi

La copertina italiana di Parti e omicidi; l’illustrazione, che mette in guardia sui temi dei racconti nel libro, è stata fatta appositamente dal fumettista Massimo Dall’Oglio

Murata concepisce l’immaginazione e la scrittura come un lavoro sperimentale, attraverso cui è possibile capire delle cose sul mondo e sulle persone altrimenti inconoscibili. Come si comporterebbero le persone se vivessero in una società in cui i corpi dei morti si mangiano o in un mondo in cui la riproduzione è stata completamente scollegata dal sesso? Si sceglierebbe comunque di morire se la medicina fosse in grado di riportare in vita chiunque? Come potrebbe essere la vita di una donna che non vuole avere rapporti sessuali e si sposa con un uomo per cui vale lo stesso solo per non subire pressioni sociali esterne a mettere su famiglia?

«Scrivo da quando ero bambina, da circa 10 anni, e da allora volevo capire in modo quasi ossessivo cosa fosse davvero vero», dice Murata, «la sostanza delle cose. Quella che si trova scavando sotto la superficie». Mentre parla del suo processo di scrittura estrae un taccuino dalla sua borsa e lo mostra: «Su questo quaderno disegno dei ritratti, dei personaggi, e poi li inserisco in una sorta di area sperimentale che immagino come un acquario. A un certo punto accade qualcosa, è come se sentissi un rumore, e all’interno dell’acquario inizia un movimento. Da quel momento, come se fossi una scienziata, prendo appunti su quello che vedo succedere e poi lo riporto nella scrittura».

I personaggi per lei sono come delle cavie: per questo uno degli aspetti della vita su cui ha ragionato di più è la riproduzione. «Anche nel mio prossimo libro che sarà tradotto in inglese gli uomini possono restare incinti», racconta, «è un mondo senza il sentimento dell’amore e che quindi si basa su altri elementi istintivi». Tutti gli aspetti biologici e corporei dell’esperienza umana sono tra i principali interessi di Murata, che considera le persone come esseri su cui la società con le sue regole impone dei comportamenti. Nella sua concezione l’essere umano è «vuoto» e viene poi «riempito» dalle informazioni che riceve dall’esterno, a cui si adatta: per questo cambiando le regole della società in cui vive un personaggio si possono ottenere comportamenti diversi. «In questo momento sto scrivendo di personaggi che si adattano in modo eccessivo», aggiunge.

Gli “esperimenti” di Murata spesso possono essere letti come una forma di critica della società e delle sue regole non scritte. Anna Specchio, ricercatrice di lingua e letteratura giapponese all’Università di Torino e studiosa dell’opera di Murata, spiega: «La sua narrativa si distingue da molte altre produzioni contemporanee giapponesi per le tematiche “pruriginose”, potremmo dire, ma anche perché mette in dubbio i valori della società attraverso protagoniste che deviano in prima persona dalla norma, e quindi presentano un punto di vista alternativo da cui è più facile criticare». Secondo Specchio le particolarità dei personaggi di Murata e l’ambientazione in scenari “semi-distopici” (o utopici, per certi versi) permettono un approccio più sottile e meno conflittuale rispetto a quello delle scrittrici che ambientano i propri romanzi nella realtà.

La copertina di "La cerimonia della vita"

La copertina di La cerimonia della vita

In Giappone come in altri paesi del mondo i dibattiti sui ruoli di genere e sulla condizione femminile nella società, spesso ancora svantaggiata, influenzano anche la produzione culturale e ci sono scrittrici (come Aoko Matsuda, a sua volta pubblicata da E/O) che si definiscono pubblicamente femministe. Murata non è tra queste, anche se i suoi romanzi come quelli di altre autrici cresciute tra gli anni Ottanta e Novanta contraddicono gli stereotipi sui canoni di bellezza e comportamento femminili e l’ideale del matrimonio eterosessuale obbligatorio.

Interrogata a proposito dei dibattiti internazionali su ruoli e identità di genere di questi anni, Murata dice: «La mia scrittura nasce a livello inconscio. Probabilmente ciò di cui ho sentito parlare ha contribuito alla stratificazione di ricordi che ho dentro di me e che uso nel mio lavoro, anche quello che mi è arrivato dall’estero da quando i miei libri hanno cominciato a essere tradotti. Non escludo che mi abbiano influenzato inconsciamente». Gianluca Coci, professore di lingua e letteratura giapponese sempre all’Università di Torino e traduttore italiano di Murata, la definisce «un’autrice naïf, spontanea», i cui libri non si possono accostare a quelli di altri autori.

Tra i lettori italiani c’è chi percepisce le storie di Murata come molto giapponesi, sia per il tipo di situazioni immaginate che per il comportamento dei personaggi. Non è sempre facile distinguere tra gli aspetti di un’opera artistica strettamente legati alla cultura di appartenenza del suo autore e quelli personali, soprattutto quando non si conosce molto la cultura in questione.

Il Giappone in particolare ha un’identità culturale molto forte, in parte permeabile agli stimoli esterni di altre culture ma anche storicamente capace di rielaborarli a suo modo. Per quanto riguarda la narrativa, ha una produzione sterminata: si acquistano e leggono libri e fumetti molto più che in Italia e anche per questo gli scrittori scrivono molto di più. Tra le altre cose è ancora molto diffusa la pubblicazione dei romanzi in forma seriale, su apposite riviste letterarie che hanno un proprio mercato – diversamente rispetto al contesto italiano dove le riviste che pubblicano racconti sono lette probabilmente da qualche centinaio di persone e faticano a essere economicamente sostenibili.

– Ascolta anche: Una puntata di Comodino in cui si parla di Murata e di altri autori giapponesi

Murata però racconta che i riscontri che ha ricevuto dai lettori sono più o meno gli stessi in tutti i paesi in cui i suoi libri sono stati pubblicati: «Negli eventi come il Salone del Libro mi capita di parlare direttamente con i lettori stranieri e la percezione è abbastanza simile al Giappone. Mi viene detto spesso che la prima reazione è di sorpresa».

A Torino, rispondendo alle domande di Irene Graziosi, scrittrice e autrice del sito di approfondimento culturale Lucy, Murata ha spiegato cosa l’ha spinta a scrivere Parti e omicidi: «Cosa è giusto e cosa sbagliato? Cosa può essere più o meno accettabile? Non capirlo, il senso di incertezza di fronte a queste domande è ciò che volevo ottenere». Di solito le protagoniste dei racconti di Murata sono persone che non condividono del tutto il modo in cui funziona la società di cui fanno parte, ma alla fine ci fanno i conti e la accettano. «Riconquistano qualcosa», nelle parole di Murata. Graziosi ha osservato che alla fine della lettura ci si trova a pensare a propria volta che, ad esempio, un sistema in cui si può uccidere impunemente una persona quando se ne sono messe al mondo altre dieci potrebbe anche «funzionare».

Probabilmente succede qualcosa di simile anche con lo stile di Murata. La sua scrittura è semplice e concreta, e, aggiunge Coci, «non è respingente», sebbene i temi delle storie possano esserlo: «Chiaro che chi è molto debole di stomaco può far fatica con alcune scene, ma Murata parla di certi temi con una leggerezza tale per cui, a meno che non si abbiano pregiudizi, non si prova così tanto fastidio. Sembra di leggere una fiaba anche quando compaiono cose molto crude».

Le scrittrici e gli scrittori giapponesi vengono di rado in Europa a fare presentazioni di libri e incontrare i propri lettori, ma da gennaio e fino a giugno Murata è ospite della Literaturhaus di Zurigo, un centro culturale svizzero che sostiene la scrittura di opere letterarie di autori internazionali attraverso le cosiddette “residenze”. Ne ha approfittato per fare incontrare dei lettori anche in altre città europee, come Londra e Torino, appunto, dove è stata disponibile ad autografare libri per due ore. Finora i suoi libri in Italia hanno venduto circa ventimila copie ma secondo Coci Murata potrebbe diventare la prossima scrittrice giapponese letteraria molto letta anche da noi.