Il governo ha venduto 1,4 miliardi di euro di azioni di Eni

(Igor Golovniov/SOPA Images via ZUMA Press Wire)
(Igor Golovniov/SOPA Images via ZUMA Press Wire)

Mercoledì sera il ministero dell’Economia ha detto di aver venduto una parte della partecipazione che deteneva in Eni, la più importante società energetica italiana. Ha venduto azioni pari al 2,8 per cento del capitale della società, incassando 1,4 miliardi di euro: la vendita era riservata a investitori istituzionali sia italiani che stranieri, come banche e società di investimento. Lo Stato resta quindi con una quota del capitale dell’azienda che è scesa dal 4,8 per cento al 2; può comunque contare ancora sulla quota del 28,5 per cento di Cassa Depositi e Prestiti, istituto finanziario controllato dal ministero dell’Economia: le restanti azioni sono per la maggior parte di investitori istituzionali, mentre una parte minoritaria è di investitori privati. Questa vendita rientra nel grande e ambizioso piano di privatizzazioni del governo, così come quella della compagnia aerea ITA Airways e della banca MPS: il governo prevede di raccogliere così circa 20 miliardi di euro entro il 2026.

I grandi piani di privatizzazione sono sempre piuttosto allettanti per i governi, perché per legge i proventi che ne derivano devono essere destinati alla riduzione del debito pubblico. Le regole europee sui conti pubblici prevedono che gli stati con un alto debito come l’Italia debbano impegnarsi per ridurlo in un percorso credibile e costante, la cui dimensione è ogni anno oggetto di negoziati assai complicati con la Commissione europea. Per questo le privatizzazioni rappresentano una scorciatoia: vendendo pezzi di aziende o aziende intere di proprietà dello stato, i governi si impegnano implicitamente a diminuire il debito, senza dover passare per politiche impopolari come la riduzione della spesa pubblica o l’introduzione di nuove tasse.

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