Sta tornando un buon momento per comprare casa?
Dopo quasi due anni di rialzo gli interessi sui mutui a tasso fisso stanno scendendo, e i prezzi crescono poco visto che il mercato esce da un periodo complicato
Dopo quasi due anni di rialzi dovuti alle decisioni della Banca Centrale Europea (BCE) per contrastare l’inflazione, in Italia i tassi di interesse sui nuovi mutui per comprare casa hanno cominciato a scendere. È così per una serie di motivi, il più importante dei quali è legato al fatto che è ormai praticamente certo che la BCE ne annuncerà una riduzione tra non molto, ritenendo di aver più o meno superato il problema dell’aumento del costo della vita. Le banche stanno quindi iniziando a offrire mutui a tassi più bassi, consapevoli del fatto che non ci rimetteranno e soprattutto per ravvivare il loro business dei prestiti alle famiglie, che aveva risentito parecchio delle decisioni della BCE.
Sembra dunque che stia tornando un buon momento per comprare casa, anche per il fatto che proprio a causa dell’aumento del costo dei mutui il mercato immobiliare si era praticamente fermato in tutta Italia (tranne che nelle grandi città). Perciò è più facile riuscire ad approfittare adesso di qualche occasione, mentre tra qualche mese è probabile che le compravendite immobiliari ripartiranno a seguito delle migliori condizioni sui mutui, con un conseguente aumento nei prezzi delle case.
Partiamo intanto dal costo dei mutui. La prima riduzione era stata registrata a dicembre, ed è continuata: secondo il rapporto mensile dell’ABI, l’Associazione Bancaria Italiana, la più rappresentativa dell’intero settore, da novembre ad aprile il tasso medio sui nuovi mutui alle famiglie è sceso dal 4,5 al 3,79 per cento. Il tasso medio si è ridotto di 0,71 punti percentuali, un numero apparentemente esiguo ma che invece può avere un effetto significativo su un prestito da centinaia di migliaia di euro, soprattutto in relazione alla rata mensile da pagare.
«Su un nuovo mutuo a 25 anni da 150mila euro il risparmio corrispondente sulla rata è di 60 euro al mese», dice Guido Bertolino, responsabile di business development di MutuiSupermarket, un portale di comparazione dei mutui. «In totale sono 18mila euro risparmiati complessivamente su tutta la durata del prestito».
L’inversione di tendenza si vede anche dall’andamento dei due diversi tassi di riferimento che usano le banche per calcolare quanto i clienti devono pagare di interessi. I mutui a tasso fisso (la cui rata non cambia mai) seguono il cosiddetto IRS, quelli a tasso variabile seguono l’Euribor, che in due anni ha fatto quasi raddoppiare anche le rate sui mutui esistenti, con grossi problemi per chi li ha.
A questi le banche aggiungono poi uno “spread”, una percentuale che varia per ogni istituto e che rappresenta in pratica il loro guadagno. Per esempio, se l’indice Euribor di riferimento è del 3 per cento e lo spread della banca è dell’1,5, il tasso di interesse totale sarà la somma delle due componenti, il 4,5 per cento.
Non esistono dati ufficiali sui tassi medi sui mutui a tasso fisso e su quelli sui mutui a tasso variabile, ma guardando solo Euribor e IRS è abbastanza chiaro quali sono quelli più convenienti: l’Euribor è fermo al suo massimo da qualche mese, il che significa che i tassi sui mutui a tasso variabile (sia nuovi che esistenti) non stanno diminuendo; al contrario l’IRS sta calando parecchio, di quasi 0,8 punti percentuali, facendo scendere di conseguenza anche i dati sui nuovi mutui a tasso fisso.
A parità di guadagno delle banche, la differenza tra i due tipi di mutui è ampia: è di quasi 1,3 punti percentuali. È una situazione abbastanza eccezionale: in periodi normali avviene il contrario e i mutui a tasso fisso hanno un tasso di interesse più alto di quelli a tasso variabile. Il fatto che generalmente costino un po’ di più è dovuto alla sicurezza: il debitore sa che per tutta la durata del mutuo pagherà sempre la stessa rata ogni mese.
Da aprile dello scorso anno questo però non vale più, e i mutui a tasso variabile sono diventati più costosi di quelli a tasso fisso, col risultato che la quasi totalità dei nuovi mutui erogati in questi mesi è a tasso fisso. Il motivo di questa differenza è legato all’orizzonte temporale diverso: l’IRS è un tasso di lungo periodo con un orizzonte massimo di 50 anni, che già incorpora e anticipa le prossime riduzioni dei tassi da parte della BCE, e che quindi è in calo; l’Euribor invece è un tasso di brevissimo periodo, nel cui orizzonte ancora non ci sono tagli dei tassi della banca centrale.
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«Quando i nostri clienti ci chiamano e ci chiedono se per fare un mutuo convenga aspettare ulteriori riduzioni dei tassi, quello che spieghiamo è che i futuri tagli impatteranno i mutui a tasso variabile, perché sui mutui a tasso fisso la riduzione è già evidente, dato che l’IRS anticipa le decisioni della BCE», dice Bertolino, secondo cui potrebbe già essere questo un buon momento se si decide di optare per un tasso fisso. Ci vorrà ancora del tempo prima che inizi a scendere in modo consistente anche l’Euribor, e a cascata i tassi sui mutui a tasso variabile.
Un modo per capire a grandi linee quali sono le aspettative degli operatori finanziari su quando calerà è osservare i futures sull’Euribor. I futures sono titoli finanziari derivati, con cui acquirente e venditore si impegnano a comprare o vendere un certo bene a un prezzo prefissato. Il bene si chiama in gergo finanziario “sottostante”, proprio perché è la base del contratto, e può essere qualsiasi cosa: una materia prima, come l’oro o il petrolio, o un altro titolo finanziario, o addirittura cose più intangibili come indici azionari e obbligazionari (indicatori che seguono l’andamento di un gruppo di titoli), tassi di interesse, valute e via così. Alla scadenza del future chi doveva comprare il sottostante versa all’altra parte il prezzo che avevano pattuito: se in quel momento il prezzo di mercato del sottostante è superiore allora ci avrà guadagnato, altrimenti ci ha perso.
Per esempio: Tizio e Caio stipulano un contratto future, con cui Tizio si impegna a comprare da Caio tre mesi dopo un’oncia d’oro al prezzo di 100 (l’oro si misura in oncia troy, un unità di misura che equivale a 31,1 grammi). Alla scadenza avviene la transazione e Tizio capirà se ci ha guadagnato o rimesso guardando a quanto viene scambiato l’oro in quel momento: se il prezzo di mercato è superiore a 100 allora Tizio ci guadagna, altrimenti ci perde. In questo caso il future potrebbe essere servito a Tizio per tutelarsi dall’aumento del prezzo dell’oro – se per esempio fa il gioielliere – oppure potrebbe essergli servito solo per una speculazione di borsa, per cui Tizio aveva scommesso sul fatto che l’oro sarebbe rincarato e voleva farci un profitto.
I futures sui tassi di interesse, come l’Euribor, funzionano nello stesso modo: in questi casi le parti stabiliscono di applicare un tasso di interesse prefissato su un certo capitale, e poi alla scadenza avviene il pagamento. La differenza tra il tasso di interesse del contratto e quello di mercato rappresenta così il guadagno o la perdita di chi deve corrisponderlo. È tipicamente usato dagli intermediari finanziari per coprirsi dal rischio di aumento dei tassi, ma anche in questo caso è possibile usarlo anche solo per speculazione. Il mercato complessivo dei futures sull’Euribor dice dunque molto su cosa gli operatori finanziari si aspettano che succeda al tasso di interesse dal momento della stipula del contratto alla scadenza, ed è quindi la più fedele quantificazione delle aspettative: in base all’andamento dei futures Bertolino stima che l’Euribor dovrebbe iniziare a scendere da giugno e secondo le previsioni attuali dovrebbe arrivare «intorno al 3,2 per cento verso fine dell’anno, in calo quindi di quasi 0,8 punti percentuali, e il punto di minimo lo toccherà al 2,4 per cento a giugno del 2027, per poi rimanere stabile».
Secondo Bertolino è comunque improbabile che si tornerà prima o poi, a meno di altri eventi eccezionali, a un periodo di tassi di interesse bassissimi, come quelli del decennio precedente al 2021, in cui fare un mutuo era estremamente conveniente: l’Euribor e l’IRS erano prossimi allo zero, e in certi periodi anche negativi, per cui il tasso di interesse era solo lo spread richiesto dalla banca, quindi poco superiore all’1 per cento. «È improbabile che i tassi di interesse sui mutui scendano di nuovo sotto il 2,5 per cento», dice Bertolino. Bisogna quindi “rassegnarsi” a una nuova normalità.
Oltre al generale calo dei tassi di interesse, i mutui sono anche più convenienti perché le banche stanno portando avanti offerte commerciali interessanti per far ripartire il loro business dei prestiti alle famiglie, particolarmente colpito negli ultimi due anni: nel 2021 sono stati erogati 60,9 miliardi di euro di mutui, tra quelli per l’acquisto e le surroghe (quando si sposta un mutuo già esistente in una nuova banca), nel 2022 55,3 miliardi, con un calo del 9 per cento, e nel 2023 41,2 miliardi, il 25 per cento in meno rispetto all’anno precedente.
Un esempio è quello dei cosiddetti “mutui green”, quelli per l’acquisto di case ad alta classe energetica: anche a seguito dell’approvazione delle nuove regole europee sull’efficientamento degli edifici, le banche fanno sconti sui mutui anche di quasi 0,6 punti percentuali per l’acquisto di queste abitazioni. Fino allo scorso anno, dice Bertolino, la maggior parte degli sconti arrivava al massimo fino a 0,1 punti percentuali.
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Oltre alla questione dei mutui, che pur è essenziale per valutare l’opportunità di comprare casa, questo potrebbe essere un buon momento anche perché il mercato immobiliare sta uscendo da due anni complicati, in cui le compravendite si sono molto ridotte proprio per effetto dell’aumento dei tassi di interesse. E questo perché chi doveva fare un mutuo per comprare casa ha in certi casi posticipato l’acquisto, in attesa che scendessero i tassi: secondo i dati dell’Agenzia delle Entrate, che registrano tutte le transazioni che si sono concluse, nel 2023 ci sono state 710mila compravendite di abitazioni residenziali, in calo del 10 per cento rispetto all’anno precedente. Si sono anche leggermente allungati i tempi di vendita, da 5 mesi e mezzo a 6, segno che è diventato meno facile trovare un compratore.
Questo ha avuto un effetto anche sui prezzi delle case. Rispetto al 2021 e al 2022, anni in cui i prezzi medi di vendita erano stati in forte aumento, nel 2023 i prezzi medi sono cresciuti poco, un segno che il mercato è almeno in rallentamento. Secondo l’Istat nel 2023 i prezzi delle abitazioni sono aumentati in media dell’1,3 per cento: sono stati spinti soprattutto dall’incremento del 5,6 per cento dei prezzi delle nuove costruzioni, che sono ancora una minima parte del totale e che hanno risentito tra le varie cose anche del rincaro dei materiali. Le quotazioni delle abitazioni esistenti sono invece rimaste più o meno stabili rispetto al 2022.
Questa è una media nazionale, ma le cose cambiano molto sul territorio. Nel 2023 i prezzi delle case hanno continuato ad aumentare nel nord ovest e nel nord est, mentre al centro, al sud e nelle isole sono rimasti quasi fermi.
Le grandi città sono solitamente meno soggette alle dinamiche generali di mercato, perché attraggono comunque molte persone per motivi di lavoro e di studio, il che rende il loro mercato immobiliare più dinamico: questo è vero soprattutto per Milano, dove nel 2023 i prezzi sono cresciuti in media del 5,4 per cento, un aumento però meno intenso rispetto all’anno precedente quando fu del 6,7 per cento; è vero anche per Torino, dove i prezzi delle case sono aumentati del 2,6 per cento, anche qui in leggero calo rispetto alla crescita del 2022 (3,7 per cento). A Roma c’è stato invece un contraccolpo più forte nel 2023: i prezzi medi sono aumentati solo dello 0,8 per cento, contro il 3,5 dell’anno precedente, e come media di un calo di quelli delle abitazioni nuove e di un leggero aumento delle quotazioni delle abitazioni esistenti.
Dagli annunci immobiliari sul sito Immobiliare.it – dove però i prezzi sono quelli iniziali, che vanno presi con cautela perché tipicamente poi scendono per effetto delle trattative – si vede che le città più piccole sono state invece tendenzialmente più esposte al rallentamento generale del settore: per esempio nella provincia di Terni, in Umbria, le case sono offerte in vendita a un prezzo medio inferiore del 5 per cento rispetto a marzo del 2022; o anche in provincia di Avellino, dove costano il 6 per cento in meno di allora; o in provincia di Salerno, dove i prezzi sono appena tornati al livello di inizio 2022 dopo che erano scesi per tutto lo scorso anno.
Questo non significa che il mercato immobiliare sia in ribasso, non è così. Piuttosto sta attraversando un periodo in cui potrebbe essere più facile scovare qualche buon affare: come nel caso di qualcuno che ha fretta di vendere e che quindi fa un buon prezzo, o di una casa rimasta molto tempo sul mercato e che quindi è offerta a quotazioni ribassate. Bisogna comunque tenere conto del fatto che da gennaio non esistono più agevolazioni per l’acquisto della prima casa per chi ha meno di 36 anni.
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