Il cinema di Marguerite Duras
La scrittrice francese diventò celebre per il suo romanzo "L'amante" e i film tratti dai suoi libri, ma fece anche molti film: come sceneggiatrice e come regista
A Parigi, in occasione dei 110 anni dalla sua nascita, è stata organizzata una retrospettiva dei film che Marguerite Duras – conosciuta soprattutto come scrittrice per il romanzo autobiografico L’amante, per i film tratti da alcuni suoi libri o per la sceneggiatura di Hiroshima mon amour – ha diretto come regista.
Marguerite Duras, pseudonimo di Marguerite Germaine Marie Donnadieu, nacque a Saigon il 4 aprile del 1914, in quella che al tempo era l’Indocina francese dove i genitori si erano conosciuti. Di quegli anni fu per lei fondamentale la relazione sentimentale iniziata quando aveva circa quindici anni con un uomo cinese più grande di lei, e che aveva studiato a Parigi. Il loro legame durò solo un anno e mezzo, ma a esso sono legati i due romanzi autobiografici più celebri di Duras: L’amante (del 1984 in cui per la prima volta usò la prima persona) e L’amante della Cina del Nord (del 1991) scritto nel momento in cui seppe della morte dell’uomo che aveva amato. Non molto tempo dopo l’inizio di quella relazione, Duras si trasferì in Francia dove studiò diritto, matematica, scienze politiche, e dove visse fino alla morte avvenuta nel 1996 dopo una lunga malattia.
Nel 1939 Duras sposò Robert Antelme, intellettuale e scrittore, deportato nel 1944 nei campi di concentramento in Germania. Gli anni Quaranta furono per lei quelli della dolorosa perdita del primo figlio e del fratello minore Paulo. Durante la Seconda guerra mondiale Duras partecipò alla Resistenza contro l’occupazione nazista, nel dopoguerra si iscrisse al Partito comunista da cui verrà espulsa, divorziò da Antelme, iniziò una nuova relazione ed ebbe un figlio.
La fama letteraria, per Duras, arrivò nel 1950, con il romanzo Una diga sul Pacifico. Sempre impegnata politicamente (contro la guerra in Algeria tra gli anni Cinquanta e Sessanta) e dedita alla scrittura, cominciò negli anni Sessanta a interessarsi al teatro e al cinema il cui esito più noto fu Hiroshima mon amour diretto da Alain Resnais, di cui Duras scrisse la sceneggiatura ricevendo anche una candidatura all’Oscar. Meno noti furono invece i film che diresse lei stessa, una ventina in tutto. Di seguito una selezione dei tre più rappresentativi e un altro, che vinse la Palma d’oro a Cannes e di cui Duras scrisse la sceneggiatura.
Nathalie Granger (1972)
Girato nella primavera del 1972 e interpretato da Lucia Bosè, Jeanne Moreau e da un giovanissimo Gérard Depardieu, il film fu presentato al Festival di Venezia ottenendo un riscontro piuttosto modesto da parte di pubblico e critica.
Racconta la storia di due donne che vivono in una casa con un uomo, che si intravede appena, e con due bambine: una di loro, la Nathalie del titolo, è stata respinta dall’istituto scolastico perché ha dentro di sé una «violenza non comune». La madre di Nathalie si chiede quale futuro possa dunque offrirle.
La grande casa in cui si svolge il film diviene luogo di esclusione volontaria, di separazione, ma anche un luogo di libertà rispetto all’esterno in cui vivono, parlano e agiscono, spesso con violenza, gli uomini. Nathalie Granger è un film sull’amore materno, ma è anche una metafora del ruolo della donna nel cinema e nella società e il racconto di un’alternativa possibile.
La casa in cui è ambientato il film era della stessa Duras. Si trova a poche decine di chilometri da Parigi e la scrittrice e regista la acquistò con i soldi ottenuti dalla vendita dei diritti cinematografici di Una diga sul Pacifico.
India Song (1975)
Girato nel 1974 e ambientato a Calcutta, quando chiesero a Duras da dove venisse India Song, tratto da un suo romanzo di qualche anno prima, lei rispose: «Dalla parte più lontana della mia vita». Il libro e poi il film appartengono al cosiddetto “ciclo indiano” della scrittrice, di cui fanno parte opere in cui emergono la sua infanzia, i luoghi in cui ha vissuto e uno dei più celebri personaggi femminili che ha creato: Anne-Marie Stretter, moglie dell’ambasciatore francese nell’India britannica degli anni Trenta, una donna, si dice nel film, «prigioniera di un dolore troppo antico per essere ancora pianto» e che alla fine si suicida.
Una delle particolarità del film è la desincronizzazione tra quelli che Duras ha chiamato «film delle voci» e «film delle immagini». In alcune lunghe sequenze immagini e suono sono dissociati, e viaggiano su piani temporali differenti e lontani. I personaggi non parlano in sincrono e le loro parole non sono accompagnate da alcun movimento delle labbra.
Il camion (1977)
Per la prima volta Duras appare sullo schermo in veste di attrice: il soggetto del film è in realtà il racconto di un film mai realizzato. Il camion non mostra la storia che racconta e che può essere seguita attraverso la lettura della sceneggiatura fatta dall’autrice e da Gérard Depardieu, seduti a un tavolo. Alle immagini riprese nella stanza buia in cui ci sono la regista e l’attore si alternano quelle di un camion che attraversa le periferie di Parigi e su cui viaggiano i protagonisti del film che viene raccontato: un camionista taciturno e una donna che gli ha chiesto un passaggio. Tutta la vicenda è dunque costituita dal dialogo fra la donna e il camionista riportata dalla lettura della sceneggiatura.
Nel 1977, in un’intervista, Duras ha spiegato che il film «è una messa in scena della parola». Il camion porta dunque alle sue estreme conseguenze quel processo di dissociazione tra immagine e parola già presente in alcuni suoi film precedenti. Qui emerge chiaramente il rapporto ambiguo che per Duras c’è fra scrittura e cinema, fra il testo e un film tratto da quel testo: il cinema, dirà sempre nell’intervista, «blocca il testo, uccide la sua discendenza: l’immaginario. È la sua stessa virtù: chiudere, fermare l’immaginario. Questo arresto, questa chiusura si chiama film. Buono o cattivo, sublime o esecrabile, il film rappresenta questo arresto definitivo. (…) Il cinema lo sa: non ha mai potuto sostituire il testo (…) non sa più tornare al potenziale illimitato del testo, alla sua proliferazione illimitata di immagini». La parola ha dunque per Duras il potere di evocare e aprire un immaginario infinito, mentre l’immagine pura e il cinema bloccano il movimento continuo e creativo dell’immaginario imponendo, di fatto, un’immagine unica.
Elogiato da Jean-Luc Godard il film venne presentato a Cannes, suscitando prima incredulità e poi vere e proprie esplosioni di rabbia. Dopo la proiezione, Duras venne insultata dalla folla.
L’inverno ti farà tornare (1961)
Considerata una delle storie d’amore più belle del cinema il film, di cui Duras ha scritto la sceneggiatura insieme al regista Henri Colpi e allo scrittore Gérard Jarlot, è stato premiato con la Palma d’Oro al Festival di Cannes nel 1961. L’attrice italiana Alida Valli interpreta la proprietaria di un piccolo bistrot poco lontano da Parigi che, quindici anni dopo la scomparsa del marito, deportato dai tedeschi nel 1944 in Germania e dichiarato morto, incontra un uomo che gli somiglia. La donna si convince che si tratti proprio del marito, ma comprende che l’uomo ha perso la memoria e non può confermare le sue certezze. Un giorno l’uomo, così come è venuto, scompare.