Per una volta le elezioni in Catalogna non sono monotematiche
Dopo poco meno di dieci anni in cui la politica della regione spagnola era stata ossessionata dall'indipendentismo, nella campagna elettorale per le elezioni di domenica si è parlato anche d'altro
Domenica ci sono state le elezioni in Catalogna, la regione autonoma della Spagna, e per la prima volta da poco meno di un decennio la campagna elettorale e le proposte dei candidati non sono state monopolizzate dalle istanze dell’indipendentismo catalano, che per lungo tempo hanno condizionato la politica locale. Al contrario, nella campagna elettorale di quest’anno c’è stato spazio per occuparsi anche di altre questioni, come la sanità, l’istruzione, la spesa pubblica e i gravi problemi di siccità che la Catalogna ha affrontato negli scorsi mesi.
Quelle di domenica sono state elezioni anticipate, indette dopo che il presidente catalano Pere Aragonès a marzo aveva sciolto il parlamento locale, perché la maggioranza che lo sosteneva non era sufficientemente solida. I catalani dovranno eleggere un nuovo parlamento, che a sua volta nominerà un nuovo governo regionale. Secondo i sondaggi, il voto non stabilirà un chiaro vincitore: per formare un governo i partiti dovranno accordarsi tra loro, e non è da escludere la possibilità che le elezioni debbano essere ripetute, nel caso non sia possibile trovare un compromesso.
Nel parlamento regionale catalano ci sono 135 seggi: per raggiungere la maggioranza assoluta ne servono 68.
Secondo i sondaggi, il primo partito sarà quasi sicuramente il partito socialista catalano (Partit dels Socialistes de Catalunya, PSC, emanazione regionale del Partito Socialista) guidato da Salvador Illa. Il PSC, tuttavia, è ben lontano dalla maggioranza: i sondaggi gli attribuiscono in media 40 seggi. Poco dietro c’è Junts per Catalunya (Junts, partito indipendentista di centrodestra) con 34 seggi, guidato dall’ex presidente della Catalogna Carles Puigdemont, ed Esquerra Republicana (ERC, indipendentista di centrosinistra) con 26 seggi, guidato dal presidente uscente Pere Aragonès. Secondo i sondaggi i partiti della destra non indipendentista (Partito Popolare e Vox) hanno una decina di seggi ciascuno, e tutti gli altri ne hanno cinque o meno.
Questa grossa frammentazione fa sì che sia quasi impossibile, al momento, immaginare possibili alleanze di governo. Se Salvador Illa e il PSC otterranno un risultato molto buono, potrebbe esserci un’alleanza “di sinistra” tra il PSC ed ERC; in caso contrario, potrebbe nascere un’alleanza “indipendentista” tra ERC e Junts, in cui Carles Puigdemont potrebbe tornare presidente. Ma appunto: una ripetizione delle elezioni perché nessuno avrà abbastanza seggi per governare non è da escludere.
Oltre alla frammentazione, l’altra grossa novità della campagna elettorale è stata appunto che non si è parlato soltanto di indipendentismo.
A partire almeno dal 2017, anno in cui i partiti indipendentisti catalani organizzarono un referendum per l’indipendenza ritenuto illegale dallo stato spagnolo, la politica locale è stata determinata dalla questione dell’indipendentismo. I media si occupavano prevalentemente di indipendentismo, i politici si concentravano sulla questione e il loro operato era giudicato soprattutto in base alla loro vicinanza o distanza dalle istanze dell’indipendenza catalana. C’erano ottime ragioni per questa “ossessione”: il referendum del 2017 aveva creato grosse divisioni nella società, che si erano amplificate negli anni successivi, con la forte repressione del governo. Tutti i principali leader separatisti catalani furono messi in prigione con accuse di sedizione e ribellione, e altri fuggirono dal paese, come l’allora presidente catalano Carles Puigdemont.
Negli ultimi anni, tuttavia, le conseguenze traumatiche del referendum e delle divisioni politiche successive si sono andate affievolendo: il governo del primo ministro Socialista Pedro Sánchez ha dapprima concesso la grazia ai leader separatisti, e negli scorsi mesi ha fatto approvare una legge per concedere l’amnistia a tutte le persone che hanno avuto problemi con la giustizia spagnola a causa del loro attivismo nel movimento per l’indipendenza: l’approvazione definitiva dell’amnistia dovrebbe avvenire entro la fine del mese.
A questo si è aggiunta anche una certa stanchezza verso la questione dell’indipendentismo, che negli anni è diventata via via meno rilevante per i cittadini catalani, soprattutto i più giovani. Questo non significa che la questione sia scomparsa, anzi: in tutti i sondaggi circa un terzo dei catalani continua a sostenere l’indipendenza. Ma questi numeri sono in calo da tempo, e soprattutto la maggioranza della popolazione è tornata a dare rilevanza anche ad altri temi.
Ha contribuito a normalizzare la campagna elettorale anche il fatto che il candidato più avanti nei sondaggi sia il Socialista Salvador Illa, il cui messaggio è piuttosto esplicitamente quello di superare i traumi degli anni passati, rappacificare e tranquillizzare la politica catalana: «Dopo quasi un decennio di fortissimo stress in Catalogna, di grida, di furia e di momenti storici tutte le settimane, arriva Salvador Illa con il cuscino, la coperta e pure la melatonina, se necessario», ha scritto in questi giorni El Diario. Questo atteggiamento ha favorito una normalizzazione almeno parziale del dibattito politico.
Per esempio, in queste settimane di campagna elettorale si è parlato molto di tasse e riforma del fisco: la Catalogna è una delle regioni spagnole con maggiore pressione fiscale (in parte perché è una delle regioni più ricche e produttive), e quasi tutti i candidati hanno promesso di abbassare le tasse per i redditi inferiori, e si sono impegnati a trovare un nuovo accordo con il governo centrale per fare in modo che una parte maggiore delle tasse pagate dai catalani rimanga in Catalogna.
Si è parlato molto di istruzione, soprattutto dopo che i risultati dei test standardizzati OCSE PISA, che vengono organizzati in vari paesi del mondo, hanno mostrato che gli studenti catalani hanno avuto tra i risultati peggiori di tutta la Spagna, con un grosso calo rispetto ai test degli anni passati.
Un altro tema ha riguardato l’ambiente: negli scorsi mesi la Catalogna ha sofferto una grave crisi di siccità, la peggiore da quasi un secolo, che dipende dalla scarsità di piogge ma è aggravata dallo sfruttamento in alcuni casi eccessivo dei pochi fiumi per irrigare i campi, e secondo molti anche dall’eccessivo turismo, soprattutto a Barcellona. Soltanto negli ultimi giorni, dopo due mesi di misure emergenziali, le piogge hanno consentito al governo locale di dichiarare la fine della siccità, che tuttavia rimane un problema potenziale. Per buona parte della campagna elettorale i leader dei partiti si sono accusati a vicenda della crisi, e tutti hanno promesso grossi interventi strutturali per ampliare le risorse idriche.
Ovviamente, l’indipendentismo è rimasto uno degli argomenti principali della campagna, e soprattutto Carles Puigdemont, il leader di Junts, ha cercato di riportare l’attenzione sull’argomento. Puigdemont era stato uno degli organizzatori del referendum del 2017, a seguito del quale era scappato all’estero per sfuggire alla giustizia spagnola. Tuttora vive all’estero, in attesa che entri definitivamente in vigore la legge sull’amnistia che gli consentirebbe di tornare in Spagna. Anche per questo, Puigdemont ha fatto tutta la campagna elettorale da Argelès-sur-Mer, una cittadina francese poco distante dal confine catalano.
Il punto, tuttavia, è che anche i partiti secessionisti (Junts ed ERC), pur continuando a promettere l’indipendenza della Catalogna, non hanno piani molto chiari su come ottenerla. Junts ritiene che un forte risultato elettorale contribuirebbe a creare la pressione necessaria per organizzare un nuovo referendum indipendentista, ma ha piani piuttosto vaghi in merito. Anche ERC vorrebbe organizzare un referendum, ma concordato con il governo spagnolo.