L’esercito israeliano ha ordinato di nuovo l’evacuazione di alcune zone di Rafah
Nel sud della Striscia di Gaza, dove negli ultimi mesi si sono rifugiate centinaia di migliaia di civili: un'invasione via terra è considerata imminente, nonostante la contrarietà degli Stati Uniti
Sabato l’esercito israeliano ha chiesto agli abitanti di varie zone di Rafah, una delle principali città del sud della Striscia di Gaza, di allontanarsi il prima possibile: secondo molti osservatori si tratta di una mossa preparatoria a un futuro attacco via terra, che da mesi è considerato imminente ma di fatto non è ancora stato compiuto. Rafah è l’unica grande città della Striscia a non essere ancora stata invasa dalle forze armate israeliane, che dallo scorso ottobre combattono una guerra contro i miliziani di Hamas.
Come già fatto in passato, Israele ha cercato di avvisare gli abitanti di Rafah tramite post pubblicati sui social media, messaggi sms, chiamate telefoniche e anche volantini lanciati dall’alto sulla zona da evacuare. È stato detto loro di andare verso un rifugio temporaneo costruito ad al Mawasi, quindi verso la costa, nella parte sud-occidentale della Striscia. Il rifugio di al Mawasi, che Israele definisce come una “zona umanitaria sicura”, è però gravemente sovraffollato e non dispone delle risorse necessarie ad accogliere così tante persone: si stima che al momento Rafah ospiti più di un milione di civili, la maggior parte dei quali profughi arrivati da altre zone della Striscia nel tentativo di proteggersi dai bombardamenti.
Già a inizio maggio l’esercito israeliano aveva ordinato l’evacuazione della parte orientale della città: decine di migliaia di civili avevano quindi cominciato ad andarsene, spostandosi in molto casi verso rifugi temporanei o zone identificate come “sicure” da Israele. L’UNRWA, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di fornire assistenza umanitaria ai profughi palestinesi, ha stimato che circa 150mila civili abbiano già lasciato Rafah nelle ultime settimane, e che i nuovi ordini di evacuazione diffusi sabato interesseranno altre 300mila persone.
«Questa mattina, nella parte occidentale di Rafah, ovunque si guardi ci sono famiglie che stanno facendo i bagagli. Le strade sono molto più vuote», ha scritto sabato su X Louise Wateridge, una portavoce dell’UNRWA che si trova nella Striscia.
All’inizio della settimana l’esercito israeliano aveva preso il controllo del lato palestinese del varco di Rafah, l’unico confine di terra che collega la Striscia con un paese estero diverso da Israele, ossia l’Egitto. Negli ultimi mesi era stato il principale punto di passaggio degli aiuti umanitari.
Di una possibile invasione di Rafah si parla da settimane. Finora però Israele ha rimandato l’operazione, presumibilmente a causa della pressione esercitata dai suoi alleati, in particolare gli Stati Uniti, preoccupati tra le altre cose per le possibili gravi conseguenze sulla popolazione civile. Mercoledì il presidente statunitense Joe Biden ha detto per la prima volta che se Israele dovesse invadere Rafah, gli Stati Uniti sarebbero pronti a sospendere l’invio di armi e munizioni. Già martedì inoltre gli Stati Uniti avevano sospeso l’invio di un carico di circa 3.500 bombe.
L’esercito israeliano ha chiesto di evacuare la zona anche ai palestinesi che si trovano nei pressi di Jabalia, nel nord della Striscia, dove secondo Israele i miliziani di Hamas si starebbero riorganizzando. L’esercito israeliano sostiene che le richieste di evacuazione «rispettino il diritto internazionale» e siano un tentativo di «ridurre i danni per la popolazione civile».
Venerdì il dipartimento di Stato statunitense ha diffuso un rapporto che mette in dubbio l’effettiva volontà di Israele di limitare i danni per i civili, e ritiene plausibile (pur senza trarre conclusioni certe) che il paese abbia violato il diritto internazionale usando le armi e le munizioni inviate dagli Stati Uniti contro i civili.
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