Le proteste nelle università contro la guerra a Gaza si sono estese all’Europa
Coinvolgono meno studenti di quelle negli Stati Uniti ma stanno aumentando: hanno le stesse richieste e le stesse modalità, e in alcuni paesi sono state represse duramente dalla polizia
Nelle ultime settimane in varie università europee gli studenti hanno organizzato manifestazioni e proteste contro la guerra di Israele nella Striscia di Gaza, iniziata dopo i violenti attacchi di Hamas dello scorso 7 ottobre. Sebbene in alcune università queste proteste fossero iniziate con degli atti simbolici già all’inizio del 2024, quelle più recenti sono nate sulla scia di quelle che stanno avvenendo nei campus delle università statunitensi, che stanno avendo serie conseguenze sul mondo accademico e politico in tutti gli Stati Uniti.
In molti paesi, fra cui la Francia, l’Italia, la Germania, i Paesi Bassi e il Regno Unito, gli studenti hanno creato degli accampamenti con le tende all’interno o davanti alle sedi dell’università e in alcuni casi hanno anche provato a occuparne gli edifici. Le richieste sono molto simili a quelle avanzate negli Stati Uniti: chiedono che le loro università si espongano in modo fermo sulla necessità di un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza e, a seconda del paese, che vengano resi noti, indagati o del tutto interrotti i rapporti con università israeliane e organizzazioni che sostengono Israele.
Benché non abbiano raggiunto le dimensioni e il grado di partecipazione di quelle negli Stati Uniti, le proteste europee sono state comunque molto raccontate dai media, specialmente quelle che sono state più duramente represse dalla polizia, e stanno causando diversi problemi alle amministrazioni universitarie, come già avviene negli Stati Uniti. Alcune amministrazioni hanno deciso di assecondare parte delle loro richieste e in qualche caso hanno anche permesso che gli accampamenti restassero, mentre altre hanno represso le proteste sul nascere con l’aiuto della polizia, dando motivazioni diverse.
In Francia, le principali proteste sono avvenute a Parigi a Sciences Po, una delle università più importanti al mondo per lo studio delle scienze politiche, ma anche all’Università della Sorbona. A Sciences Po decine di studenti hanno provato più volte a occupare due sedi dell’università ma sono stati sempre sgomberati dalla polizia: alcune di queste brevi occupazioni sono state sostenute da altre centinaia di studenti e da diversi politici di sinistra, soprattutto appartenenti al partito di Jean-Luc Mélenchon, La France Insoumise, che si sono frapposti fra la polizia e l’entrata degli edifici occupati, prima di essere allontanati. L’importanza di Sciences Po per la Francia (è stata frequentata da cinque presidenti francesi e più di dieci primi ministri, inclusi gli attuali Emmanuel Macron e Gabriel Attal) ha fatto sì che le occupazioni fossero oggetto di moltissimi articoli e dibattiti televisivi, che hanno incluso anche la partecipazione di alcuni studenti.
L’amministrazione di Sciences Po ha sempre cercato di fermare le proteste il prima possibile impiegando centinaia di agenti di polizia, inclusi quelli appartenenti alle unità per l’antiterrorismo, che hanno sgomberato le occupazioni senza che si verificassero scontri violenti e arrestando, e poi rilasciando, solo due persone. Secondo gli studenti questo tempestivo dispiegamento di forze, ritenuto eccessivo per il numero di studenti coinvolti, e la mancanza di una repressione violenta sono stati dovuti all’attenzione mediatica e politica per Sciences Po.
L’università ha accettato parzialmente le richieste poste dagli studenti, fra cui quella di sospendere i procedimenti disciplinari contro la maggior parte di coloro che avevano preso parte alle occupazioni, ma si è rifiutata di creare una commissione d’indagine sui rapporti fra l’università e gli enti che sostengono Israele, cosa che ha portato a nuove proteste, nuovi sgomberi e la chiusura temporanea dell’università. Al campus di Sciences Po di Reims, una città vicina a Parigi, le contestazioni hanno portato alla chiusura dell’ateneo per due giorni e allo spostamento delle sessioni d’esame nelle aule dell’Università di Reims. Moltissimi studenti non si sono però presentati in segno di protesta. All’Università della Sorbona di Parigi 86 studenti sono stati posti in stato di fermo e poi rilasciati.
In questi giorni le proteste più discusse sono state però quelle avvenute nei Paesi Bassi, specialmente all’Università di Amsterdam, dove gli studenti hanno organizzato un sit-in davanti all’università e creato delle barricate per tenere lontana la polizia utilizzando mobili e mattoni di pietra divelti dalla pavimentazione delle strade; hanno poi occupato alcune sedi dell’università.
La polizia ha represso le proteste usando la forza contro gli studenti e distruggendo le loro tende, sostenendo che fosse «necessario per ristabilire l’ordine» dopo che le proteste erano diventate violente. Il giorno dopo si è scontrata con gli studenti che occupavano un’altra sede e ha utilizzato una scavatrice meccanica per rimuovere le barricate formate coi mattoni. Alla fine sono stati arrestati più di 160 studenti, ma solo due sono rimasti in custodia. In un comunicato diffuso poco dopo, l’Università di Amsterdam ha detto: «Condividiamo la rabbia e lo sconcerto per la guerra e comprendiamo che ci siano proteste al riguardo. Sottolineiamo però che all’interno dell’università il dialogo su questo tema è l’unica risposta».
Una risposta ancora più dura è arrivata dall’amministrazione della Libera Università di Berlino, in Germania, dove in seguito a un tentativo di occupazione di un edificio dell’università la polizia ha fermato 79 persone e ne ha arrestate alcune per violazione di proprietà e incitamento all’odio. Il rettore Günter Ziegler ha detto che «un’occupazione del terreno dell’UL di Berlino non è accettabile» e il sindaco della città, Kai Wegner, dell’Unione Cristiano-Democratica, di centrodestra, ha condannato la protesta, dicendo che «le nostre università non devono essere teatro di antisemiti, di chi odia Israele e di altri provocatori».
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In Italia un accampamento è stato creato all’Università di Bologna e si sono svolte nuove proteste all’Università della Sapienza di Roma, dove già nelle scorse settimane c’erano state diverse contestazioni e incontri con l’amministrazione. Martedì alcuni studenti hanno montato delle tende nel cortile dell’Università Federico II di Napoli, dopo che all’inizio di aprile avevano occupato gli uffici del Rettorato.
In quelle settimane gli studenti di diverse università avevano manifestato chiedendo che i loro atenei non partecipassero a un bando di cooperazione istituito dal ministero israeliano dell’Innovazione, Scienza e Tecnologia (MOST) e dal ministero italiano degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale (MAECI), per finanziare progetti di ricerca tra i due paesi in vari ambiti scientifici. L’iniziativa era stata molto criticata da studenti, professori e ricercatori, secondo i quali avrebbe rischiato di finanziare tecnologie cosiddette dual use, ossia sfruttabili sia a scopo civile che militare. Alcune università, fra cui la Scuola Normale Superiore di Pisa e l’Università di Torino, avevano deciso di non partecipare al bando.
Altri paesi in cui sono stati creati accampamenti all’interno dei campus universitari sono la Finlandia, la Danimarca e l’Austria.
Tuttavia, se le proteste sono state represse in alcuni paesi, altre hanno invece ricevuto grande sostegno. Durante un’intervista alla radio pubblica Radio 1 il primo ministro belga Alexander De Croo ha detto di essere favorevole all’imposizione di sanzioni nei confronti di Israele e si è detto solidale con gli studenti che stavano occupando in quel momento l’Università di Gand per protestare contro la guerra nella Striscia di Gaza: «Se fossi uno studente oggi, è probabile che anche io avrei fatto sentire la mia voce», ha aggiunto.
In Irlanda, un paese storicamente vicino alla causa palestinese, l’amministrazione del prestigioso Trinity College di Dublino ha detto di essere «solidale con gli studenti nel nostro orrore per quanto sta accadendo a Gaza» e che l’università ha iniziato un processo per «disinvestire» i fondi che ha messo «in aziende che hanno attività nei territori palestinesi occupati e che sono per questo incluse» nella lista delle Nazioni Unite delle compagnie che operano nelle colonie israeliane in Cisgiordania, considerate illegali dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
Nel Regno Unito sono state indette proteste in 14 università secondo il Guardian, fra cui anche all’Università di Oxford e a quella di Cambridge, fra le più importanti università al mondo. In quest’ultima un accampamento nel giardino davanti all’ingresso dell’università non è ancora stato rimosso, mentre a Oxford più di 200 professori e membri del personale hanno firmato una lettera che esprime la loro solidarietà con gli studenti.