L’Unione Europea userà una parte dei beni russi “congelati” in Europa per finanziare l’Ucraina
È una proposta di cui si discuteva da mesi, conseguenza delle sanzioni imposte alla Russia a causa della guerra: si parla di diversi miliardi di euro all'anno, che serviranno soprattutto per comprare armi e munizioni
Mercoledì i rappresentanti permanenti dei governi nazionali all’Unione Europea hanno approvato un piano per utilizzare una parte dei beni russi “congelati” in Europa a causa delle sanzioni per sostenere la resistenza ucraina all’invasione russa. Era un piano di cui si discuteva da qualche mese, anche se l’idea circolava già dalle prime settimane della guerra. Per entrare in vigore il piano dovrà essere approvato ufficialmente dal Consiglio dell’Unione Europea, l’organo in cui si riuniscono i ministri dei 27 paesi membri e che insieme alla Commissione Europea ha di fatto la competenza sulla politica estera dell’Unione.
A meno di sorprese il piano dovrebbe essere approvato nelle prossime settimane, in modo che i primi versamenti siano effettuati in estate. Per il 2024 si parla di circa 3 miliardi di euro, di cui poco meno di un miliardo disponibile da subito.
A partire dall’invasione russa dell’Ucraina, iniziata nel febbraio del 2022, l’Unione Europea ha imposto pesanti sanzioni alla Russia con l’obiettivo di indebolirne l’economia. Le sanzioni hanno previsto anche il congelamento di beni materiali e finanziari di proprietà di persone russe inserite in una “lista nera” perché considerate vicine al regime del presidente russo Vladimir Putin. Secondo le stime più aggiornate, i membri dell’Unione Europea hanno congelato beni finanziari (quindi principalmente soldi presenti su conti correnti) per circa 211 miliardi di euro. La maggior parte, circa 190 miliardi di euro, è stata data in gestione dall’Unione Europea alla compagnia finanziaria Euroclear, con sede in Belgio.
I conti sono congelati, quindi non sono accessibili in alcun modo agli oligarchi russi, ma continuano a maturare interessi: cioè denaro che le banche garantiscono ai proprietari dei conti correnti in cambio della disponibilità a gestire i soldi presenti sul conto. Si parla di parecchi soldi: secondo un calcolo citato da Reuters gli interessi sui conti russi congelati frutteranno fra i 15 e i 20 miliardi di euro entro il 2027.
I paesi dell’Unione discutevano da tempo di se e come usare questi soldi. E gli Stati Uniti chiedevano da mesi di confiscare definitivamente non solo gli interessi, ma anche gli stessi conti correnti. Diversi paesi europei però temevano di esporsi a cause legali da parte della Russia, e più in generale di danneggiare la credibilità finanziaria di alcuni stati dell’Unione, che prosperano anche grazie alla discrezione offerta dalle proprie banche. L’accordo finale riguarda solo gli interessi maturati da questi conti correnti.
È stato trovato un ulteriore compromesso su come utilizzare questi interessi: diversi paesi ostili a nuovi aiuti militari all’Ucraina come Austria e Ungheria hanno ottenuto che il 10 per cento degli interessi dei conti russi venga utilizzato per finanziare progetti umanitari in Ucraina. Il restante 90 per cento finanzierà la European Peace Facility (EPF), l’iniziativa con cui l’Unione rimborsa in parte i governi nazionali per le spese sostenute per fornire armi all’Ucraina.
La discussione sugli interessi dei conti correnti russi congelati in Europa era stata accelerata dalla necessità per l’Unione Europea di trovare nuove fonti di finanziamento per sostenere l’Ucraina. L’esercito ucraino è da mesi in grande difficoltà e ha continuo bisogno di munizioni, mezzi militari e altri strumenti per contenere l’avanzata dell’esercito russo, dopo il fallimento della controffensiva della scorsa estate.
Il Guardian scrive che diversi funzionari europei sperano di approvare sia il piano per utilizzare gli interessi dei beni russi congelati sia nuove sanzioni contro la Russia prima della fine di giugno. Dal primo luglio infatti la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea sarà assunta dall’Ungheria, il paese europeo di gran lunga più filorusso e perciò ostile a nuovi aiuti all’Ucraina.