È morto a 61 anni Steve Albini, chitarrista degli Shellac e storico produttore discografico
Steve Albini, chitarrista statunitense della band noise degli Shellac e storico produttore discografico che lavorò tra gli altri a In Utero dei Nirvana, è morto a 61 anni per un infarto. Albini era una figura di culto nel rock alternativo americano, e negli anni Novanta contribuì a definire il suono del grunge e del post-punk, lavorando come produttore in centinaia di dischi, compresi Surfer Rosa dei Pixies, Pod delle Breeders, Things We Lost in the Fire dei Low e Rid of Me di PJ Harvey.
Era stato anche apprezzato chitarrista, prima con i Big Black e i Rapeman, e poi soprattutto con gli Shellac, trio di noise rock con cui aveva inciso sei dischi: il più famoso, At Action Park, era del 1994. Il 17 maggio dovrebbe uscire To All Trains, il primo disco da dieci anni a questa parte della band, che è per questo sulla copertina del numero di giugno della rivista The Wire.
Albini, che era molto attivo su Twitter e negli ultimi anni si era fatto conoscere anche per le vigorose critiche all’industria discografica e per le frequenti prese di posizione progressiste, era un personaggio amato e rispettato come pochi altri nel contesto della musica alternativa americana e nelle nicchie di appassionati di generi come il post-hardcore, il math rock e il noise. Era uno di quei rari produttori la cui fama sconfinava dai soli addetti ai lavori, anche perché la sua importanza e la sua influenza veniva citata di frequente dalle band che lavoravano con lui, dai Mogwai ai Godspeed You! Black Emperor, dai Jesus Lizard agli Slint.
Albini nacque a Pasadena, in California, crebbe in Montana e si trasferì poi da giovane a Chicago, dove viveva ancora oggi. È famoso in particolare il lavoro che fece in In Utero dei Nirvana, in cui aiutò Kurt Cobain a individuare il suono che voleva dare alla sua band dopo che quello che era stato registrato nel disco precedente, Nevermind, non lo aveva soddisfatto. Albini era noto per restituire nei dischi che produceva un suono molto fedele a quello che le band avevano nei concerti dal vivo, interferendo poco nel processo artistico (si definiva più volentieri “ingegnere del suono”).
Mentre la maggior parte dei produttori del tempo registrava i vari musicisti separatamente e univa tutte le tracce in un secondo momento, Albini preferiva quando possibile registrare il gruppo mentre suonava insieme, catturando il riverbero in modo naturale attraverso decine di microfoni che venivano posizionati in diverse parti della stanza. Nel 1997 fondò a Chicago il suo studio di registrazione, l’Electrical Audio, famoso anche per le tariffe estremamente economiche che Albini volle mantenere.