Gli Stati Uniti hanno rimpatriato 23 persone occidentali che vivevano nei campi di detenzione per jihadisti in Siria
Gli Stati Uniti hanno rimpatriato 23 persone provenienti da paesi occidentali che vivevano nei campi di detenzione in Siria per chi ha o aveva legami con lo Stato Islamico (ISIS) o altri gruppi jihadisti. Undici sono statunitensi, uno è fratello di uno statunitense (ma senza cittadinanza), sei canadesi, quattro olandesi e uno finlandese: fra loro ci sono otto bambini.
Da ormai cinque anni, dopo la fine della guerra con lo Stato Islamico, migliaia di persone che avevano avuto legami con l’ISIS vivono in campi di detenzione in Siria, controllati dalle Forze Democratiche Curde, l’esercito curdo alleato degli Stati Uniti nella guerra allo Stato Islamico. Sono perlopiù donne e bambini (i minori sarebbero circa 29mila), alcuni nati proprio nei campi, altri orfani. La maggioranza è costituita da persone di nazionalità irachena o siriana, ma 9mila sono cittadini di altri 60 paesi, uomini e donne che avevano lasciato l’Europa o i paesi occidentali per unirsi allo Stato Islamico, e i loro figli. La gran parte dei paesi europei si è mostrata molto riluttante a rimpatriare queste persone, per timore che costituiscano un problema per la sicurezza.
Secondo il segretario di Stato americano Antony Blinken «l’unica soluzione definitiva alla crisi umanitaria e di sicurezza costituita dai campi di detenzione nel nord est della Siria è che i paesi rimpatrino, riabilitino e reintegrino i propri cittadini, dopo averli perseguiti per i loro eventuali crimini». Gli Stati Uniti non hanno comunicato le identità delle persone rimpatriate, ma i media statunitensi, fra cui il New York Times, hanno ricostruito che si tratta di una donna, Brandy Salman, sposata a un uomo turco, e dei suoi nove figli. Gli altri due rimpatriati sono i figli di un ex combattente dell’ISIS che sta scontando una pena detentiva negli Stati Uniti, ma che ha collaborato fornendo informazioni sullo Stato Islamico.