Gli Stati Uniti hanno sospeso l’invio di un nuovo carico di armi a Israele
Lo hanno detto diversi funzionari statunitensi, citando le preoccupazioni del governo che le bombe possano essere usate nell'invasione di Rafah
Martedì notte gli Stati Uniti hanno deciso di interrompere momentaneamente l’invio di un nuovo carico di armi a Israele. Lo hanno detto in forma anonima alcuni funzionari del governo statunitense a diversi giornali, citando la preoccupazione che le armi possano essere utilizzate dall’esercito israeliano nell’invasione di Rafah, città del sud della Striscia di Gaza dove nei mesi scorsi si sono rifugiati 1,4 milioni di civili palestinesi.
Secondo quanto riferito da un funzionario del governo degli Stati Uniti ad Associated Press, il carico di armi il cui invio è stato sospeso comprende 1.800 bombe da 900 chilogrammi e 1.700 bombe da 225 chilogrammi. Un funzionario statunitense ha detto al Washington Post che «Israele non dovrebbe lanciare una grossa operazione di terra a Rafah, dove più di un milione di persone si sta riparando senza nessun altro posto dove andare. Pensiamo soprattutto a come potrebbero essere usate bombe da 900 chilogrammi, e sull’impatto che potrebbero avere in ambienti urbani densi come abbiamo visto in altre parti di Gaza».
Un altro funzionario ha detto, sempre in forma anonima, che la sospensione dell’invio di armi è «un colpo di avvertimento» per evidenziare ai leader israeliani le preoccupazioni degli Stati Uniti sull’operazione militare a Rafah.
Rafah si trova nel sud della Striscia di Gaza, e fino a pochi giorni fa era l’ultima città della Striscia in cui i soldati israeliani non erano ancora entrati. Nella notte tra lunedì e martedì l’esercito israeliano è entrato nella parte orientale della città, per condurre un’operazione contro strutture e miliziani di Hamas, e poi ha preso il controllo del lato palestinese del varco di Rafah, importante confine via terra che collega la Striscia all’Egitto e che nei mesi scorsi era stato il principale punto di passaggio degli aiuti umanitari verso la Striscia.
Dopo averne preso il controllo le autorità israeliane hanno chiuso il varco sia in entrata che in uscita, senza dare indicazioni sulla durata del blocco, di fatto quindi interrompendo l’arrivo di aiuti umanitari nel sud della Striscia di Gaza, dato che nei scorsi giorni Israele aveva chiuso anche l’altro principale varco aperto, quello di Kerem Shalom (quest’ultimo è stato riaperto solo mercoledì mattina).
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Gli Stati Uniti hanno sempre fornito enormi quantità di aiuti militari a Israele, e questi erano aumentati molto dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre. Da tempo però il presidente statunitense Joe Biden è particolarmente critico nei confronti del governo israeliano per come sta gestendo la guerra nella Striscia di Gaza, dove finora sono stati uccisi più di 30mila civili palestinesi. Negli ultimi mesi Biden e altri membri del governo statunitense hanno più volte criticato l’eccessiva violenza dell’offensiva militare israeliana, così come il piano di invasione di Rafah.
Negli ultimi mesi sono molto aumentate le pressioni di parte dell’opinione pubblica su diversi governi di paesi occidentali affinché interrompano le forniture di armi a Israele in relazione all’invasione israeliana della Striscia di Gaza.
In una votazione che si è tenuta il 5 aprile al Consiglio per i diritti umani dell’ONU (UNHRC), organo delle Nazioni Unite che si occupa della difesa dei diritti umani, era stata approvata una risoluzione che chiedeva di vietare la vendita di armi a Israele. La risoluzione, approvata con 28 voti favorevoli su 47 (con 6 contrari e 13 astensioni), chiedeva ai paesi membri di «bloccare la vendita, il trasferimento e la fornitura di armi, munizioni e altri equipaggiamenti militari a Israele», citando in particolare il rischio del «genocidio» della popolazione palestinese. I maggiori paesi esportatori di armi a Israele, Stati Uniti e Germania, avevano votato contro.