Si parla tantissimo di Unione Europea alle elezioni in Macedonia del Nord
Negli ultimi vent'anni il paese balcanico ha cercato di andare d'accordo con Grecia e Bulgaria per riuscire a entrare nell'Unione: oggi potrebbe eleggere un presidente e un governo meno interessati a farlo
Mercoledì in Macedonia del Nord si vota sia per le parlamentari, per rinnovare il parlamento monocamerale, sia per il secondo turno delle presidenziali, dopo il primo che si era tenuto il 24 aprile. A contrapporsi sono le due coalizioni Per un futuro europeo e Per una Macedonia migliore, guidate rispettivamente dai due principali partiti del paese: l’Unione Socialdemocratica di Macedonia (SDSM), di centrosinistra, filoeuropeo, e alla guida dell’attuale coalizione di governo, e il Partito Democratico per l’Unità Nazionale Macedone (VMRO-DPMNE), di centrodestra e più nazionalista, che al momento è avanti nei sondaggi. Per un futuro europeo raccoglie 17 partiti, mentre Per una Macedonia migliore è composta da 22.
Come è capitato per tutte le elezioni degli ultimi anni, al centro del dibattito politico si trova la possibile adesione del paese all’Unione Europea, un obiettivo che la Macedonia del Nord sta cercando di raggiungere da vent’anni, per ora senza successo. I sondaggi dicono che a queste elezioni gli elettori sembrano però voler premiare il partito meno interessato all’entrata nell’Unione, che si concentra più su problemi interni e ha una retorica più nazionalista.
La Macedonia del Nord è un paese della penisola balcanica con 2 milioni di abitanti. Non ha sbocchi sul mare e confina con Bulgaria, Grecia, Albania, Serbia e Kosovo. Nel 2004 presentò domanda per entrare nell’Unione Europea, ma in tutti questi anni non è riuscita a diventare membro, principalmente a causa dei suoi complicati rapporti con la Grecia e la Bulgaria, entrambe già parte dell’Unione: l’adesione di un nuovo membro deve essere votata all’unanimità da tutti gli altri paesi, e Grecia e Bulgaria si erano sempre dette contrarie per ragioni legate a dispute etniche e culturali.
Pur di migliorare le sue possibilità per entrare nell’Unione, nel 2018 il paese aveva ceduto alle richieste della Grecia e cambiato nome da Macedonia a Macedonia del Nord, firmando il cosiddetto “accordo di Prespa”: fra i due paesi era in corso una disputa sull’eredità culturale dell’antico popolo macedone cominciata nel 1991, quando la Macedonia dichiarò la sua indipendenza dalla Jugoslavia scegliendo il nome “Repubblica di Macedonia”, lo stesso che aveva quando faceva parte della federazione jugoslava. All’epoca alcuni cittadini e politici greci accusarono però il nuovo paese di essersi appropriato di un nome e di un’identità culturale e storica appartenenti a un’area geografica che rientra nei confini dello stato greco, la regione della Macedonia appunto.
La Macedonia del Nord aveva chiesto in cambio l’inizio dei negoziati con l’Unione Europea e l’adesione alla NATO, l’alleanza militare che comprende gran parte dei paesi occidentali, cosa che era successa ufficialmente nel 2020. Al tempo i cittadini macedoni avevano sperato che questo fosse sufficiente per far cominciare i negoziati con l’Unione, ma a quel punto a porre il veto era stata la Francia, che aveva bloccato allo stesso modo anche la candidatura dell’Albania.
Anche le relazioni problematiche con la Bulgaria si rifanno all’inizio degli anni Novanta: nonostante il paese fosse al tempo uno dei principali sostenitori dell’indipendenza della Macedonia del Nord, in questi anni non ha mai veramente voluto riconoscere il paese come una nazione etnicamente e linguisticamente separata. Dopo la rimozione del veto francese, la Bulgaria ha bloccato l’inizio dei negoziati fra la Macedonia del Nord e l’Unione fino al 2022.
Al momento la Bulgaria continua a voler impedire alla Macedonia del Nord di diventare uno stato membro: negli anni le sue richieste sono cambiate, ma ora chiede che sia inserita nella Costituzione macedone una menzione e una protezione per la minoranza etnica bulgara. Secondo la Bulgaria, questa comunità sarebbe composta da 100mila persone, mentre in un censimento svolto dallo stato macedone nel 2021 solo poco più di 3mila cittadini si sono definiti tali. Per una modifica simile della Costituzione servirebbe un’approvazione di due terzi del parlamento, un consenso che ad oggi non c’è.
La popolazione macedone è ancora ampiamente filoeuropea, ma le lentezze dei negoziati hanno ridotto il sostegno, o forse l’interesse, verso il tema. Quando la Macedonia del Nord presentò la sua candidatura, nel 2004, il sostegno all’entrata nell’Unione era attestato fra l’85 e il 90 per cento; ora è sceso al 65.
In particolare i partiti nazionalisti, oggi all’opposizione, hanno mantenuto una retorica piuttosto dura in campagna elettorale, mostrando di non voler scendere a troppi compromessi quando si parla di Unione Europea.
Gordana Siljanovska Davkova, la candidata presidente appoggiata dal partito di opposizione VMRO-DPMNE, ha più volte detto per esempio di non voler fare compromessi con la Bulgaria sulle sue richieste relative alla minoranza bulgara, oltre a parlare esplicitamente di “Macedonia” e non di “Macedonia del Nord”, innervosendo quindi il governo greco. Al primo turno delle elezioni presidenziali Gordana Siljanovska Davkova è stata la candidata più votata: ha ottenuto il 41,2 per cento dei voti contro il 20,5 per cento dell’attuale presidente, Stevo Pendarovski dell’SDSM. Sono proprio loro due a essere arrivati al ballottaggio.
Anche nei sondaggi per le elezioni parlamentari il VMRO-DPMNE è leggermente in vantaggio. Durante la campagna elettorale il suo leader e probabile nuovo primo ministro in caso di vittoria, Hristijan Mickoski, ha detto che non avrebbe mai votato per leggi che avrebbero portato a una modifica della Costituzione «per ordine della Bulgaria, né ora né in futuro».
Nonostante i toni Athanasios Loupas, esperto di storia balcanica, ha detto a Politico che queste tensioni potrebbero attenuarsi una volta passato il voto e che sono più che altro create per aumentare un consenso interno. Secondo Loupas è infatti improbabile che VMRO-DPMNE sacrificherà «la prospettiva di entrare nell’Unione Europea sull’altare della sua retorica nazionalista».