I civili a Rafah non sanno più cosa fare
In questi giorni sono passati dalle false speranze per un cessate il fuoco a dover scappare da una nuova offensiva israeliana: molti sono disperati, molti rassegnati
Nella notte tra lunedì e martedì, quando ha cominciato a diffondersi la notizia che Hamas aveva «accettato» una proposta per un cessate il fuoco, molti civili a Gaza sono scesi in strada a festeggiare, convinti che fosse stato raggiunto una specie di accordo di pace, seppur temporaneo. Le cose però non stavano così: la proposta «accettata» da Hamas non era quella condivisa con Israele, ma quella avanzata da due stati mediatori, Qatar ed Egitto, e nessun accordo era stato raggiunto.
Poche ore dopo, l’esercito israeliano ha compiuto un’operazione militare al varco di Rafah, la città nel sud della Striscia di Gaza che ospita 1,4 milioni di civili, la maggioranza dei quali profughi: in poche ore i palestinesi sono passati dai festeggiamenti a dover decidere dove rifugiarsi per fuggire ai bombardamenti israeliani e ai combattimenti.
I civili palestinesi vivono da mesi situazioni del genere: dall’inizio della guerra, milioni di persone hanno dovuto abbandonare prima le proprie case e successivamente gli alloggi di fortuna in cui erano fuggiti, per scappare dai bombardamenti israeliani che via via si estendevano nella Striscia di Gaza. Molto spesso gli avvisi di evacuazione dell’esercito israeliano sono arrivati con scarso preavviso, sufficiente appena per prendere poche cose e andare via. E molto spesso gli avvisi sono stati confusi e difficili da mettere in pratica. C’è anche almeno un caso confermato in cui l’esercito ha bombardato i luoghi in cui aveva fatto evacuare i civili, a dicembre del 2023.
Gli scorsi giorni, però, sono stati particolarmente confusi anche per i civili palestinesi abituati da mesi ad avere la propria vita stravolta dalla guerra: è stato come stare sulle «montagne russe», ha scritto il Wall Street Journal.
Per esempio lunedì, quando è arrivata la notizia che Hamas aveva «accettato» una proposta di tregua, a Rafah centinaia di migliaia di persone che da mesi sono lontane da casa hanno sperato di poter tornare. Poi è arrivata la delusione quando si è capito che non era stato raggiunto alcun accordo. «Avevo iniziato a preparare le valigie ed ero pronta a ritornare nel mio quartiere a Gaza City, ma la cattiva notizia ci ha colto di sorpresa», ha detto a BBC Rasha Sheikh Khalil, una donna sfollata a Rafah, dove vive in una tenda.
A Gaza contribuisce alla confusione e alla diffusione di notizie incontrollate il fatto che la rete internet è instabile e i blackout frequentissimi, cosa che molto spesso rende complicato capire cosa sta succedendo.
«Non possiamo fare nessun piano», ha detto al Wall Street Journal Zahra Shweikhi, una donna che vive anche lei in una tenda a Rafah. «Continuiamo a sentire notizie che i negoziati si interrompono e ricominciano, vanno bene e vanno male. Ma siamo disperati ed esausti, e tutto ci può dare speranza, anche la notizia falsa di un accordo».
Nel frattempo, l’esercito israeliano ha continuato a portare avanti i preparativi per l’invasione di Rafah: lunedì ha ordinato l’evacuazione di più di 100 mila persone dalla città, e martedì ha attaccato il varco.
I civili palestinesi sono stati costretti a scappare per l’ennesima volta. CNN ha parlato con Rabee Gharableh, un uomo che ha fatto sette evacuazioni dall’inizio della guerra, scappando da una città all’altra, e che è appena stato sfollato di nuovo da Rafah: «La situazione è molto difficile. Siamo scappati per paura, perché le case dei civili sono prese di mira».
L’ordine di evacuazione emesso da Israele per più di centomila persone a Rafah (che probabilmente sarà allargato, man mano che le operazioni militari in città si estenderanno) ha complicato ulteriormente le cose. L’esercito ha ordinato alla popolazione di trasferirsi ad al Mawasi, un’ampia zona sulla costa fuori dalle grandi città. In teoria, l’esercito avrebbe preparato ad al Mawasi tende per gli sfollati, infrastrutture e un ospedale da campo.
Ma i civili palestinesi e le organizzazioni umanitarie dicono che l’area è già affollata e che manca il necessario per vivere, dall’acqua potabile al cibo. «Non è un posto in cui le persone possono montare una tenda e in cui possono riuscire a soddisfare i propri bisogni primari», ha detto a CNN Scott Anderson, uno dei dirigenti dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i profughi palestinesi (UNRWA).
Altri palestinesi stanno cercando di tornare a Khan Yunis, la più grande città del centro della Striscia, ma mesi di guerra hanno ridotto moltissimi edifici in macerie: anche lì non ci sono le condizioni per vivere. Il Wall Street Journal ha raccontato la storia di Noureddine Zaki, un uomo di Khan Yunis, che all’inizio degli scontri era stato costretto a lasciare la città. Quando lo scorso mese l’esercito israeliano si era ritirato, Zaki era rientrato nella propria casa, ma l’aveva lasciata di nuovo perché non c’era acqua e le strutture erano a rischio di crollo.
Si era poi trasferito con la sua famiglia a Rafah, come tanti, ma la nuova offensiva dell’esercito israeliano l’ha costretto a scappare di nuovo. A quel punto, ha deciso di tornare definitivamente a casa sua, a Khan Yunis, nonostante il rischio di crolli: «Non c’è più niente qui, ma dove altro possiamo andare?».