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  • Mercoledì 8 maggio 2024

Tutto quello che sai dell’Ohio è falso

Esce oggi in libreria il nuovo numero di Cose spiegate bene, si intitola “Ogni quattro anni” e si occupa di politica americana

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Il nuovo numero di Cose spiegate bene, la rivista del Post dedicata a spiegare approfonditamente singoli temi, si intitola Ogni quattro anni, che sono i quattro anni che passano fra le elezioni presidenziali statunitensi: si occupa quindi della politica negli Stati Uniti e da oggi è disponibile in libreria.
In vista delle elezioni che si terranno a novembre, spiega i meccanismi che portano all’elezione del presidente degli Stati Uniti, racconta storie di presidenti notevoli, e affronta temi più direttamente legati alla politica e altri apparentemente più distanti ma molto presenti nella discussione pubblica. Ogni quattro anni è illustrato da Simon Landrein, e contiene contributi di Lucia Annunziata, Marco Cassini, Claudia Durastanti e Linus.
Questo decimo numero di Cose spiegate bene può essere acquistato, oltre che nelle librerie, sul sito del Post (con spedizione gratuita) e nelle librerie online di Amazon, Bookdealer, Feltrinelli e IBS. Questa è l’introduzione di Ogni quattro anni scritta dal vicedirettore del Post Francesco Costa.

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Fate una prova: andate su Google e cercate «Ohio d’Italia», con le virgolette. Poi divertitevi a scorrere i titoli dei risultati. La città di Firenze è «l’Ohio d’Italia», scriveva un importante quotidiano italiano prima delle ultime comunali. Ma un altro giornale aveva scritto lo stesso di Napoli, prima di un’altra elezione. Perché fermarsi lì? L’intera Campania si può considerare «l’Ohio d’Italia», si leggeva prima delle ultime regionali. Sui nostri media «l’Ohio d’Italia» era già stata la Lombardia nel 2013, l’Umbria nel 2019, la Toscana nel 2020. A un certo punto toccò anche al Molise. Succede per la nota propensione giornalistica a spiegarsi con i luoghi comuni, ma è molto chiaro cosa intenda chi utilizza questa espressione: sta parlando di un luogo decisivo, rappresentativo, in bilico fra destra e sinistra, capace di indicarci dove soffia il vento.

Qual è il problema? Che l’Ohio non è più quella roba lì. Era il 2012 quando per l’ultima volta il risultato in Ohio fu effettivamente esemplare e deciso da un minimo scarto, e allora le cose stavano già cambiando. Alle presidenziali del 2016, poi, il candidato del partito Repubblicano vinse in Ohio di ben otto punti, non un risultato da stato «in bilico». Lo stesso accadde nel 2020. Come se non bastasse, malgrado il vecchio detto secondo cui «dove va l’Ohio, va il resto del paese», all’ultimo giro il candidato vincente in Ohio… ha perso le presidenziali. Il paese è andato dalla parte opposta. Ci hanno mentito sull’Ohio. Ma non è questa la cosa più interessante. La cosa più interessante è perché l’Ohio non sia più l’Ohio. La fine della grande espansione economica seguita alla Seconda guerra mondiale ha coinciso con l’inizio della globalizzazione, tra gli anni Ottanta e Novanta, e col trasferimento all’estero di fabbriche e posti di lavoro. La classe operaia bianca, che aveva trainato l’economia della regione che comprende anche l’Ohio, all’epoca di gran lunga la più sviluppata, era stata creata e difesa anche dall’alleanza strategica fra i sindacati e il partito Democratico. Improvvisamente si ritrovò a fare i conti con la disoccupazione, l’abbandono di interi quartieri, la tossicodipendenza.

Nell’arco di una o due generazioni, le trasformazioni economiche e sociali del paese hanno ribaltato i rapporti di forza: oggi la regione più forte è il Sud, un tempo povero e spopolato. Stati come l’Arizona e la Georgia, città come Dallas, Austin, Denver, Miami e Las Vegas crescono a ritmi da metropoli asiatica e accolgono ogni anno centinaia di migliaia di persone in fuga dal Nord. L’aumento della distanza tra le città e la provincia si è saldato ai meccanismi confermativi prodotti dai nuovi media, frammentando la popolazione in comunità che si guardano in cagnesco. Nel frattempo il paese diventa sempre meno bianco e il parametro più efficace per prevedere le opinioni politiche di ciascuno è diventato il titolo di studio: più del reddito, più del colore della pelle. A fronte del radicale cambiamento delle proprie condizioni di vita, la classe operaia bianca dell’Ohio ha smesso di essere un segmento rappresentativo del paese e ha cambiato altrettanto radicalmente il proprio sguardo sulla realtà. Un nuovo partito Repubblicano, molto meno interessato ai tagli al welfare rispetto al passato e molto più ostile alla globalizzazione, irritato dalla polizia del linguaggio e spaventato dall’immigrazione, ha adottato strategie e retoriche sempre più aggressive e demagogiche, facendosi sobillatore, catalizzatore e amplificatore di rivendicazioni rabbiose e sempre più estremiste.

Ecco spiegato perché l’Ohio non è più l’Ohio. Ma soprattutto, ecco spiegate quante cose possono cambiare negli Stati Uniti in una manciata di decenni. Pensate a quella notizia di qualche anno fa secondo cui a Firenze le stesse famiglie controllano da seicento anni il grosso delle risorse della città (era uno studio della Banca d’Italia, possiamo fidarci). Poi pensate a come in meno di mezzo secolo negli Stati Uniti siano state messe in discussione alcune delle caratteristiche fondative della nazione, dal predominio assoluto dei bianchi sugli altri gruppi etnici fino a quello dei conservatori nella borghesia bianca di provincia; dalla subalternità economica del Sud al Nord fino alla sacralità delle istituzioni. Gli Stati Uniti vanno avanti veloce, come si faceva con le videocassette, sia quando si ergono che quando sprofondano: e tra una puntata e l’altra cambiano più di quanto possa farci intuire tutto il loro content. Una volta un politico americano disse che «ci sono le cose che sappiamo di sapere e quelle che sappiamo di non sapere; poi ci sono le cose che non sappiamo di non sapere». Era una frase contorta ma vera. Questo numero di COSE prova a metterci qualche toppa, ne vale la pena: hai visto mai qualcuno un giorno provi a vendervi quella dell’Ohio d’Italia.