La più grande città del Darfur, in Sudan, è circondata da settimane
Al Fashir si sta preparando all'attacco delle Forze di supporto rapido, una delle due milizie che combattono da oltre un anno una guerra civile: la situazione in città è terribile e si temono nuovi massacri etnici
In Sudan la città di Al Fashir, la capitale della regione del Darfur settentrionale, da metà aprile è sotto assedio da parte del gruppo paramilitare conosciuto come Forze di supporto rapido (RSF nell’acronimo inglese), cioè la milizia che da un anno combatte contro l’esercito regolare sudanese (Sudanese Armed Forces, SAF) una durissima guerra civile. Negli scorsi giorni le Nazioni Unite avevano definito imminente un’invasione su larga scala, che potrebbe provocare un ulteriore peggioramento delle condizioni umanitarie in città, già gravemente deteriorate dalle ultime settimane di assedio.
Un altro timore è che l’ingresso delle RSF in città provochi massacri etnici nei confronti della popolazione. Il Darfur era già stato oggetto di terribili attacchi su base etnica a partire dal 2003, quando durante una guerra civile la popolazione locale fu massacrata in quello che molti definirono un genocidio. Il rischio è che la stessa situazione possa ripetersi ad Al Fashir: la scorsa settimana l’alto commissario dell’ONU per i diritti umani Volker Türk ha detto di essere «gravemente preoccupato per l’escalation di violenza dentro e intorno ad Al Fashir» e ha parlato esplicitamente di «attacchi indiscriminati» nei quartieri residenziali della città.
Al Fashir ha circa 300 mila abitanti ed è l’unica grande città del Darfur a non essere ancora stata conquistata dalle RSF, che controllano già quattro dei cinque stati che compongono il Darfur. Secondo Toby Harward, coordinatore per il Darfur dell’UNHCR, l’agenzia ONU per i rifugiati, le persone presenti in città sarebbero tuttavia 1,5 milioni, delle quali circa 800 mila sarebbero rifugiati interni arrivati in città da altre parti del Darfur.
Come ha scritto la giornalista sudanese Zeinab Mohammed Salih sul Financial Times, ad Al Fashir le persone si stanno preparando all’imminente attacco delle RSF: in città vengono tenuti corsi di primo soccorso per poter aiutare chi verrà ferito e distribuiti volantini che spiegano come si prepara un corpo per la sepoltura. Un cittadino di Al Fashir intervistato da Salih, nello spiegare il peggioramento della situazione per i civili, ha detto che «la morte è diventata la normalità» e che «oggi non ci si ferma più di tanto quando si viene a sapere che un proprio conoscente è stato ucciso». Secondo le stime dell’ONU dal 2003 al 2023 le violenze in Darfur hanno causato milioni di rifugiati e 300 mila morti.
L’attuale guerra civile in Sudan è cominciata l’anno scorso ed è combattuta tra l’esercito regolare del Sudan, comandato dal presidente del paese, il generale Abdel Fattah al Burhan, e le RSF, comandate da quello che al tempo era il vicepresidente del paese, il generale Mohamed Hamdan Dagalo, noto anche come Hemedti. Da alcuni mesi, le RSF hanno guadagnato via via sempre più terreno, fino ad arrivare a minacciare il Darfur.
I timori di massacri etnici nascono dal fatto che le RSF discendono direttamente da Janjaweed, le milizie arabe che durante una precedente guerra civile, nel 2003, compirono i peggiori massacri in Darfur, regione a maggioranza non araba. Nel 2003, secondo l’ong Human Rights Watch, i Janjaweed furono responsabili di uccisioni, stupri e crimini di guerra compiuti soprattutto contro le comunità non arabe. Per quelle violenze l’allora presidente sudanese Omar al Bashir, con cui i Janjaweed erano alleati, fu incriminato dalla Corte Penale Internazionale per crimini di guerra e genocidio.
Secondo Linda Thomas-Greenfield, che rappresenta gli Stati Uniti al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, la città di Al Fashir in questo momento sarebbe «sull’orlo di un massacro su larga scala». Un massacro che si aggiungerebbe a una situazione umanitaria già critica sia a causa degli scontri armati nella regione del Darfur che per la carestia in corso. Come ha scritto Declan Walsh, corrispondente del New York Times, nel campo profughi di Zamzam, a soli 7 chilometri da Al Fashir, il 40 per cento dei bambini di età compresa tra i 6 mesi e i 2 anni soffre di grave malnutrizione, tanto che secondo l’ong Medici Senza Frontiere la situazione sarebbe «catastrofica».
Nelle scorse settimane, secondo le Nazioni Unite, ad Al Fashir sarebbero morti almeno 43 civili, tra cui dei bambini: l’aviazione di cui dispone l’esercito regolare sta attaccando le postazioni delle RSF, che rispondono con bombardamenti che colpiscono principalmente abitazioni civili.
Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU lo scorso lunedì 29 aprile si è riunito in una sessione di emergenza a porte chiuse, al termine della quale Thomas-Greenfield ha detto che «la storia in Darfur si ripete nel peggior modo possibile». Il riferimento della diplomatica statunitense è ai massacri compiuti dai Janjaweed nel 2003.
Nonostante la grave scarsità di cibo e beni di prima necessità le Nazioni Unite, che sono presenti nella regione e che fino al 2020 gestivano UNAMID (la missione di pace congiunta dell’ONU e dell’Unione africana in Darfur), stanno avendo difficoltà a far arrivare gli aiuti umanitari a destinazione. Le RSF stanno bloccando gli aiuti nell’area di Melit, una cittadina a nord-est di Al Fashir. Mentre l’esercito sudanese ha bloccato gli aiuti internazionali che arrivano attraverso il Ciad, a esclusione della porzione di confine controllata da gruppi alleati.
Negli scorsi anni ong e agenzie che operano in Darfur hanno dovuto sospendere le loro attività e lasciare il paese: nell’aprile del 2023 furono uccisi tre lavoratori del Programma alimentare mondiale, noto anche come PAM o con l’acronimo inglese WFP, e l’episodio spinse l’agenzia a sospendere temporaneamente tutte le operazioni in Sudan.
L’importanza di Al Fashir è anche strategica: se le RSF conquistassero l’intera città controllerebbero circa un terzo dell’intero Sudan, uno dei paesi più grandi dell’Africa popolato da quasi 50 milioni di persone: secondo alcuni analisti, non è da escludere una partizione del paese, con a ovest le RSF del comandante Hemedti in controllo dell’intero Darfur, mentre a est l’esercito regolare comandato dal generale Abdel Fattah al Burhan che oggi ha la sua base a Port Sudan, sul mar Rosso.
– Ascolta anche: Globo – Capirci qualcosa degli scontri in Sudan, con Sara De Simone