La società cinese ByteDance ha fatto ricorso contro la legge che le impone di vendere TikTok negli Stati Uniti

Una protesta a favore di TikTok vicino al Congresso a marzo (AP Photo/J. Scott Applewhite)
Una protesta a favore di TikTok vicino al Congresso a marzo (AP Photo/J. Scott Applewhite)

La società cinese ByteDance, proprietaria del social network TikTok, ha annunciato martedì di aver depositato un ricorso contro la legge che le impone di vendere entro nove mesi la sua divisione statunitense. La legge era stata firmata meno di due settimane fa dal presidente Joe Biden, dopo essere stata approvata dal Congresso. Il ricorso di ByteDance si basa sulla presunta incostituzionalità della legge, che violerebbe il Primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, quello che tutela la libertà di espressione. Il ricorso è stato presentato alla Corte d’Appello di Washington, ma secondo molti esperti il caso probabilmente arriverà alla Corte Suprema.

La legge obbliga ByteDance a vendere entro nove mesi (che possono diventare dodici) il social network TikTok e tutte le tecnologie correlate, come il suo algoritmo, a un investitore non legato al governo cinese. Se per allora ByteDance non riuscirà a trovare un acquirente, la legge prevede un blocco della piattaforma negli Stati Uniti.

Da tempo molti politici statunitensi sono preoccupati dai rapporti stretti del governo cinese con ByteDance (e in generale con tutte le grandi società del paese). Oltre 170 milioni di americani sono iscritti a TikTok, che raccoglie grandi quantità di dati sugli utenti: i promotori della legge temono che possa passarli al governo cinese per motivi di intelligence. Un’altra preoccupazione riguarda la possibilità che il governo cinese possa usare l’algoritmo di TikTok, l’efficacissimo strumento con cui la piattaforma consiglia agli utenti i video che considera più attraenti per loro, per promuovere o censurare determinati contenuti influenzando in questo modo la popolazione americana.

ByteDance sostiene che vendere la parte della società che opera sul mercato statunitense non sia praticabile «per motivi commerciali, tecnologici e legali», per la natura globale del social network, e che il conseguente divieto a operare sarebbe una violazione della libertà di espressione.

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