Con Tadej Pogačar non ci si annoia mai
Nelle prime tre tappe del Giro d'Italia il ciclista sloveno è sempre stato protagonista, provando a vincere anche quando non sembrava necessario
Lo scorso sabato è iniziato il Giro d’Italia maschile, una delle più importanti corse a tappe di ciclismo su strada al mondo, e il protagonista delle prime tre giornate è stato senza dubbio il 25enne sloveno Tadej Pogačar, che da domenica è primo in classifica e veste quindi la maglia rosa. Pogačar è considerato uno dei migliori ciclisti del mondo ed è la prima volta che partecipa al Giro: la gente non si aspetta solamente che lo vinca, ma anche che dia in qualche modo spettacolo tutti i giorni. E per il momento, Pogačar non sta deludendo le aspettative molto alte che ci sono su di lui.
Nella prima tappa, quella corsa tra Venaria Reale e Torino, ha attaccato (cioè ha accelerato provando a staccare il gruppo) su una salita a tre chilometri e mezzo dalla fine, arrivando però terzo, superato in volata dall’ecuadoriano Jhonatan Narváez e dal tedesco Maximilian Schachmann. Il secondo giorno, dopo aver forato una gomma ed essere caduto, Pogačar ha recuperato velocemente il gruppo e ha poi staccato tutti a circa cinque chilometri dall’arrivo, arrivando da solo al traguardo del Santuario di Oropa, in provincia di Biella, a 1.150 metri di altitudine.
La terza tappa, quella corsa lunedì da Novara a Fossano, è stata ancor più eccezionale, perché era considerata una tappa per velocisti. Pogačar, già maglia rosa con 45 secondi di vantaggio sul secondo in classifica generale, non aveva bisogno di attaccare: era una tappa di quelle in cui i ciclisti che puntano alla vittoria del Giro solitamente “si riposano”, in cui il gruppo arriva compatto e i corridori più forti in volata si giocano la vittoria negli ultimi metri. A circa tre chilometri dalla fine però, su un tratto in salita prima dell’arrivo in pianura, il danese Mikkel Honoré ha provato a staccare il gruppo e Pogačar, assieme al gallese Geraint Thomas (attualmente secondo in classifica generale), lo ha seguito. Pogačar e Thomas hanno staccato Honoré, prima di essere ripresi a 150 metri dal traguardo.
Lo scatto di Pogačar non ha portato risultati in termini di classifica generale, ma ha entusiasmato il pubblico e soprattutto ha smentito chi pensava che lo sloveno avesse intenzione di conservare le energie, vincendo il Giro d’Italia senza strafare. A luglio infatti Tadej Pogačar correrà anche il Tour de France, la più importante corsa a tappe che c’è, nella quale finora in quattro partecipazioni ha chiuso due volte al primo posto e due volte al secondo. L’obiettivo di Pogačar è quello di vincere nello stesso anno il Giro d’Italia e il Tour de France, una cosa che un ciclista non fa dal 1998, quando ci riuscì Marco Pantani.
Alla fine della tappa il ciclista gallese Geraint Thomas, che ha 38 anni e sta provando a tenere il ritmo di Tadej Pogačar, su X (Twitter) ha scritto: «Va bene ragazzo, ti sei divertito. Domani possiamo avere una bella giornata tranquilla?»
A 25 anni, Tadej Pogačar ha già vinto più di 70 corse, tra cui due Tour de France e tre delle cinque cosiddette classiche monumento, le corse di un giorno con più storia e importanza (ha vinto tre volte il Giro di Lombardia, due volte la Liegi-Bastogne-Liegi e una volta il Giro delle Fiandre). È un ciclista che dà il meglio di sé in salita, ma che può tendenzialmente vincere qualsiasi corsa o tappa a cui partecipa, e che quasi sempre prova a farlo. La sfrontatezza con cui affronta ogni corsa ha reso Pogačar uno dei ciclisti più amati dai tifosi.
Fino a qualche anno fa, il ciclismo per molti era diventato uno sport poco entusiasmante. Il Team Sky (oggi Ineos Grenadiers) ha dominato i grandi giri negli anni Dieci, vincendo con i suoi ciclisti sette Tour de France, tre Giri d’Italia e due Vuelta a España, con un modo di correre basato sul controllo totale della corsa e sulla minimizzazione dei rischi. Raramente i ciclisti del Team Sky partivano in azioni solitarie (rimase per questo storica quella di Chris Froome al Giro d’Italia del 2018) e spesso le grandi corse a tappe venivano vinte perché la squadra, gestendo il ritmo di ogni gara, riusciva a impedire agli avversari di prendere iniziative.
Negli ultimi anni però una nuova generazione di corridori ha cambiato un po’ le cose, unendo alla cura dei dettagli del ciclismo moderno (lo studio dell’aerodinamica, i miglioramenti tecnologici, l’attenzione alla psicologia e alla nutrizione) un’interpretazione dello sport basata comunque sugli exploit individuali, come succedeva più spesso nel ciclismo storico.
Tadej Pogačar è forse il principale esponente di questo nuovo modo di intendere il ciclismo d’élite, ma con lui ci sono il danese Jonas Vingegaard, che ha vinto gli ultimi due Tour de France proprio davanti a Pogačar, e poi il belga Remco Evenepoel, campione del mondo nel 2022 in linea e nel 2023 a cronometro, e infine il belga Wout Van Aert e l’olandese Mathieu van der Poel, capaci di vincere corse diversissime tra loro, anche nel ciclocross (una disciplina molto differente dal ciclismo su strada).
Negli ultimi due anni, soprattutto quando ha perso la sfida con il suo avversario Jonas Vingegaard al Tour de France, diversi opinionisti si sono chiesti se a volte Pogačar non sia troppo aggressivo, se non esageri a voler attaccare sempre, sprecando energie inutilmente. Lunedì, all’arrivo di Fossano, lo sloveno avrebbe potuto restare tranquillamente in gruppo, ma invece ha scelto di esporsi e di rispondere all’attacco di Honoré (un ciclista che non può competere con lui per la classifica generale). Proprio Honoré, pochi giorni prima dell’inizio del Giro, in un’intervista aveva detto che sarebbe stato incredibile per lui affrontare Pogačar, definendolo «semplicemente un ragazzino che si diverte in bicicletta: è bello correre contro qualcuno del genere».