La Commissione Europea sta facendo pace con la Polonia
Ha annunciato che chiuderà una grave procedura aperta da oltre sei anni per le violazioni dello stato di diritto del precedente governo di estrema destra: il nuovo primo ministro Donald Tusk ha cambiato le cose
Lunedì la Commissione Europea ha annunciato che chiuderà una procedura per violazione dello stato di diritto contro la Polonia, la misura più grave mai presa finora contro uno stato membro. Dal 2017 la Polonia era sottoposta a una supervisione speciale da parte della Commissione per le violazioni dei diritti fondamentali e dell’indipendenza del sistema giudiziario provocate dalle leggi promosse dal governo allora in carica, guidato dal partito di estrema destra Diritto e Giustizia (PiS).
Da alcuni mesi però le condizioni sono cambiate: alla fine dell’anno scorso in Polonia è stato eletto un governo europeista e liberale guidato dal primo ministro Donald Tusk, di centrodestra, i cui provvedimenti secondo la Commissione hanno fatto venir meno il rischio di violazione dello stato di diritto.
La procedura contro la Polonia era stata aperta ai sensi dell’articolo 7 del Trattato di Lisbona, che permette alla Commissione, nei casi in cui si rilevino gravi violazioni dello stato di diritto da parte di uno stato membro, di far partire un meccanismo di monitoraggio ed eventuali sanzioni nei suoi confronti. È una procedura rara ed estremamente grave: è utilizzata solo in momenti di estrema criticità e può portare nella sua fase finale, a cui la Polonia non è mai arrivata, a far perdere allo stato membro il diritto di voto nel Consiglio europeo.
In un comunicato pubblicato lunedì la Commissione ha scritto che non c’è «più un chiaro rischio di grave violazione dello stato di diritto in Polonia». Non è chiaro quando la procedura sarà formalmente chiusa: la chiusura definitiva richiede alcuni passaggi burocratici, che ci si aspetta saranno completati a breve.
A quel punto l’unico stato membro che si trova ancora in uno stato di infrazione ai sensi dell’articolo 7 sarà l’Ungheria, il cui procedimento rimane aperto.
Subito dopo essere stato eletto primo ministro, Donald Tusk aveva presentato diversi progetti di legge per ristabilire l’indipendenza del sistema giudiziario e dei media. Il governo ha anche recentemente fatto un primo passo avanti verso la reintroduzione del diritto all’aborto, che era diventato quasi completamente illegale durante gli anni di Diritto e Giustizia.
Anche per questo, la Commissione aveva cominciato a sbloccare vari fondi la cui erogazione era stata interrotta a causa dei provvedimenti illiberali messi in atto dal precedente governo. Dopo le prime azioni e dichiarazioni di intenti di Tusk la Commissione ha sbloccato alcune decine di miliardi di euro legate al Recovery Fund, il fondo approvato per contenere la crisi economica innescata dalla pandemia. Ha anche fatto ripartire l’erogazione dei fondi di coesione, cioè i soldi del bilancio pluriennale dell’Unione Europea che vengono distribuiti soprattutto agli stati più poveri, e che erano stati bloccati nel 2022.
Tra Recovery Fund e fondi di coesione, nei prossimi anni il governo polacco riceverà circa 135 miliardi di euro, pari a circa il 17 per cento del suo PIL attuale: la prima rata, di 6,3 miliardi di euro, è arrivata ad aprile. La Polonia è il principale beneficiario dei fondi di coesione e uno dei principali del Recovery Fund.
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Tuttavia, le riforme di Tusk sono ancora nelle prime fasi e ci vorrà del tempo prima che la Polonia torni a uno stato accettabile per gli standard dell’Unione: il governo deve scontrarsi non solo con i parlamentari del PiS, che è stato comunque il singolo partito più votato alle elezioni, ma anche con alcuni tribunali, che si stanno opponendo in modo ostinato ai tentativi di riforma. Per esempio, a gennaio il tribunale costituzionale aveva dichiarato incostituzionale una riforma con cui il governo aveva nominato i nuovi dirigenti delle società dei media statali, sostituendo quelli di Diritto e Giustizia. Il ministro della Cultura, Bartłomiej Sienkiewicz, aveva detto che il governo avrebbe ignorato la sentenza perché quei giudici non erano indipendenti ma legati al PiS.
Un altro grande ostacolo per il governo è rappresentato dal presidente Andrzej Duda, anche lui di Diritto e Giustizia: da mesi Duda è al centro di un durissimo scontro politico con il governo di Tusk e sta cercando in ogni modo di ostacolare l’operato del governo, arrivando anche a usare in maniera discutibile i propri poteri. Per esempio, presentando la riforma della giustizia a gennaio il ministro della Giustizia Adam Bodnar aveva spiegato che benché fosse probabile che la nuova legge fosse approvata in parlamento, molti dettagli avrebbero dovuto essere negoziati con Duda, la cui firma è necessaria per l’entrata in vigore.