La prima legge europea per il contrasto alla violenza di genere
È stata approvata dopo mesi di negoziati e alcuni compromessi: impone agli Stati membri di dotarsi di nuovi strumenti per prevenire la violenza contro le donne
Martedì il Consiglio dell’Unione Europea, che insieme al Parlamento europeo detiene il potere legislativo, ha approvato la direttiva per contrastare la violenza di genere. È il primo strumento adottato dall’Unione per dotarsi di standard comuni nel contrasto alla violenza di genere, e la sua formulazione ha richiesto mesi di negoziati.
La direttiva prevede che gli Stati membri rendano reato atti come le mutilazioni genitali femminili, i matrimoni forzati e varie forme di violenza informatica, come la condivisione non consensuale di immagini intime, lo stalking online, le molestie online e l’istigazione alla violenza online.
Nella direttiva manca però una definizione comune di “stupro”, questione che durante le negoziazioni era stata molto discussa e contestata. Alcuni paesi, tra cui l’Italia e la Grecia, avevano chiesto che la direttiva la includesse; altri, come la Francia e la Germania, si erano opposti sostenendo che non rientrasse nelle competenze dell’Unione.
Alla fine la definizione comune non è stata inclusa: per questo, benché la direttiva sia stata generalmente accolta come un passo avanti sui diritti delle donne all’interno dell’Unione, sono stati espressi molti dubbi sulla sua completezza. La ministra spagnola per l’uguaglianza, Ana Redondo, ha commentato l’approvazione dicendo che avrebbe preferito regole «più ambiziose», ma ha definito comunque la legge «un buon punto di partenza».
La direttiva era stata presentata nel 2022 e approvata dal Parlamento europeo lo scorso aprile: per la sua entrata in vigore mancava solo il voto del Consiglio dell’Unione Europea. La direttiva è un atto giuridico dell’Unione che, una volta approvato, impone agli Stati membri di raggiungere determinati obiettivi attraverso la promulgazione o la modifica di leggi nazionali. Gli Stati membri hanno ora tre anni di tempo per recepire la direttiva appena approvata.
La direttiva stabilisce pene minime che vanno da un anno a cinque anni di reclusione per gli atti di cui prevede la criminalizzazione, indicando anche una serie di aggravanti nei casi in cui le violenze riguardino minori, coniugi, partner, ex coniugi o ex partner, ma anche personaggi pubblici, giornaliste o attiviste per i diritti umani. La direttiva prevede anche che diventi più semplice denunciare per chi subisce violenza domestica e introduce norme più dettagliate sull’assistenza e sulla protezione che le autorità degli Stati membri devono fornire a chi subisce violenza.
La direttiva prevede inoltre che gli Stati membri adottino misure per prevenire la vittimizzazione secondaria, che avviene quando la donna che ha subìto violenza (una violenza che si potrebbe definire “primaria”) rivive delle condizioni traumatiche o subisce altra violenza da parte di soggetti che non sono gli autori della violenza primaria. A questo proposito la direttiva prevede che, nei procedimenti penali, siano ammesse come prove atti relativi alle abitudini sessuali della persona che ha subìto violenza solo se sono pertinenti e necessari al procedimento penale stesso.
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