A Rafah non arrivano più aiuti umanitari
L’esercito israeliano è entrato nell’ultima città della Striscia che non era ancora stata invasa, prendendo il controllo del lato palestinese del suo varco: secondo l’ONU a breve potrebbe finire il carburante
Nella notte tra lunedì e martedì l’esercito israeliano ha preso il controllo del lato palestinese del varco di Rafah, importante confine via terra che collega la Striscia all’Egitto e che nei mesi scorsi era stato il principale punto di passaggio degli aiuti umanitari verso la Striscia. Questo significa, tra le altre cose, che al momento entrambi i varchi che consentivano l’accesso di aiuti nel sud della Striscia sono chiusi, perché oltre a quello di Rafah negli scorsi giorni Israele aveva chiuso anche il varco di Kerem Shalom.
Non è ancora chiara la portata dell’operazione militare, e se sia l’inizio di una più ampia invasione della città. L’esercito israeliano per ora si è limitato a dire che l’incursione a Rafah è stata un’operazione «molto precisa», in cui è stato stabilito un centro operativo sul lato palestinese del varco e sono state eseguite alcune operazioni militari contro strutture e miliziani di Hamas.
In un comunicato l’esercito ha aggiunto che le sue forze di terra e di aria stanno operando nei quartieri orientali di Rafah, quelli che Israele aveva ordinato ai civili palestinesi di evacuare lunedì sera. Sempre secondo il comunicato le truppe israeliane avrebbero trovato tre tunnel in prossimità del varco, dove hanno «eliminato circa venti terroristi» palestinesi, senza tuttavia fornire prove. Nel frattempo stanno continuando i bombardamenti nella parte orientale della città, che nella notte tra lunedì e martedì hanno ucciso almeno 23 persone.
Di una possibile invasione di Rafah si parla da settimane, ma Israele aveva rimandato l’operazione presumibilmente per la pressione esercitata dai suoi alleati, in particolare gli Stati Uniti, preoccupati tra le altre cose per le possibili gravi conseguenze sulla popolazione civile: nei mesi scorsi a Rafah si erano infatti rifugiati circa 1,4 milioni di civili in fuga dalle altre città della Striscia, già invase e bombardate da Israele.
Oltre alle preoccupazioni militari, ci sono anche quelle umanitarie. Come ha spiegato un portavoce dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (OCHA), dopo averne preso il controllo le autorità israeliane hanno chiuso il varco di Rafah, che in questi mesi è stato il principale punto di passaggio di personale e aiuti umanitari, sia in entrata che in uscita, senza dare indicazioni sulla durata del blocco. L’Organizzazione mondiale della Sanità ha detto che Israele non sta autorizzando nemmeno il trasferimento dei malati.
Domenica Israele aveva chiuso inoltre anche il varco di Kerem Shalom, che divide la Striscia di Gaza dal territorio israeliano, dopo il lancio di alcuni razzi. Il varco di Rafah e quello di Kerem Shalom erano i due unici punti di ingresso degli aiuti umanitari nel sud della Striscia di Gaza. In teoria rimane aperto il varco di Erez, che era stato aperto nei giorni scorsi: Erez si trova però nell’estremo nord della Striscia, ed è complicatissimo immaginare che gli aiuti riescano ad attraversarla tutta per raggiungere Rafah, dove attualmente si trova la maggior parte dei civili. «Erez non è sufficiente», ha detto a Reuters James Elder, un portavoce dell’UNICEF.
António Guterres, il segretario generale dell’ONU, ha detto che se i varchi rimangono chiusi Rafah rischia di rimanere senza carburante già stasera. Il carburante a Gaza non serve tanto per le autovetture, ma soprattutto per alimentare i generatori che consentono la produzione di energia elettrica tanto nelle abitazioni quanto negli edifici pubblici, come gli ospedali.