I centri per migranti italiani in Albania saranno gestiti da Medihospes
È una cooperativa attiva in vari settori, tra cui l'accoglienza, di cui si è parlato anche per alcune vicende controverse: ha vinto una gara da 134 milioni di euro in quattro anni
Il ministero dell’Interno ha affidato alla cooperativa Medihospes la gestione delle tre strutture per l’accoglienza dei migranti che il governo italiano sta costruendo in Albania, nelle località di Shengjin e Gjader. I centri dovrebbero essere pronti entro il prossimo 20 maggio, ma i lavori sono ancora nelle fasi iniziali e probabilmente l’avvio delle attività dovrà essere rimandato. L’avviso relativo alla gestione dei centri era stato pubblicato lo scorso 21 marzo, e le società interessate avevano una settimana di tempo, fino al 28 marzo, per candidarsi. Si sono proposti in 30: il ministero ha poi condotto una “procedura negoziata”, ossia una negoziazione senza bando basata sull’offerta economica più vantaggiosa, con tre di queste: Consorzio Hera, Officine sociali e Medihospes.
È stata infine selezionata Medihospes, che ha offerto un prezzo inferiore di quasi il 5 per cento rispetto alla cifra di partenza indicata dal ministero: l’investimento costerà 133,8 milioni di euro in quattro anni. La cifra comprende quasi 610mila euro per spese legate alla sicurezza, 87 milioni per la manodopera, e quasi 6 milioni per la “fornitura di pocket money e tessera telefonica” ai migranti che verranno ospitati nei centri. I centri saranno affidati a Medihospes per due anni, prorogabili di altri due.
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Medihospes – che in passato si chiamava Senis Hospes – è attiva da tempo nel settore dell’accoglienza, e negli ultimi anni se ne è parlato anche per alcune vicende controverse. Nel 2015, per esempio, finì al centro di un’inchiesta giornalistica di Repubblica a causa dei suoi legami con La Cascina, società che era stata commissariata per via di alcuni tentativi di infiltrazioni mafiose. Senis Hospes gestì inoltre il Centro di accoglienza per richiedenti asilo (CARA) di Borgo Mezzanone, in provincia di Foggia (Puglia): nel 2016 il giornalista Fabrizio Gatti finse di essere un richiedente asilo e trascorse una settimana nel centro, documentando pessime condizioni igieniche e un diffuso sistema di criminalità, fra sfruttamento della prostituzione e del lavoro e contrabbando di vari beni (l’inchiesta fu pubblicata su L’Espresso).
Oggi Medihospes gestisce vari Centri di accoglienza straordinaria (CAS) e strutture del Sistema accoglienza e integrazione (SAI), ma non si sa con precisione quali né quanti. Uno è il centro di accoglienza nell’ex caserma Cavarzerani di Udine: un report sull’accoglienza in Friuli Venezia Giulia pubblicato a fine aprile dagli attivisti dell’associazione Rete DASI (diritti, accoglienza e solidarietà internazionale) ha raccontato che in una stanza del centro, nota come “moschea”, sono state «ammassate decine di brande» per le persone migranti escluse dai canali ufficiali dell’accoglienza.
«Qui le persone vivono in una condizione di sovraffollamento, senza alcuna privacy. Dato il rapporto tra il numero di brande e l’area occupata, la concentrazione dei letti non sembra rispettare le norme sulla sicurezza, né garantire vie di fuga in caso di incendio. Non sono stati raccolti riscontri» sulla pulizia dell’area, si legge nel rapporto. Fino a qualche anno fa, Medihospes era presente soprattutto a Roma: secondo un rapporto di ActionAid e Openpolis, nel 2021 gestiva 1.578 posti nei centri di accoglienza della città metropolitana, su 2.024 totali, il 78 per cento del totale.
Oltre all’accoglienza dei migranti, Medihospes offre servizi in altri ambiti tra cui l’assistenza domiciliare, l’assistenza e riabilitazione disabili e le residenze per anziani. Nel 2022 ebbe ricavi per più di 128 milioni di euro, di cui circa 61 milioni legati ai servizi per l’accoglienza.
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Il piano del governo italiano di costruire dei centri per migranti in Albania fu annunciato lo scorso novembre dalla presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni e dal primo ministro albanese, Edi Rama. Prevede di costruire tre strutture: il primo è un hotspot, quindi un centro per lo sbarco e l’identificazione dei migranti, al porto di Shengjin, nel nord dell’Albania. A Gjader, nell’entroterra, verranno invece costruiti un centro di prima accoglienza per i migranti che chiederanno asilo, da 880 posti, e un Centro di permanenza e rimpatrio (CPR) da 144 posti. Secondo i bandi del ministero dell’Interno i centri avranno quindi una capienza da 1.024 posti, ma il governo italiano ha detto più volte che in Albania potranno essere ospitati contemporaneamente fino a 3mila migranti.
Nelle intenzioni del governo italiano in queste strutture dovrebbero finire le persone soccorse dalle autorità italiane coinvolte nel soccorso in mare: cioè essenzialmente la Guardia Costiera, la Guardia di Finanza, o la Marina Militare. Quindi non le persone soccorse dalle ong. Le autorità italiane saranno responsabili dell’interno delle strutture, mentre le autorità albanesi dovranno garantire la sicurezza all’esterno dei centri e durante il trasferimento dei migranti: potranno entrare nei centri solo «in caso di incendio o di altro grave e imminente pericolo che richiede un immediato intervento». Il progetto però pone molti problemi, sia logistici che costituzionali, e alcuni passaggi del funzionamento dei centri non sono ancora stati chiariti.