L’evacuazione dei civili dalla parte orientale di Rafah
È stata ordinata dall'esercito israeliano, in vista del possibile attacco via terra dell'ultima città della Striscia di Gaza a non essere ancora stata invasa da Israele
Lunedì migliaia di civili palestinesi hanno cominciato a lasciare la parte orientale di Rafah, l’ultima città nel sud della Striscia di Gaza in cui i soldati israeliani non sono ancora entrati e dove si sono rifugiati circa 1,4 milioni di civili palestinesi, dopo che nelle prime ore della mattina l’esercito israeliano ne aveva ordinato l’evacuazione.
L’esercito ha annunciato l’evacuazione dei circa 110mila abitanti della parte est di Rafah attraverso volantini lanciati dagli aerei militari, ma anche con sms, telefonate e messaggi in arabo trasmessi in tv, dicendo loro di andare verso altre zone della Striscia, dove nei giorni scorsi erano stati allestiti rifugi temporanei. Nei volantini l’esercito ha detto che sta per compiere un’operazione militare contro i miliziani di Hamas che opererebbero nella zona, e ha avvertito la popolazione di non andare verso i confini con Israele ed Egitto.
L’ordine di evacuazione potrebbe quindi essere la fase preparatoria dell’invasione della città, che il governo israeliano sta preparando da settimane e che era stata più volte posticipata per la pressione degli alleati internazionali di Israele. Un portavoce dell’esercito israeliano citato dal New York Times non ha chiarito se o quando si prevede che i soldati entrino in città, ma ha descritto la richiesta di evacuazione come «parte del piano per smantellare Hamas» e riportare a casa gli ostaggi israeliani rapiti.
I volantini lanciati nella parte orientale di Rafah lunedì mattina indicano le zone verso cui dirigersi e avvertono anche che la città di Gaza, nel nord della Striscia, è una zona pericolosa; consigliano inoltre di evitare di attraversare il Wadi Gaza, il canale che delimita il confine tra la parte settentrionale da quella centrale del territorio, per andare verso nord.
Tra le aree in cui sono stati allestiti rifugi temporanei ci sono anche quelle di Khan Yunis e al Mawasi, a nord di Rafah. L’esercito israeliano ha fatto sapere che cercherà di garantire gli aiuti umanitari nella zona nonostante la chiusura del varco di Kerem Shalom, che divide la Striscia dal territorio israeliano, bloccato da domenica in seguito al lancio di alcuni razzi da Rafah nella direzione del varco. Lunedì pomeriggio la Casa Bianca ha fatto sapere che, in una telefonata con il presidente statunitense Joe Biden, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu si è impegnato a riaprire il varco per consentire l’accesso degli aiuti. Un portavoce del Consiglio per la sicurezza degli Stati Uniti ha detto che nella telefonata Biden ha ribadito le proprie preoccupazioni rispetto a un’invasione di Rafah e ha sostenuto che un cessate il fuoco sia necessario per tutelare gli ostaggi rapiti.
Le organizzazioni internazionali e gli alleati di Israele, tra cui gli Stati Uniti, si sono sempre opposti a un attacco militare nella zona a causa delle gravi conseguenze che potrebbe subire la popolazione civile. Governo ed esercito israeliani invece ritengono che a Rafah abbiano trovato rifugio anche i militanti di Hamas ancora attivi, oltre che i civili palestinesi fuggiti da altre città della Striscia.
I preparativi per l’invasione via terra di Rafah sono in corso da settimane: alcune immagini satellitari mostrano che Israele ha preparato una tendopoli in cui trasferire gli abitanti della città prima dell’incursione. Nel frattempo, secondo le autorità sanitarie della Striscia, nelle ultime 24 ore i bombardamenti israeliani sulle case e gli edifici della città hanno ucciso 26 persone, tra cui 11 bambini e otto donne.
Israele ha ordinato l’evacuazione di Rafah dopo che nel fine settimana erano fallite nuovamente le trattative con Hamas per un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. Le trattative hanno riguardato una bozza di proposta di cui si parla ormai da giorni. In base a questa bozza Israele, che da più di sette mesi bombarda la Striscia di Gaza con l’esplicito obiettivo di distruggere Hamas, si impegna a sospendere i combattimenti per quaranta giorni e a rilasciare migliaia di palestinesi detenuti nelle proprie carceri. In cambio Hamas dovrebbe liberare 33 ostaggi rapiti in Israele durante l’attacco del 7 ottobre, durante il quale centinaia di miliziani di Hamas entrarono in territorio israeliano uccidendo almeno un migliaio di persone.
Hamas chiede che qualsiasi negoziato includa una promessa di ritiro delle truppe israeliane da Gaza; Israele non sembra intenzionato a impegnarsi in questo senso, ma non è ancora chiaro alla fine cosa deciderà di fare. All’interno del governo di sicurezza nazionale ci sarebbero alcuni membri favorevoli a garantire una progressiva sospensione delle operazioni militari, in caso di cessate il fuoco e di rilascio degli ostaggi. Altri invece, come i vari ministri che appartengono all’estrema destra nazionalista, sono meno inclini a un accordo di questo tipo.