Il Met Gala e il potere di Anna Wintour
Stasera a New York ci sarà l'evento che la storica direttrice di Vogue ha reso il più importante del mondo della moda
Come ogni primo lunedì di maggio degli ultimi venticinque anni, anche questa sera si svolgerà a New York il Met Gala, chiamato anche “festa dell’anno”, “Oscar della costa Est”, “Super Bowl della moda”: in breve, l’evento mondano più importante del mondo della moda. È una cena di raccolta fondi per il Costume Institute, che conserva una collezione di abiti dal Quattrocento a oggi, e che è l’unico dipartimento curatoriale del Metropolitan Museum di New York a doversi autofinanziare. La quantità di soldi, personaggi famosi e attenzione mediatica che riesce a smuovere, però, dimostra come il Met Gala sia molto più di un momento di beneficenza.
L’anno scorso, per esempio, furono raccolti 23 milioni di dollari, lo streaming dell’evento sul sito di Vogue fu visto da 53 milioni di persone e durante il red carpet, quando dalle 19:30 alle 21 circa arrivarono gli invitati, il Met Gala fu nominato più di 2,1 milioni di volte sui social media. Anche chi non è appassionato di moda o celebrità viene raggiunto da qualche notizia sulla serata, che siano le immagini della cantante Rihanna vestita da Papa o le critiche a Kim Kardashian per aver indossato, e rovinato, un abito di Marilyn Monroe.
L’artefice di tutto questo è Anna Wintour, la famosa direttrice di Vogue America (che nel frattempo è diventata direttrice globale di Condé Nast, il gruppo editoriale che possiede Vogue e altre testate come Vanity Fair, GQ e il New Yorker) che organizza ininterrottamente il Met Gala dal 1999, dopo una prima esperienza nel 1995. La sua importanza è tale che dal 2014 il Costume Institute è stato rinominato Anna Wintour Costume Center. Wintour controlla ogni minimo particolare del Met Gala – chi c’è e chi no, come ci si deve vestire, dove ci si siede, cosa si può raccontare – che è diventato il momento in cui si dispiega in modo più evidente il suo grande potere. Come scrive Vanessa Friedman sul New York Times, il Met Gala è «una mega-vetrina della visione del mondo di Vogue: il cocktail di celebrità e potere definitivo con nomi famosi dal mondo della moda, del cinema, della tecnologia, della politica, dello sport e, sempre di più, dei social media».
Il potere di Wintour si manifesta per prima cosa attraverso l’esclusività del Met Gala. Gli ospiti – per anni sono stati 600-700, ma nelle ultime due edizioni si sono ridotti a circa 400 – sono su invito e approvati da Wintour stessa, che ha dei criteri molto rigidi e una nota volontà ferrea. Si racconta che per anni Kim Kardashian desiderò partecipare, ma la sua presenza fu approvata soltanto nel 2013 (e da allora è un’ospite fissa). Anche essere generosi donatori del museo non serve a nulla se si è invisi a Wintour: al Met Gala può partecipare solo chi ha il suo favore, cioè persone di successo, di cui si parla e che lei considera affascinanti, interessanti e degne di far parte della sua cerchia.
Non è soltanto un male: Wintour, che viene descritta dalle persone a lei vicine come molto generosa e leale, si serve del Met Gala anche per dare credito a stilisti e marchi di moda emergenti, semplicemente invitandoli alla festa, e per mettere in contatto aziende e celebrità che, secondo lei, potrebbero lavorare bene insieme. È una festa esclusiva per pochi privilegiati, che si regge sui favoritismi e sul gusto della sua organizzatrice e che, anziché svolgersi a porte chiuse, viene ostentata e trova forza da questa stessa spettacolarizzazione.
Partecipare al Met Gala costa, e tanto. I personaggi famosi non pagano ma sono invitati dalle aziende, che comprano biglietti singoli o quelli per un tavolo intero. Quest’anno un biglietto costa 75mila dollari, 25mila dollari in più che nel 2023, e i tavoli partono da 350mila dollari. Prima di invitare gli ospiti i marchi devono sottoporli a Wintour e a volte chiedono direttamente a lei chi invitare. Per esempio, Friedman racconta che nel 2012 suggerì a Valentino di invitare al suo tavolo le attrici Lily Collins e Brit Marling, che vestì entrambe: il vestito di Collins girò molto sui social, contribuendo alla fama del marchio.
Per le aziende infatti partecipare al Met è un grande investimento perché possono diventare molto famose se azzeccano l’abito giusto, quello che gira più di tutti sui social, oppure associare la propria immagine a un certo personaggio famoso, connotandosi meglio agli occhi del pubblico. L’esempio più noto è probabilmente l’abito giallo dal lunghissimo strascico realizzato dalla stilista cinese Guo Pei e indossato da Rihanna nel 2015, per l’edizione a tema China: Through the Looking Glass: su internet venne subito ribattezzato “abito-frittata” e divenne oggetto di numerosi meme.
Il Met Gala è così importante anche perché in tanti lo conoscono e lo seguono e Wintour riesce ad attirare l’attenzione ogni anno di più. È riuscita a farlo trasformandolo in una festa a tema (dress code) in cui i personaggi famosi fanno a gara a inventarsi l’abito più riuscito. Il Met Gala infatti coincide con l’inaugurazione della mostra annuale curata dal Costume Institute, che può essere dedicata a uno stilista famoso, come l’italiana Elsa Schiaparelli, la giapponese Rei Kawakubo, il tedesco Karl Lagerfeld, o a un argomento, come l’influenza della Chiesa cattolica sulla moda, la Belle Époque, il punk, i supereroi (trovate tutti i temi qui). Wintour non ha l’ultima parola sul tema della mostra, che è concordato insieme al curatore del Costume Institute, Andrew Bolton, ma ha una certa influenza perché determinerà come si vestiranno gli invitati.
L’idea di unire il dress code al soggetto della mostra non è però sua, ma della precedente organizzatrice del Met Gala, Diana Vreeland. Vreeland è tra i personaggi più famosi ed essenziali della moda del Novecento, che rivoluzionò il giornalismo di moda nella rivista Harper’s Bazaar, dove lavorò dal 1936 al 1962, e come direttrice di Vogue America dal 1963 al 1971. In quell’anno si dimise e divenne consulente speciale del Costume Institute, per cui organizzò poi 12 mostre.
All’epoca il Met Gala non era cambiato molto dalla sua prima edizione, organizzata nel 1948 da Eleanor Lambert, un’importante pubblicista di moda, e da Dorothy Shaver, presidente dei grandi magazzini Lord & Taylor. Le due avevano fondato il Costume Institute nel 1946 per conservare e preservare la moda americana trattandola come una qualsiasi forma d’arte; l’ente entrò a far parte del Metropolitan Museum due anni dopo ma non aveva i fondi per sostentarsi e così venne organizzata una raccolta. Il primo Met Gala fu una cena elegante con 50 invitati vestiti di bianco, che si tenne nella mezzanotte del 7 dicembre 1948 nella Sala Rainbow dell’hotel Rockefeller di New York e che fu raccontato soltanto dalla rivista di settore WWD. Fino al 1971 restò un evento rivolto a esponenti dell’industria della moda e alla buona società americana, organizzato a dicembre (il periodo in cui raccogliere fondi era più semplice) in luoghi diversi della città, tra cui l’hotel Waldorf Astoria.
Quando Vreeland prese in mano l’organizzazione del Met Gala, trasformò «la tranquilla raccolta fondi annuale in un evento pieno di star, denso di celebrità e dell’attenzione che portano con sé», scrive Forbes. Fu lei a spostarlo dentro il museo, allestito in modo scenografico e sfarzoso, a invitare i personaggi famosi e a convincerli a vestirsi seguendo il tema della mostra, a partire da quella dedicata allo stilista spagnolo Cristóbal Balenciaga, morto poco tempo prima. Ancora oggi la serata segue l’organizzazione di Vreeland: gli ospiti arrivano nella grande sala d’ingresso del museo per un cocktail, visitano la mostra e poi cenano nel Dorotheum (Wintour ha aggiunto lo spettacolo musicale). Invitò, tra gli altri Andy Warhol, le cantanti Diana Ross e Cher, la modella Bianca Jagger, e per i primi due anni ebbe come co-ospite Jacqueline Kennedy Onassis.
Vreeland dimostrò una certa sensibilità anche nella scelta dei temi della mostra, che spesso offrivano un commento all’attualità. Per esempio nel 1976, in piena Guerra fredda, fu dedicata alla “gloria dei costumi russi”; quella su Balenciaga del 1973 venne sponsorizzata dal governo spagnolo, con cui gli Stati Uniti stavano cercando di ricucire i rapporti dopo le dimissioni del dittatore Francisco Franco; nel 1975, a 200 anni dalla Rivoluzione americana, il Met celebrò le “American Women of Style”, cioè lo stile della donna americana, e nel 1980, quando gli Stati Uniti stavano cercando di normalizzare i rapporti con l’Asia, il Met si concentrò sui vestiti della Cina.
Wintour proseguì la direzione iniziata da Vreeland, rendendo tutto più grandioso e professionale ma meno festoso (fu lei, tra le altre cose, a spostare l’evento a maggio da dicembre), come mostrano anche i costi dell’evento.
Negli anni Settanta e Ottanta un biglietto era ancora a mille dollari, nel 1998 aumentò a duemila, tre anni dopo arrivò a 3.500. La crescita è evidente soprattutto dal 2008: in quell’anno un tavolo si prendeva con 75mila dollari e i biglietti con 7.500; dieci anni dopo un tavolo costava almeno 200mila dollari e un biglietto 30mila.
Costi così alti sono necessari per rendere il Met Gala la festa impressionante e perfetta che è, con allestimenti di fiori freschi e spruzzate di profumo, e in grado di rispondere alle esigenze dei suoi ospiti (una volta furono spesi 100mila dollari per portare al Met Gala Beyoncé e Jay Z su un jet privato, mentre nel 2019 Rihanna fu pagata più di un milione di dollari per cantare). Insieme ai costi, però, sono aumentate anche le entrate, come scrive la giornalista Amy Odell in Anna, la sua biografia di Wintour: nel 2011 erano 12,5 milioni a fronte di 5 milioni di spese, per un totale di 7,5 milioni di dollari raccolti; nel 2018 le entrate erano di 20,5 milioni, le spese di 8,5 milioni e i dollari raccolti 12 milioni.
Nel 2004, con il tema Dangerous Liaisons: Fashion and Furniture in the 18th Century i costumi diventarono sempre più elaborati e stravaganti, tanto che oggi il Met Gala è noto anche per questo aspetto. Tra i casi più celebri ci fu la cantante Katy Perry vestita da candelabro e l’attore Jared Leto con una replica della sua testa mozzata sotto braccio (l’edizione più eccentrica di tutte è stata quella del 2019, dedicata al Camp: Notes on Fashion).
Prima infatti, come ha ricordato lo stilista Tom Ford intervistato da Odell, «erano solo persone molto chic che indossavano bei vestiti e andavano a una mostra del XVIII secolo. Non serviva che sembrassi del XVIII secolo anche tu, non dovevi vestirti come un hamburger, non dovevi arrivare in un camioncino in piedi perché non ti potevi sedere perché eri vestita da candelabro. Mi mancano i giorni in cui la gente indossava dei bei vestiti e basta». Ma a Wintour, scrive Odell, piacciono molto i look fuori misura.
Quest’anno il tema della mostra è Sleeping Beauties: Reawakening Fashion (“Belle addormentate: la moda che si risveglia”) ed esporrà 250 abiti così antichi e delicati che in alcuni casi non possono nemmeno essere appesi su un manichino, ma verranno ricreati in 3D o virtualmente. Il dress code invece è “The Garden of Time” (“Il giardino del tempo”) dal nome dell’omonimo racconto breve scritto dall’autore inglese J.G. Ballard nel 1962: immagina una coppia aristocratica che vive in una villa murata con un giardino magico, minacciata da una folla che vuole entrare nel loro mondo e distruggerlo; per impedirlo, ogni sera la coppia recide il gambo di un fiore, che consente loro di vivere un altro giorno incantato.
È probabile che ci saranno molti fiori, soprattutto rose, molti corpetti, molti drappeggi e qualche abito d’archivio, probabilmente del controverso stilista britannico John Galliano, che Wintour sta cercando di riabilitare da anni (voleva dedicare la mostra di quest’anno proprio a lui ma al Costume Institute si sono opposti). È probabile che ci saranno anche molti vestiti di Loewe, il marchio spagnolo che quest’anno sponsorizza il Met Gala insieme a TikTok e Condé Nast, e di JW Anderson, l’attuale direttore creativo di Loewe e del suo marchio omonimo, che è tra gli ospiti onorari della serata insieme a Shou Chew, amministratore delegato di TikTok. I co-ospiti della serata, insieme a Wintour, sono le attrici Jennifer Lopez, Zendaya, Chris Hemsworth e il musicista Bad Bunny. La serata sarà trasmessa sul sito di Vogue per il quarto anno consecutivo e l’utilizzo dei social network non è consentito una volta entrati nel museo.
– Leggi anche: Prepariamoci a vedere sempre più abiti d’archivio
Il trailer di “The First Monday in May”, il documentario sul Met Gala, al momento introvabile in Italia