I negoziati fra Israele e Hamas non hanno ancora portato a un accordo
La delegazione del gruppo palestinese sta rientrando in Qatar, i colloqui dovrebbero riprendere martedì
I negoziati fra Israele e Hamas non hanno ancora portato a un accordo: domenica un funzionario della delegazione del gruppo radicale palestinese Hamas, che controlla da quasi vent’anni la Striscia di Gaza, ha detto ad Agence France-Presse che l’ultimo giro di colloqui con Israele per un cessate il fuoco nella Striscia si è concluso dopo «discussioni serie e approfondite». Il funzionario ha fatto sapere che la delegazione lascerà il Cairo (la capitale egiziana, sede dei negoziati) e tornerà a Doha, in Qatar, per svolgere «ulteriori consultazioni» con i leader del gruppo. I media egiziani hanno scritto che i negoziati riprenderanno martedì.
La delegazione ha ribadito di volere mantenere «un’attitudine positiva» e di essere determinata a raggiungere un accordo che, tra le altre cose, preveda il ritiro dell’esercito israeliano «dall’intera Striscia di Gaza» e uno scambio reciproco di ostaggi e prigionieri.
Tuttavia, dagli incontri e dalle parti in causa arrivano segnali contraddittori: per esempio, prima dell’annuncio del rientro a Doha, il capo politico di Hamas Ismail Haniyeh, che vive in Qatar, aveva accusato il primo ministro israeliano Netanyahu di sabotare i colloqui. Haniyeh faceva riferimento a un messaggio televisivo con cui, domenica pomeriggio, il primo ministro israeliano aveva detto di non essere disposto ad accettare un accordo che preveda la fine delle operazioni militari a Gaza, e che una decisione del genere equivarrebbe a «lasciare Hamas al potere».
Inoltre, sempre domenica, Israele ha chiuso il varco di Kerem Shalom, che divide la Striscia di Gaza dal territorio israeliano, dopo che alcuni razzi sono stati lanciati nella direzione del varco dalla città di Rafah. Il varco, che si trova nel sud-est del territorio, era uno dei pochi punti da cui era possibile far entrare aiuti umanitari dentro alla Striscia.
I colloqui sono indiretti – nel senso che la delegazione di Hamas e quella di Israele non si parlano direttamente, ma solo attraverso mediatori internazionali – e riguardano una bozza di proposta di cui si parla ormai da giorni.
Nei mesi scorsi è capitato più volte che anche accordi ben avviati siano saltati nella fase finale dei negoziati, e diversi commentatori invitano a una certa prudenza nel cogliere eventuali segnali positivi.
In base a questa bozza Israele, che da più di sette mesi bombarda la Striscia di Gaza con l’esplicito obiettivo di distruggere Hamas, si impegna a sospendere i combattimenti per quaranta giorni e a rilasciare migliaia di palestinesi detenuti nelle proprie carceri. In cambio Hamas dovrebbe liberare 33 ostaggi rapiti in Israele durante l’attacco del 7 ottobre, durante il quale centinaia di miliziani di Hamas entrarono in territorio israeliano uccidendo almeno un migliaio di persone.
Negli ultimi giorni sui giornali internazionali sono apparsi vari articoli in cui persone che stanno lavorando ai colloqui, principalmente con la condizione dell’anonimato, raccontano di avere buone speranze per la riuscita dei negoziati. Altri esperti sottolineano però che negli ultimi cinque mesi ci sono stati vari momenti in cui un negoziato sembrava raggiungibile, e che si sono risolti in una sospensione dei colloqui, a volte anche per settimane.
Il punto principale dei colloqui dovrebbe riguardare la durata del cessate il fuoco: Hamas chiede che qualsiasi negoziato includa una promessa di ritiro delle truppe israeliane da Gaza; Israele non sembra intenzionato a impegnarsi in questo senso, ma non è ancora chiaro alla fine cosa deciderà di fare. All’interno del governo di sicurezza nazionale ci sarebbero alcuni membri favorevoli a garantire una progressiva sospensione delle operazioni militari, in caso di cessate il fuoco e di rilascio degli ostaggi. Altri invece, come i vari ministri che appartengono all’estrema destra nazionalista, sono meno inclini a un accordo di questo tipo.
La divisione interna al governo israeliano è emersa sabato: dopo che alcuni funzionari anonimi avevano espresso ottimismo per il raggiungimento di un accordo, alcune «fonti diplomatiche» israeliane hanno smentito che Israele interromperà l’invasione di Gaza in seguito a un accordo sugli ostaggi. Il quotidiano israeliano Haaretz ritiene che dietro queste «fonti diplomatiche» ci sia l’ufficio del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu.
Sabato alcuni funzionari egiziani avevano inoltre detto al Wall Street Journal che Israele sarebbe intenzionato a invadere la città di Rafah, l’ultima città nel sud della Striscia di Gaza in cui l’esercito israeliano non è ancora entrato e dove si sono rifugiati circa 1,4 milioni di civili palestinesi, se Hamas non accetterà un accordo per un cessate il fuoco entro una settimana.
Anche il segretario di Stato statunitense Antony Blinken negli ultimi giorni sta cercando di fare pressione soprattutto su Hamas affinché accetti le condizioni, viste come l’ultima possibilità per evitare un’offensiva da terra a Rafah, che aggraverebbe senza dubbio la già gravissima crisi umanitaria a Gaza.
Blinken ha anche sottolineato che gli Stati Uniti rimangono contrari a un’invasione di Rafah, dato che Israele non ha presentato un piano credibile che mostri come intenda proteggere gli oltre 1,2 milioni di civili sfollati che si trovano al momento nei campi profughi e nei rifugi dell’ONU e che non hanno un altro posto dove andare. Diversi ministri del governo israeliano sottolineano invece che attaccare Rafah sia necessario per raggiungere i propri obiettivi bellici, dato che a suo avviso migliaia di combattenti di Hamas e alcuni leader del gruppo si troverebbero ancora lì.
Dall’inizio della guerra le persone uccise nella Striscia dagli attacchi dell’esercito israeliano sono almeno 34.600, secondo il ministero della Salute della Striscia, controllato da Hamas ma le cui stime sono ritenute credibili.