I Minnesota Timberwolves, finalmente
Per la prima volta dopo vent'anni hanno vinto una serie dei playoff dell'NBA e ora, contro i campioni in carica dei Denver Nuggets, ci si aspetta che giochino alla pari
Nel primo turno dei playoff NBA, la fase finale e più seguita del basket statunitense, i Minnesota Timberwolves hanno superato i Phoenix Suns vincendo la serie per quattro partite a zero (si gioca al meglio delle 7 partite); a partire da domenica giocheranno contro i campioni in carica dei Denver Nuggets nelle semifinali di Western Conference (una delle due divisioni in cui sono inserite le squadre di NBA su base geografica, occidentale e orientale). Il risultato di Minnesota contro Phoenix è stato sorprendente perché, prima che iniziasse, si pensava sarebbe stata una serie molto più equilibrata. Phoenix aveva giocatori molto quotati come Kevin Durant e Devin Booker, e soprattutto erano passati vent’anni dalla prima e ultima volta che i Timberwolves avevano superato un turno dei playoff (era il 2004, quando arrivarono fino alle finali della Western Conference).
Quest’anno però Minnesota, come ha scritto il sito di sport The Athletic, è finalmente diventata una squadra da seguire, ben allenata da Chris Finch, molto forte in difesa e con tante possibilità diverse in attacco. Secondo le previsioni aggiornate del sito specializzato The Ringer è addirittura favorita nella serie contro Denver, che inizierà domenica, con il 65 per cento di possibilità di superare il turno. The Ringer dà inoltre a Minnesota un 9 per cento di possibilità di vincere il titolo NBA. Nelle quattro vittorie contro Phoenix si è fatto notare soprattutto il 22enne Anthony Edwards, di ruolo guardia, che ha totalizzato 31 punti, 8 rimbalzi e 6,3 assist di media. Nei minuti finali e decisivi di gara-4 ha realizzato quella che viene considerata la giocata più rappresentativa della serie: un’eccezionale schiacciata saltando praticamente sopra Kevin Durant, il miglior giocatore di Phoenix.
Solitamente è difficile che una squadra vada male per tanti anni consecutivi nel basket statunitense, perché le peggiori squadre di una stagione nell’anno successivo hanno diritto a scegliere per prime i nuovi giocatori che arrivano nella lega (attraverso il draft), e quindi possono prendere i più promettenti. Tutte le squadre, inoltre, non possono superare una determinata cifra per pagare gli stipendi ai giocatori (il cosiddetto salary cap, che è comunque in parte aggirabile pagando una tassa extra). Sono due meccanismi pensati per rendere l’NBA equilibrata nel tempo e interessante per chi la segue, permettendo a tutte le squadre di avere a turno stagioni positive. Nonostante questo, però, per anni Minnesota è stata sostanzialmente disastrosa.
Dopo un grande risultato nel 2004, quando arrivò fino alle finali di Conference grazie soprattutto a Kevin Garnett, per tredici stagioni consecutive Minnesota non arrivò mai nemmeno ai playoff: si classificò cioè sempre tra il nono e il quindicesimo posto nella stagione regolare nella Western Conference. Solamente i Los Angeles Clippers tra il 1977 e il 1991 fecero più stagioni di fila senza andare ai playoff. Nel 2018 i Timberwolves tornarono finalmente nella cosiddetta post season, cioè ai playoff, ma persero al primo turno 4-1 contro Houston. Solo nelle ultime stagioni sono diventati una presenza stabile ai playoff: si qualificano da tre anni consecutivi, ma nel 2022 e nel 2023 sono usciti comunque al primo turno.
La presenza costante in questa crescita è stata il 54enne Chris Finch. Dopo aver cambiato molti allenatori, nel 2021 Minnesota lo ha nominato come coach, nonostante fino a quel momento in NBA avesse fatto sempre il viceallenatore (a Houston, Denver, New Orleans e Toronto). In queste tre stagioni la dirigenza gli ha dato fiducia anche quando i risultati non sono stati soddisfacenti, e la scelta sembra essere stata lungimirante. Minnesota ha appena giocato la sua seconda miglior stagione regolare di sempre, dopo quella del 2003-2004, con 56 vittorie e 26 sconfitte. Per diverso tempo i Timberwolves si sono addirittura giocati il primo posto a Ovest, per poi chiudere terzi, con solamente una vittoria in meno degli Oklahoma City Thunder e dei Denver Nuggets.
Finch col tempo ha trovato il giusto equilibrio tra giocatori giovani ed esperti, creando una squadra bilanciata, competitiva e difficile da affrontare. Nel quintetto base, cioè tra i cinque giocatori che di solito vengono schierati titolari, ci sono due cestisti di grande esperienza come Mike Conley e Rudy Gobert, due giovani promesse come Anthony Edwards e Jaden McDaniels e poi c’è Karl-Anthony Towns, per anni il miglior giocatore della squadra e per quattro volte convocato per l’All-Star Game, la partita-esibizione tra i migliori e più votati giocatori della lega. Anche i giocatori non titolari, a cominciare da Naz Reid, stanno contribuendo al successo di Minnesota.
Conley è il playmaker, ha 36 anni e questa è la sua 17esima stagione in NBA. Oltre a essere un giocatore esperto, è considerato un elemento molto importante per il gruppo (ha appena vinto per la seconda volta in carriera il premio di “miglior compagno di squadra”). Il francese Rudy Gobert ha 31 anni, gioca come centro e per tre volte è stato premiato come miglior difensore della NBA. Anche il giovane Jaden McDaniels, 23 anni, è un ottimo difensore, e anche grazie a lui i Timberwolves in stagione regolare sono stati la squadra con le migliori statistiche difensive.
I due giocatori più talentuosi di Minnesota sono però Anthony Edwards e Karl Anthony-Towns. Edwards è stato la prima scelta assoluta del draft nel 2020, è un giocatore atleticamente eccezionale, capace di fare canestro in moltissimi modi diversi, e in questi playoff ha giocato da leader della squadra. Anche il dominicano Karl-Anthony Towns, 28 anni, fu prima scelta assoluta al draft, ma nel 2015. È un giocatore alto più di due metri e dieci che nelle sue nove stagioni in NBA ha avuto una media di 22,9 punti e 10,8 rimbalzi a partita (i rimbalzi sono le palle intercettate dopo un tiro a canestro, una statistica molto importante nel basket). In questi anni è sempre rimasto a Minnesota, nonostante la squadra non fosse eccellente, e in certi momenti è sembrato soffrire un po’ il fatto di essere il giocatore da cui tutti si aspettavano di più.
Come scriveva a gennaio il Guardian (in un articolo intitolato “Come i Minnesota Timberwolves, un tempo derisi, sono diventati pretendenti al titolo”), Towns quest’anno è stato bravo ad accettare di non essere più l’unica “stella” della squadra, come vengono spesso definiti i migliori giocatori in una rosa di NBA. Per anni considerato un individualista, Towns sta diventando un “uomo-squadra”, come dimostra quanto ha detto dopo la vittoria in gara-3 contro i Phoenix Suns: «Crediamo sempre l’uno nell’altro, ci fidiamo della forza della squadra, sentiamo che siamo connessi e uniti».