Chi sono i detenuti nel carcere minorile Beccaria di Milano
Si è parlato molto degli agenti accusati di violenze, e poco dei ragazzini che le hanno subite, molti dei quali sono in attesa di processo
Le indagini sugli abusi e i maltrattamenti nel carcere minorile Beccaria di Milano hanno generato una forte impressione nell’opinione pubblica. Negli ultimi anni si è saputo con una certa frequenza di storie simili sugli istituti di detenzioni per adulti, e la questione è tornata periodicamente al centro del dibattito, ma è invece molto più raro che violenze e pestaggi riguardino ragazzini, o almeno lo era stato finora. Le indagini sul Beccaria per il momento hanno portato all’arresto di 13 agenti di polizia penitenziaria accusati delle violenze, e alla sospensione di altri 8. Le discussioni si sono molto concentrate sul loro ruolo, e sul loro rapporto con i ragazzi detenuti.
Ma in un modo forse un po’ meno evidente questa inchiesta giudiziaria sta facendo emergere molti altri problemi legati al carcere minorile Beccaria, più di sistema. Per esempio la facilità con cui per molti ragazzi minorenni è stata decisa la detenzione, nella maggior parte dei casi senza ancora aver subìto un processo. Le cause di questi problemi sono in parte legate alla città di Milano, dove c’è mancanza di strutture per ospitare i minorenni in attesa di processo in posti diversi da un carcere, per esempio le comunità per minorenni; dall’altra, soprattutto, rendono molto evidenti gli effetti negativi del cosiddetto decreto “Caivano” approvato l’anno scorso dal governo di Giorgia Meloni per riformare alcuni aspetti della giustizia minorile italiana, che pure è generalmente considerata un modello a livello europeo.
Al momento nel carcere minorile Beccaria, che è solo maschile, sono detenuti 82 ragazzi, a fronte di 70 posti teoricamente disponibili dopo il recente ampliamento della struttura. Solo 11 dei ragazzi detenuti hanno ricevuto una condanna definitiva; tutti gli altri sono in attesa di un processo e sono quindi in custodia cautelare, cioè la detenzione che viene ordinata dal giudice prima del processo o prima della fine delle indagini, se si teme che la persona indagata possa commettere altri reati, scappare o “inquinare” le prove.
La questione è rilevante perché la custodia cautelare è uno degli aspetti modificati dal governo con il decreto Caivano: prima poteva essere decisa solo per reati che prevedessero pene di almeno 9 anni, ora gli anni necessari sono stati ridotti a 6. A questo proposito bisogna considerare che il decreto Caivano ha anche aumentato le pene per diversi reati compiuti da minori e ampliato la lista di reati per cui è possibile l’arresto in flagranza (è possibile, per esempio, anche per lo spaccio di stupefacenti di lieve entità). Con questo decreto è insomma molto più facile che una persona minorenne finisca in carcere, e d’altra parte era un obiettivo che il governo voleva ottenere con questa misura.
Già da un paio di mesi molti giuristi e chi si occupa stabilmente di carceri, come l’associazione Antigone, hanno notato una corrispondenza diretta tra l’introduzione del decreto Caivano e l’aumento di minorenni in carcere: all’inizio dell’anno secondo Antigone erano circa 500, il numero più alto degli ultimi 10 anni in Italia. È plausibile che da allora siano ancora aumentati: al Beccaria per esempio è successo, visto che all’inizio dell’anno i ragazzi detenuti erano una settantina.
I reati più frequenti di cui sono accusati i detenuti al Beccaria sono detenzione di sostanze stupefacenti in quantità sufficiente per lo spaccio e rapina. Nel 2022 per esempio un 14enne poi detenuto al Beccaria fu accusato di rapina per essersi impossessato «di un cappellino nero marca Nike e di una scarpa» indossati da un altro ragazzo minorenne, dopo avergli dato «pugni e calci». Aveva anche tentato di «impossessarsi del cellulare e del borsello» di un altro ragazzo, senza riuscirci. Un altro, di 16 anni, fu accusato sempre di rapina per aver rubato a un quindicenne «mediante violenza» la «somma di 10 euro» e «un telefono Redmi» dopo averlo spinto al muro e dopo avergli dato dei pugni insieme a un altro ragazzo.
La giustizia minorile italiana ha generalmente un approccio basato sull’obiettivo di recuperare e reinserire i minori che hanno commesso reati, prima che punirli. La giustizia minorile si occupa di ragazzi fra i 14 e i 18 anni, mentre sotto i 14 non si è imputabili (anche se prima del decreto Caivano una delle proposte del vicepresidente del Consiglio, Matteo Salvini, era stata di abbassare quest’età a 12 anni). Il codice di giustizia minorile risale al 1988 ed è considerato molto all’avanguardia per come applica le direttive europee sulla materia, che insistono soprattutto sull’importanza di trovare per i giovani soluzioni alternative al carcere, che tutelino lo sviluppo della persona e che prevedano la partecipazione attiva del minore.
Il carcere insomma dovrebbe essere previsto solo in casi estremi e in mancanza di alternative, ma a guardare i detenuti del Beccaria sembra invece essere stato usato in modo sistematico, anche in casi in cui c’erano ulteriori ragioni molto valide per evitarlo, per esempio mediche.
Uno dei ragazzi che hanno subìto pestaggi e violenze dagli agenti del Beccaria, per esempio, è entrato nel carcere nel 2023, quando aveva 15 anni, dopo essere stato arrestato perché trovato con 2,81 grammi di hashish. Nel condominio in cui abitava erano poi stati trovati nascosti in una scatola di scarpe altri 120,81 grammi di hashish, 335 euro e un bilancino, oltre ad altri 170 euro nella sua camera da letto: da qui era derivata l’accusa di detenzione per spaccio di stupefacenti, e una richiesta di condanna da parte della procura a 1 anno e 8 mesi, più una multa di 5mila euro. Il ragazzo era stato poi condannato a 10 mesi di reclusione e 2mila euro di multa: nella sentenza veniva anche riferita una valutazione neuro-psichiatrica secondo cui il ragazzo soffriva di un disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD). Nello specifico, un «disturbo dell’adattamento con ansia e umore deflesso con rischio evolutivo verso il disturbo di personalità, con tratti patologici che orientano verso disturbo antisociale prevalente». Questa condizione non ha fatto in modo che la sua condanna fosse decisa in una comunità invece che in carcere.
Circa la metà degli 82 detenuti del Beccaria, poi, è composta da minori stranieri non accompagnati, cioè persone provenienti da paesi extraeuropei che hanno meno di 18 anni e che sono arrivate in Italia da sole. La maggior parte è arrivata in Italia con viaggi che hanno causato loro disagi psicologici.
Per i minori stranieri non accompagnati è ancora più difficile evitare il carcere, perché quando vengono arrestati e sono in attesa di un processo non hanno una casa in cui risiedono abitualmente in cui poter scontare la detenzione agli arresti domiciliari. L’unica alternativa per loro è scontare gli arresti in una comunità, ma a Milano e dintorni ce ne sono troppo poche rispetto alle effettive necessità, e anche quando vengono riconosciuti i requisiti per la detenzione domiciliare spesso i ragazzi in attesa di giudizio finiscono al Beccaria. Diversi ragazzi in questa condizione sono ospitati nelle comunità di don Gino Rigoldi e don Claudio Burgio, rispettivamente ex e attuale parroco del carcere Beccaria. Ma anche loro non hanno posto per tutti.
Uno dei minori stranieri non accompagnati attualmente al Beccaria per esempio è arrivato in Italia a 16 anni dopo essere stato in Spagna, Francia, Paesi Bassi e Austria. Era partito a 7 anni dal Marocco e da lì in poi si è sempre mosso insieme a un amico che ha più o meno la stessa età, anche lui detenuto al Beccaria. Dal Marocco erano partiti in quattro amici, ha raccontato, ma due erano morti nel viaggio. È stato incarcerato lo scorso settembre dopo aver rubato una catenina a un passante a Milano: è ancora in attesa di giudizio, ma da allora è stato tra i molti ragazzi del Beccaria che hanno subìto violenze di vario genere da parte degli agenti.
Le difficoltà dei ragazzi detenuti al Beccaria nell’ottenere condizioni detentive migliori sono aggravate dal fatto che la maggior parte di loro non ha un avvocato difensore, di fatto: gliene vengono assegnati d’ufficio, ma nella stragrande maggioranza dei casi non si occupano direttamente dei loro casi. I pochi avvocati che difendono attivamente i ragazzi detenuti al Beccaria raccontano di essere stati costantemente ostacolati nel loro lavoro all’interno del carcere, per esempio con lunghe attese (anche di alcune ore) prima dei colloqui. Dall’apertura dell’inchiesta giudiziaria sono cambiati gli agenti che ci lavorano e la situazione è nettamente migliorata, raccontano, sia nel rapporto con gli avvocati sia soprattutto in quello con i ragazzi detenuti.