La Cina fa sul serio con la Luna
La missione Chang'e 6, partita per portare per la prima volta sulla Terra un pezzo della faccia nascosta, dice molto delle ambizioni spaziali del governo cinese e delle future sfide con gli Stati Uniti
Alle 11:30 di venerdì (ora italiana) un razzo Lunga Marcia 5 lanciato dal centro spaziale di Wenchang ha portato oltre l’atmosfera terrestre la missione Chang’e 6, con l’obiettivo di raggiungere la faccia nascosta della Luna per prelevare alcuni campioni di terreno e roccia da portare sulla Terra. È una delle missioni senza equipaggio più complesse e ambiziose dell’Agenzia spaziale cinese (CNSA) e conferma il grande interesse del governo cinese per la Luna e la possibilità di esplorarla entro pochi anni con gli esseri umani, con progetti alternativi a quelli avviati dalla NASA e da altre agenzie spaziali con il programma lunare Artemis.
Come suggerisce la cifra dopo il nome, Chang’e 6 è la sesta missione del Programma cinese per l’esplorazione lunare iniziato nel 2007 con Chang’e 1, la prima iniziativa per raggiungere l’orbita lunare. Chang’e è il nome della dea della Luna in diverse mitologie cinesi e, missione dopo missione, l’iniziativa ha permesso alla Cina di compiere grandi progressi nelle complicate attività per raggiungere il suolo lunare. L’obiettivo fu raggiunto una prima volta da Chang’e 3 nel 2013, rendendo la Cina il terzo paese nella storia a compiere un allunaggio controllato dopo gli Stati Uniti e la Russia ai tempi dell’Unione Sovietica.
Nel 2020 la Cina era anche entrata nel ristretto gruppo di paesi ad avere raccolto campioni lunari e ad averli portati sulla Terra grazie alla missione Chang’e 5, che aveva compiuto un allunaggio nell’emisfero nord della Luna. Chang’e 6, la missione partita venerdì, farà qualcosa di analogo, ma prelevando campioni dall’emisfero sud lunare e in una zona che non è mai osservabile direttamente dalla Terra. La Luna ci mostra infatti sempre la stessa faccia, indipendentemente da dove la osserviamo, a causa della rotazione sincrona, cioè il coincidere del periodo di rotazione con quello di rivoluzione. L’osservazione e l’esplorazione dell’emisfero lunare nascosto è molto difficile: se ci si trova sulla faccia nascosta, per esempio, la Luna stessa diventa un ostacolo per comunicare con la Terra.
La Cina era stato il primo paese a riuscire a effettuare un allunaggio controllato sulla faccia nascosta della Luna con la missione Chang’e 4 nel 2019. Molte delle conoscenze maturate con quell’esperienza saranno ora impiegate per tentare la stessa cosa con Chang’e 6, che raggiungerà un’area della superficie lunare che fa parte del bacino Polo Sud-Aitken (SPA), un gigantesco cratere creato dall’impatto di una meteora nelle vicinanze del polo sud lunare. La raccolta di campioni potrebbe consentire di portare sulla Terra frammenti del mantello, uno degli strati interni della Luna, che furono proiettati verso l’esterno al momento dell’impatto. Il loro studio potrebbe consentire di approfondire le conoscenze sulla storia geologica del nostro satellite naturale, sul quale sappiamo ancora relativamente poco.
Dopo avere raggiunto la Luna, un lander (cioè un robot sviluppato per compiere un atterraggio) si staccherà da una sonda che rimarrà in orbita intorno al pianeta e inizierà la propria discesa verso il suolo lunare, effettuando buona parte delle manovre con sistemi di controllo automatici. Raggiunta la superficie, utilizzerà un braccio robotico e una piccola trivella per raggiungere i due metri di profondità, dove preleverà alcuni campioni che saranno poi inseriti in una capsula. Questa sarà inserita in un modulo di risalita, che utilizzerà il resto del lander come una sorta di mini rampa di lancio per tornare in orbita e ricollegarsi alla sonda dalla quale si era staccato in precedenza. La capsula sarà poi trasferita in un modulo di servizio che inizierà un viaggio verso la Terra, che terminerà nelle pianure della Mongolia Interna, la regione autonoma nella parte settentrionale della Cina.
Salvo cambiamenti di programma la missione durerà 53 giorni e consentirà di portare sul nostro pianeta fino a 2 chilogrammi di rocce lunari. I responsabili dell’Agenzia spaziale cinese si sono impegnati a condividere i campioni con il resto della comunità scientifica, come del resto avevano già fatto con le rocce prelevate da Chang’e 4, ma alcuni paesi come gli Stati Uniti mantengono molte cautele e hanno qualche dubbio sulle effettive intenzioni della Cina per quanto riguarda la Luna.
All’inizio dello scorso anno l’amministratore delegato della NASA, Bill Nelson, aveva detto che con le nuove missioni lunari della Cina era di fatto iniziata una nuova “corsa allo Spazio”, dopo quella tra Stati Uniti e Unione Sovietica durante la Guerra Fredda. Nelson aveva anche espresso la necessità di non riporre troppa fiducia nelle dichiarazioni del governo cinese: «Ed è vero che è meglio fare caso a se [la Cina] raggiunge un posto sulla Luna con il pretesto della ricerca scientifica. Non è impensabile che poi dicano: “State lontani, siamo qui, questo è il nostro territorio”».
Parte della diffidenza deriva anche dall’iniziativa avviata da CNSA e Roscosmos, cioè l’agenzia spaziale russa, per costruire in futuro una “Stazione di ricerca lunare internazionale” (ILRS) con missioni di lunga permanenza da parte dei cosmonauti russi e dei taikonauti cinesi. Cina e Russia hanno detto in più occasioni che il progetto è aperto a tutti i paesi interessati, ma per ora le adesioni hanno riguardato per lo più paesi della loro area di influenza come Azerbaigian e Bielorussia, o paesi che raramente collaborano con le agenzie spaziali occidentali come Venezuela, Thailandia, Turchia, Egitto e Pakistan.
I piani non sono ancora completamente chiari e la Cina sembra avere maggiore interesse, e soprattutto maggiori risorse, rispetto alla Russia. La prima fase di perlustrazione è comunque già in corso con le missioni come Chang’e 6, mentre sarà necessario attendere un paio di anni prima che inizino a essere sperimentati moduli e sistemi in vista della costruzione di una base orbitale o sulla superficie della Luna. Il governo cinese vorrebbe comunque raggiungere la Luna con un proprio equipaggio entro il 2030, anche se diversi osservatori ritengono l’obiettivo troppo vicino nel tempo. L’Agenzia spaziale cinese ha fatto comunque grandi progressi in pochi anni, per esempio costruendo una propria stazione spaziale in orbita intorno alla Terra, occupata in modo continuativo da equipaggi di tre persone.
I successi delle missioni spaziali sono sfruttati dalla propaganda per promuovere i progressi tecnologici raggiunti dalla ricerca e dall’industria cinese, oltre che per mostrare i risultati ottenuti dal presidente Xi Jinping. Negli ultimi anni il settore aerospaziale cinese si è ampliato in modo significativo, con l’emergere di numerose aziende private che ricevono grandi finanziamenti da parte del governo, che mantiene uno stretto controllo sulle loro attività.
Dei 211 lanci orbitali di successo effettuati nel 2023, 109 sono stati effettuati dagli Stati Uniti, che mantengono un alto ritmo soprattutto grazie a SpaceX nel pieno dell’espansione del proprio servizio Starlink per Internet via satellite, e 66 dalla Cina, il secondo paese ad avere effettuato più missioni spaziali. In meno di cinque anni la Cina ha raddoppiato la quantità di lanci orbitali e ha aumentato sensibilmente le attività oltre l’orbita bassa terrestre, con le missioni verso la Luna.
Nei prossimi anni la competizione tra Cina e Stati Uniti in ambito spaziale diventerà più serrata e una parte importante del confronto si svolgerà proprio intorno alla Luna. La NASA progetta di effettuare un allunaggio con astronaute e astronauti non prima di settembre 2026 nell’ambito del programma Artemis, dopo avere rivisto sensibilmente le proprie previsioni iniziali che a causa dei ritardi accumulati si erano rivelate troppo ottimistiche. I rinvii di Artemis potrebbero favorire le intenzioni lunari della Cina, interessata non solo ai progressi scientifici derivanti da un’impresa di quel tipo, ma anche a quelli commerciali e politici per dimostrare le proprie capacità tecnologiche che potrebbero anche essere sfruttate a scopi militari.