Ci sono lingue più “veloci” di altre
Per quanto riguarda la quantità di sillabe pronunciate al secondo, ma anche la densità di informazioni veicolate, o altro ancora
La linguistica quantitativa è un ramo della linguistica generale che studia la struttura delle lingue attraverso metodi e concetti matematici e statistici. Permette di analizzarle e classificarle sotto diversi aspetti, ma quale sia la lingua più “veloce” è una domanda che non ha una risposta univoca: dipende dal valore preso in considerazione per intendersi sulla velocità e misurarla. Può essere la quantità di sillabe mediamente pronunciate dai parlanti in una certa unità di tempo, per esempio, oppure la quantità di informazioni trasmesse nella stessa unità di tempo.
La questione è complicata dal fatto che, sebbene sia un tratto umano universale, il linguaggio verbale ha poche caratteristiche indiscutibilmente universali. Ciascuna lingua appartenente a una diversa famiglia linguistica si differenzia dalle altre nei modi e nelle strutture, e metterle a confronto è un’operazione possibile solo entro certi limiti. Nel 2019 un gruppo di ricercatori del laboratorio francese di dinamica del linguaggio della Université Lumière-Lyon-II pubblicò sulla rivista Science Advances uno studio che confrontò secondo vari parametri 17 lingue di nove diverse famiglie linguistiche eurasiatiche (vietnamita, basco, catalano, tedesco, inglese, francese, italiano, spagnolo, serbo, giapponese, coreano, mandarino, cantonese, tailandese, turco, finlandese e ungherese).
Il campione analizzato è estremamente vario in termini di caratteristiche linguistiche e tipologiche, scrisse il gruppo di ricerca. Sotto l’aspetto fonologico le 17 lingue variano molto per numero di fonemi, cioè i singoli suoni minimi dotati di tratti distintivi in un sistema linguistico: da 25 fonemi nel giapponese e nello spagnolo a oltre 40 nell’inglese e nel tailandese. Ma variano anche per numero di sillabe distinte (da poche centinaia nel giapponese a quasi 7mila nell’inglese) e per complessità tonale nelle lingue tonali (quelle in cui le variazioni di tono – fino a sei, nel campione analizzato – possono cambiare il significato di una parola).
Lo studio prese in considerazione la quantità di sillabe pronunciate per unità di tempo, conteggiate secondo la pronuncia canonica attestata nei dizionari. Per esempio, la parola inglese probably (“probabilmente”) fu conteggiata come parola da tre sillabe, anche se alcuni la pronunciano come una parola da due sillabe (“probly”). I ricercatori raccolsero quindi le registrazioni di 170 parlanti nativi adulti delle 17 lingue, in cui ciascun parlante leggeva una serie standardizzata di testi semanticamente simili (per un totale di circa 240mila sillabe, considerando tutti i testi). Prima di essere registrato ogni partecipante ebbe il tempo di acquisire familiarità con i testi leggendoli più volte, in modo da comprenderli e ridurre al minimo gli errori di lettura.
In termini di quantità di sillabe pronunciate al secondo le lingue più veloci nel gruppo analizzato furono il giapponese, lo spagnolo e il basco, seguite da finlandese, italiano, serbo e coreano. Le più lente furono il tailandese, il vietnamita e il cantonese. Le prime tre lingue più veloci hanno tutte soltanto cinque vocali, mentre le tre più lente ne hanno oltre 20 e sono tutte lingue tonali. Come ha spiegato al sito Atlas Obscura il professore di fonetica francese François Pellegrino, uno degli autori dello studio, la quantità di sillabe pronunciate al secondo è soltanto uno dei possibili modi di definire la velocità di una lingua, non necessariamente il più significativo. Indipendentemente dagli aspetti articolatori esistono valutazioni soggettive, per esempio, per cui una certa lingua sconosciuta parlata da una persona madrelingua può suonare più o meno veloce alle orecchie di chi la ascolta.
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C’è poi una variabile molto difficile sia da definire che da misurare, ma che secondo Pellegrino ha a che fare anche con la velocità: la «densità delle informazioni», cioè la quantità di informazioni trasmesse al secondo. Una definizione di densità utilizzata nella linguistica quantitativa, che si rifà a nozioni elaborate dell’ingegnere e matematico statunitense Claude Shannon, riguarda appunto la velocità con cui un ascoltatore può ridurre la propria incertezza riguardo alla restante parte del messaggio man mano che lo riceve: velocità variabile a seconda della lingua del messaggio. Misurarla richiede una serie di calcoli complessi del numero di possibili sillabe in una lingua, della relativa frequenza di ciascuna di quelle sillabe e della probabilità che a una certa sillaba ne segua un’altra.
Dallo studio della Université Lumière-Lyon-II, sulla base di questo tipo di calcoli, emerse una correlazione inversa tra la quantità di sillabe e la quantità di informazioni che è possibile mettere insieme in un’unità di tempo. Il giapponese, per esempio, ha un numero altissimo di sillabe pronunciate al secondo ma anche un grado molto basso di complessità delle sue sillabe, cioè molte meno informazioni codificate per sillaba rispetto ad altre lingue. Vuol dire che le sillabe nel giapponese fluiscono molto più velocemente, ma ne servono molte di più per trasmettere la stessa quantità di informazioni rispetto a una lingua “lenta”, come per esempio il vietnamita (una delle lingue tonali).
In un certo senso è possibile sostenere che l’inglese, per esempio, sia una lingua più efficiente del giapponese. Le sillabe giapponesi contengono perlopiù una consonante seguita da una vocale, come ko, ma l’inglese – che pure ha soltanto cinque lettere per rappresentare le vocali, come il giapponese – ha circa venti suoni vocalici diversi. Utilizzando la “a” in posizioni diverse è possibile ottenere i suoni vocalici di cat, can, cane, calm e molti altri. L’inglese ha anche sillabe molto complesse che comprendono grandi gruppi di consonanti, come in strength. Nel vietnamita la maggiore complessità delle sillabe rispetto al giapponese è data invece soprattutto dalle variazioni tonali, per cui la melodia o l’altezza di una sillaba possono assumere valore.
La densità delle informazioni è un parametro rilevante per la velocità perché, in generale, maggiore è la complessità possibile di una sillaba, maggiore è la quantità di informazioni che può trasportare. Ha senso dire che la velocità del giapponese – circa 12 sillabe al secondo – è maggiore rispetto a quella dell’inglese, ma non che sia una lingua più veloce in assoluto, dal momento che altre lingue possono trasmettere la stessa quantità di informazioni con molte meno sillabe.
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La questione della quantità di informazioni e dell’efficienza è a sua volta molto spinosa, perché le lingue sono fenomeni complessi, incoerenti e ridondanti. Una traduzione diretta della frase inglese I am in spagnolo sarebbe “Yo soy”, per esempio, ma “yo” non è necessario – lo spagnolo permette, come l’italiano, l’omissione del soggetto – e di solito viene omesso: è una sillaba in meno. Per tradurre “sono affamato” in inglese diremmo I am hungry, che però tralascia un pezzo di informazione: quella relativa al genere grammaticale, per cui una traduzione più completa dovrebbe essere qualcosa come I, a man, am hungry, che ha più sillabe.
In Paama, una lingua parlata sull’isola di Vanuatu, gli aggettivi possessivi possono includere informazioni sulla relazione tra il parlante e l’oggetto, diverse a seconda del contesto. In un’espressione traducibile come “il mio cocco”, per esempio, la parola utilizzata per “mio” potrebbe significare “che intendo mangiare”, oppure “che ho coltivato”, oppure “che intendo tenere nella mia famiglia per un uso non alimentare”. Anche del Paama si potrebbe quindi dire che è una lingua veloce, se una singola parola può avere significati che a noi appaiono così diversi.
Uno dei limiti dello studio condotto da Pellegrino e dagli altri ricercatori – oltre alla definizione comunque limitata di “informazione”, tratta dalle teorie di Shannon – è la parzialità del campione analizzato. Delle circa 7mila lingue esistenti non ne includeva alcune molto importanti come l’arabo e lo swahili, parlate da miliardi di persone. I risultati dello studio permisero tuttavia di notare come in generale le lingue siano ugualmente efficienti nel trasmettere informazioni, ciascuna attraverso un differente compromesso tra complessità e velocità.
Le persone che parlavano lingue meno complesse pronunciavano più sillabe al secondo, mentre chi parlava una lingua più complessa sembrava dover fare uno sforzo maggiore per articolare le sillabe, e quindi ne pronunciava di meno. Le informazioni venivano tuttavia trasmesse più o meno allo stesso ritmo in ogni caso. «È come le ali di un uccello. Ci sono quelle grandi, che richiedono pochi battiti al secondo, e quelle piccole, che invece bisogna battere molto di più, ma il risultato in termini di volo è praticamente lo stesso», disse all’Economist lo scienziato cognitivo Christophe Coupé, uno degli autori dello studio.