Il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez non si dimetterà
Aveva minacciato di farlo dopo l'apertura di un'indagine contro sua moglie, e negli ultimi cinque giorni aveva bloccato tutta la politica spagnola, in attesa di una sua decisione
Lunedì mattina il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez, del Partito Socialista Operaio (PSOE), ha comunicato che non intende dimettersi e continuerà quindi a guidare il governo. Lo ha annunciato con un breve discorso alla Moncloa, la sede del governo spagnolo: era una decisione molto attesa, dato che mercoledì scorso Sánchez aveva interrotto le attività istituzionali a seguito dell’apertura di un’indagine contro la moglie, Begoña Gòmez, per una denuncia presentata da un sindacato vicino all’estrema destra. Sánchez aveva allora interrotto tutte le attività istituzionali e aveva detto che avrebbe valutato se dimettersi.
L’indagine per presunto traffico di influenze illecite a carico di Gómez era stata aperta dopo una denuncia di Manos Limpias, uno “pseudosindacato” di estrema destra, noto per la sua vicinanza a movimenti nostalgici del franchismo e soprattutto per le sue frequenti denunce contro politici e personaggi pubblici progressisti, quasi tutte false o inconcludenti.
Sánchez aveva detto che le accuse di Manos Limpias fanno parte di una campagna più ampia di discredito contro di lui e la sua famiglia che va avanti da mesi e che è sostenuta, oltre che da organizzazioni politicamente motivate come Manos Limpias, anche dai partiti di destra e centrodestra, come il Partito Popolare e Vox. Queste accuse rientrano spesso nella retorica molto aggressiva che ha assunto negli ultimi anni la politica spagnola, ma in alcuni casi sono diventate ingiurie personali.
Più in generale, nel suo discorso di lunedì, Sánchez ha denunciato la fortissima polarizzazione della vita politica spagnola, dominata, secondo il primo ministro, dagli attacchi personali e dalla demonizzazione dell’avversario: «Se accettiamo come società che l’azione politica consenta attacchi indiscriminati a innocenti, allora non ne vale la pena. Se consentiamo che gli scontri tra partiti giustifichino l’esercizio dell’odio, le insidie e le falsità contro terze persone, allora non vale la pena».
Secondo gli analisti, Sánchez avrebbe potuto dimettersi e mettere in moto il meccanismo per la formazione di un nuovo governo, o per andare a nuove elezioni; in alternativa, avrebbe potuto chiedere al parlamento spagnolo un nuovo voto di fiducia, per confermare la solidità del suo governo. Invece ha deciso di non fare nulla di tutto questo, e di proseguire normalmente la sua attività di governo. Sánchez ha comunque cercato di fare di questo momento un evento importante della legislatura, e ha detto che da adesso in avanti lavorerà per la «rigenerazione» della democrazia spagnola, anche se non ha spiegato bene in cosa consista.
«Io e mia moglie sappiamo che questa campagna diffamatoria non si fermerà. Va avanti da dieci anni. È grave, ma non è la cosa più importante: possiamo sopportarlo. Il punto è che tipo di società vogliamo essere», ha aggiunto.
Domenica a Madrid c’era stata una grande manifestazione in sostegno di Sánchez, a cui avevano partecipato migliaia di persone: nel discorso tenuto lunedì il primo ministro ha detto di aver deciso di non dimettersi anche grazie alle dimostrazioni di sostegno ricevute negli ultimi giorni da parte di molti cittadini e cittadine.
– Leggi anche: Lo “pseudosindacato” di estrema destra che ha denunciato la moglie di Pedro Sánchez in Spagna
Nel corso dell’ultima settimana c’era stata grande agitazione nella politica spagnola, in attesa di conoscere la decisione di Sánchez e il futuro del suo governo. È un periodo già per di sé complicato, nel quale sono in corso le campagne elettorali sia per le elezioni del parlamento della Catalogna del prossimo 12 maggio che per le elezioni europee del 9 giugno. Venerdì il PSOE avrebbe dovuto approvare definitivamente le liste dei propri candidati per le elezioni europee, ma ha deciso di rimandare tutto a domani.
Sánchez ha 52 anni, è in carica dal 2018 e quello attuale è il terzo governo di cui è primo ministro. Entrò in carica nel novembre del 2023, dopo lunghi negoziati con i partiti autonomisti e indipendentisti di varie regioni spagnole. È però un governo di minoranza, cioè sostenuto da un numero di membri del parlamento che non supera la metà del totale.