Perché Giorgia Meloni può farsi votare con il solo nome di battesimo
È un espediente legittimo e di solito usato per evitare confusione, in questo caso il suo scopo è mostrarsi «fiera di essere una persona del popolo»
Nell’annunciare la sua candidatura alle elezioni europee, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha chiesto agli elettori e alle elettrici di Fratelli d’Italia di scrivere sulla scheda elettorale solo il suo nome di battesimo: per esprimere una preferenza a lei basterà scrivere soltanto “Giorgia”, e sulla scheda ci sarà scritto «Giorgia Meloni detta “Giorgia”». «Sono stata derisa per anni e anni per le mie radici popolari, mi hanno chiamata pesciarola, fruttivendola, borgatara. Quello che non hanno mai capito è che io sono stata sempre, sono e sarò sempre fiera di essere una persona del popolo. Se volete dirmi che ancora credete in me, mi piacerebbe che lo faceste scrivendo sulla scheda semplicemente “Giorgia”», ha detto Meloni.
La possibilità di dare la preferenza a un candidato o a una candidata scrivendo solo il nome di battesimo o un soprannome non è una novità, anzi è un espediente diffuso da molti anni. Nelle liste elettorali non è raro imbattersi in alcuni candidati indicati con la dicitura “Tizio detto Caio” o “Tizia nota Sempronia” (nel senso di: “nota come Sempronia”). È un modo per evitare di perdere voti nel caso in cui un elettore sbagli a scrivere un nome sulla scheda, soprattutto quando le liste sono piene di candidati e ci sono cognomi simili, oppure quando un candidato è noto soprattutto con un diminutivo del nome o con un soprannome.
Un esempio noto è quello dell’ex leader dei Radicali Marco Pannella, che sulle liste elettorali era “Giacinto Pannella detto Marco”. Il fatto che avesse due nomi rendeva chiaro il motivo della precisazione, anche perché tutti lo conoscevano come Marco e il nome Giacinto era indicato come primo per via di un errore burocratico, come raccontò lui stesso.
A differenza di Pannella, Meloni e Fratelli d’Italia sfrutteranno questa possibilità più che altro per fini elettorali, cioè per dare un’immagine della presidente del Consiglio più vicina alla gente, come “una di noi”. Nei manifesti elettorali in giro per le città c’è scritto in maiuscolo «Con Giorgia» e poi sotto «l’Italia cambia l’Europa». Il cognome di Meloni non compare.
In ogni caso, tutto ciò è consentito dalla legge italiana. L’espressione di voto alle elezioni europee è regolata dall’articolo 69 del testo unico per l’elezione della Camera, secondo cui «la validità dei voti nella scheda deve essere ammessa ogni qualvolta possa desumersi la volontà effettiva dell’elettore». È il principio del cosiddetto favor voti, o della “conservazione del voto”: quello per cui nel giudicare la preferenza espressa in una scheda elettorale bisogna sempre cercare di privilegiare la volontà dell’elettore o dell’elettrice, quando non ci sono motivi ragionevoli per metterla in dubbio.
A livello operativo, le istruzioni per le operazioni degli uffici elettorali di sezione fanno riferimento a una sentenza del Consiglio di Stato del 2007, secondo cui la pratica di dare la preferenza utilizzando solo il nome di battesimo è consentita se comunicata in precedenza agli elettori e alle elettrici, e se il nome o il soprannome viene riportato correttamente sui manifesti ufficiali delle candidature.
Negli anni il principio del favor voti e la necessità di evitare conflitti di attribuzione con partiti avversari ha alimentato diciture che possono sembrare persino paranoiche: alle ultime regionali nel Lazio dell’anno scorso un candidato consigliere di Azione era «Federico Petitti, detto Petiti, Pettiti, Pettitti, Petti». In Lombardia invece un candidato di Forza Italia era «Daniele Cassamagnaghi, detto Cassa detto Magnaghi». Silvia Maullu di Fratelli d’Italia, sempre candidata in Lombardia, era «detta Maullo detta Maulo detta Maulu». Tutti questi casi sono stati ritenuti legali: servivano ai politici a evitare di perdere qualche voto in caso di errori nel riportare il cognome del candidato o della candidata.
Interpellato da Repubblica in merito alla legittimità della proposta di Meloni, il costituzionalista dell’università Sapienza di Roma Gaetano Azzariti ha fatto riferimento a un’eccezione contenuta sempre nella sentenza del Consiglio di Stato del 2007: nel caso preso in esame dai giudici la candidata ha potuto farsi votare semplicemente come Anna perché “nessun altro candidato nelle due liste in competizione aveva il nome proprio di Anna”. «Solo Giorgia? E se c’è un’altra Giorgia che fanno? Saranno costretti a eliminarla? Vietate tutte le Giorgia dentro FdI?», ha detto Azzariti.
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