La Corte Suprema e l’immunità a Donald Trump
Giovedì il tribunale statunitense ha tenuto un'importante udienza su uno dei casi giudiziari più attesi dell’anno: un presidente è perseguibile per crimini commessi durante il suo mandato?
Giovedì la Corte Suprema degli Stati Uniti ha cominciato pubblicamente i lavori su uno dei casi giudiziari più attesi dell’anno, che riguarda la possibilità che un presidente degli Stati Uniti goda di una totale immunità per gli atti commessi durante il suo mandato, anche se sono crimini perseguibili. Il presidente in questo caso è Donald Trump, che tra le altre cose è sotto processo per aver cospirato per sovvertire il risultato delle elezioni del 2020.
Quel processo contro Trump, che era cominciato nel 2023, era stato sospeso a febbraio perché gli avvocati della difesa avevano chiesto che al loro cliente fosse concessa l’immunità, poiché quando avvennero i fatti Trump era ancora presidente. Secondo gli avvocati, un presidente deve essere immune da ogni possibile indagine giudiziaria, anche se ordinasse l’omicidio di un rivale politico, oppure organizzasse un colpo di stato.
Inizialmente un tribunale di appello aveva negato a Trump l’immunità, ma gli avvocati avevano portato il caso davanti alla Corte Suprema, che giovedì ha tenuto la sessione di “argomenti orali”: gli argomenti orali sono una delle prime fasi del giudizio della Corte, e consentono agli avvocati delle due parti di esprimere i loro argomenti davanti ai giudici, che possono interrogarli ed esprimere i loro pareri. La sessione degli argomenti orali è pubblica (quella di giovedì sull’immunità è durata tre ore) e di solito è un modo per capire le inclinazioni dei giudici che poi dovranno emettere la sentenza.
In questo caso, la Corte sembra propensa a fornire al presidente (cioè a Trump, ma il giudizio si applicherebbe anche a tutti gli altri presidenti) un certo livello di immunità, anche se non l’immunità assoluta che chiedono gli avvocati della difesa. Questo potrebbe comportare un ritardo anche di mesi del processo in cui Trump è accusato di avere sovvertito il risultato delle elezioni. Se Trump vincesse le prossime elezioni presidenziali, che si terranno a novembre, e il processo non fosse ancora concluso, potrebbe a quel punto ordinare al dipartimento di Giustizia (di cui lui nominerebbe il segretario) di ritirare le accuse contro di lui.
Le discussioni davanti alla Corte Suprema hanno riguardato principalmente due questioni. La prima, e la più importante, riguarda l’opportunità di offrire una forma di immunità giudiziaria al presidente degli Stati Uniti.
I giudici di nomina Democratica, che al momento sono soltanto tre su nove, in netta minoranza, si sono mostrati più favorevoli a non concedere alcuna immunità. Come ha detto la giudice di nomina Democratica Ketanji Brown Jackson, la Costituzione americana non prevede immunità per il presidente perché se «la persona più potente del mondo» non rischiasse alcuna punizione per violare la legge, potrebbe trasformare «lo Studio Ovale in una centrale di criminalità».
I giudici di nomina Repubblicana sono apparsi più preoccupati del fatto che, senza immunità, un presidente potrebbe rischiare di incorrere in vendette politiche, soprattutto dopo la fine del suo incarico. «Nel mondo ci sono molti esempi di paesi in cui il [candidato] perdente viene messo in prigione [dal candidato vincente]», ha detto Samuel Alito, uno dei giudici di nomina Repubblicana.
In una maniera un po’ paradossale, Trump stesso ha rafforzato quest’ultimo argomento, quando giovedì il suo comitato elettorale ha mandato una mail ai sostenitori con scritto: «Quel corrotto di Joe [Biden] deve trascorrere la vita in prigione! Mettete Biden sotto processo». Di fatto, Trump ha fatto capire – in numerose occasioni, anche precedenti – che se sarà rieletto presidente cercherà di vendicarsi politicamente di Biden tramite il sistema giudiziario.
L’altra grossa questione di cui si è parlato durante l’udienza è dove mettere l’asticella di un’eventuale immunità: la maggioranza dei giudici è sembrata concorde sul fatto che gli atti ufficiali di un presidente debbano ricevere una qualche forma di immunità, mentre gli atti personali debbano essere perseguibili. Come distinguere tra i due, probabilmente, sarà l’oggetto delle prossime discussioni.
La Corte Suprema dovrebbe prendere una decisione definitiva sulla questione entro la fine della sua attuale sessione, che termina a giugno. È improbabile che accetti gli argomenti della difesa di Trump e che gli conceda un’immunità totale, ed è altrettanto improbabile che rigetti completamente la richiesta, e che escluda ogni immunità (in quest’ultimo caso, il processo contro Trump potrebbe ripartire speditamente, e forse concludersi prima delle presidenziali).
L’opzione più probabile è che la Corte accetti il principio di definire un qualche tipo di immunità, e che dia l’incarico a tribunali inferiori di stabilire quali atti di un presidente sono perseguibili e quali no, caso per caso. In questa evenienza, il processo contro Trump potrebbe essere ritardato di mesi, come sperano i suoi avvocati.