L’abolizione del numero chiuso a medicina di cui si parla non è una vera abolizione
La proposta in discussione al Senato sposta la selezione dai test di ingresso a una valutazione alla fine del primo semestre
Si è concluso il lavoro di un gruppo di senatori della commissione Cultura che negli ultimi mesi ha rivisto l’accesso al corso di laurea in medicina, attualmente consentito solo agli studenti che superano un test di ingresso, una limitazione chiamata “numero chiuso”. Le novità sono state accolte con soddisfazione da molti politici della maggioranza che hanno parlato erroneamente di abolizione del numero chiuso. «Grande soddisfazione per lo stop al numero chiuso a medicina, una storica battaglia della Lega. Dalle parole ai fatti!», ha scritto su X il ministro dei Trasporti Matteo Salvini. Le nuove regole non sono definitive, anzi molte devono essere ancora discusse, ma una cosa è certa: il numero chiuso non verrà abolito.
Negli ultimi dieci anni l’abolizione delle iscrizioni a numero chiuso ai corsi di medicina è stata al centro del dibattito politico, proposta come la soluzione alla mancanza di medici e mediche negli ospedali e sul territorio. L’accesso all’università di medicina viene chiamato a numero chiuso perché i test di ingresso organizzati ogni anno mettono a disposizione una quantità di posti molto inferiore alla domanda. Il prossimo test di ingresso, per esempio, garantirà l’accesso alle facoltà di medicina a poco più di 20mila persone a fronte delle oltre 50mila che realisticamente si candideranno.
Il test di ingresso non è l’unica barriera che deve essere superata da chi vuole diventare medico o medica. La seconda barriera consiste nella specializzazione richiesta per l’assunzione negli ospedali: dopo la laurea, per diventare specialisti, i medici devono vincere un concorso nazionale del ministero dell’Istruzione e ottenere una borsa di studio per praticare una specializzazione in ospedale. Una volta specializzati possono partecipare ai concorsi per essere assunti a tempo indeterminato dal servizio sanitario nazionale (SSN).
L’ingresso a numero chiuso nelle università e il numero di borse di studio messe a disposizione ogni anno determinano quindi la quantità di medici e mediche che in futuro potranno partecipare alle specializzazioni e infine lavoreranno negli ospedali o sul territorio come medici di famiglia. Gli attuali problemi sono quindi il risultato di un lavoro di programmazione approssimativo da parte di molti dei governi che si sono succeduti negli ultimi due decenni, e le modifiche che vengono decise ora avranno effetti tra almeno dieci anni.
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Il testo adottato dal gruppo di esperti della commissione Cultura del Senato è una proposta di legge delega di iniziativa parlamentare, cioè che viene proposta dai parlamentari. Ora dovrà passare all’esame anche della commissione Istruzione e poi verrà votata in aula. Una volta approvata, il governo dovrebbe approvare un decreto legislativo secondo cui chiunque possa iscriversi all’università di Medicina, frequentare i corsi e sostenere quattro esami nei primi sei mesi di scuola: al termine di questo periodo gli aspiranti medici saranno valutati e solo chi avrà un punteggio alto potrà accedere ai posti disponibili. In questo modo la barriera di accesso verrebbe spostata di sei mesi, dai test di ingresso alle graduatorie da compilare alla fine del primo semestre.
Non è ancora chiaro quali saranno i criteri per stabilire il punteggio, se basterà il voto dei quattro esami oppure se sarà introdotto un test per fare più selezione. Il governo avrà un anno di tempo per studiare e approvare i decreti legislativi, e decidere questioni operative come la definizione delle graduatorie. «Possiamo però già oggi dire che gli esami del primo semestre si svolgeranno in modalità telematica con domande a risposta chiusa», ha detto a Quotidiano Sanità Francesco Zaffini (Fratelli d’Italia), presidente della commissione Sanità del senato e relatore del provvedimento. «Per la collocazione utile nella graduatoria nazionale verranno considerati tre elementi: i crediti formativi universitari ottenuti con il conseguimento degli esami, il voto ricevuto e il numero di risposte esatte date. In questo modo si supera il meccanismo cervellotico dei test».
Zaffini ha anche detto che sul numero chiuso si è fatta molta confusione: il limite alle iscrizioni rimarrà e continuerà a essere pensato e programmato come avviene ora, incrociando i dati del ministero dell’Università con quelli del ministero della Salute. La ministra Bernini ha detto che nei prossimi anni saranno formati 30mila medici, un numero già previsto con il numero chiuso.
Gli effetti della nuova proposta sarebbero soprattutto sull’accesso ai primi sei mesi di medicina, con conseguenze notevoli per le università. Gian Vincenzo Zuccotti, direttore del dipartimento di pediatria dell’ospedale Buzzi di Milano e prorettore dell’università Statale, ha detto al Corriere della Sera che con le nuove regole ci saranno problemi di capienza perché nelle università non ci sono aule così grandi da accogliere tutti gli aspiranti medici: «E non abbiamo neanche abbastanza professori né per tenere i corsi né per far fare a tutti gli esami in tempo utile, cioè entro il primo semestre. L’ammissione al secondo semestre è comunque vincolata al raggiungimento di un certo numero di crediti formativi. Mi immagino l’enorme pressione psicologica di questi ragazzi».
La pressione dovuta alla competitività non è un elemento secondario. Il modello a cui si ispira la proposta della commissione Cultura infatti è quello francese, che negli ultimi anni la Francia ha messo in discussione e poi in parte modificato. Uno dei problemi di questo modello è la forte selezione che ogni anno causa una certa disillusione tra gli studenti costretti a cambiare indirizzo di studi al termine del primo semestre o del primo anno, dopo aver investito energie e riposto speranze nel percorso universitario. In Italia la tensione legata al processo di ammissione dura il tempo del test di ingresso, in Francia almeno sei mesi.
A causa di questa impostazione negli ultimi dieci anni molti studenti francesi sono emigrati per diventare medici all’estero: in Belgio, Romania, Ungheria e Australia. Dal 2021 in Francia sono quindi state introdotte modifiche – come un nuovo diploma universitario chiamato Libre Accés Santé (libero accesso alla sanità) – per evitare selezioni troppo rigorose a università già iniziata.
Secondo alcuni esperti tra cui Giovanni Fattore, professore di economia sanitaria dell’università Bocconi, l’apertura dei corsi di medicina a chiunque rischia di ridurre la qualità della didattica: l’attuale selezione prima dell’inizio delle lezioni consente di scegliere studenti con più potenzialità e proporre lezioni con un numero contenuto di studenti, meno dispersive.
Anche gli Ordini dei medici sono contrari alla proposta. La federazione nazionale degli Ordini dei medici (Fnomceo) darà un parere contrario per via del cosiddetto “imbuto” lavorativo, cioè il rischio che tra dieci anni ci possano essere molti più medici rispetto ai posti disponibili negli ospedali. Il presidente della federazione, Filippo Anelli, ha richiamato la politica a considerare il significativo ritardo tra le decisioni e gli effetti delle stesse, piuttosto trascurato nel dibattito degli ultimi anni. «Per formare un medico ci vogliono 10 anni, ovvero sei anni di corso di laurea in Medicina e 4 anni di specializzazione. Abbiamo stimato che fra 10 anni saranno andati in pensione circa 7mila medici», ha detto al Sole 24 Ore. «A fronte di questo “buco”, già quest’anno la previsione di iscrizioni a Medicina raggiunge le 20mila unità. Questo vuol dire che fra 10 anni, nel 2034, noi potremo assumere 7mila medici, ovvero il numero di quelli andati in pensione, ma non potremo fare lavorare ben 13mila medici che risulteranno in più (al netto della mancanza di medici che verrà colmata già nei prossimi anni, ndr). Se verrà eliminato il numero chiuso, gli accessi a Medicina saranno molti di più, almeno il doppio».
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