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  • Giovedì 25 aprile 2024

La liberazione del Portogallo, cinquant’anni fa

Il 25 aprile del 1974, grazie alla Rivoluzione dei Garofani, il paese venne liberato dalla dittatura fascista di António de Oliveira Salazar

Una donna con un garofano rosso di carta, simbolo della rivoluzione portoghese del 1974 a Lisbona, 21 aprile 2024 (AP Photo/Armando Franca)
Una donna con un garofano rosso di carta, simbolo della rivoluzione portoghese del 1974 a Lisbona, 21 aprile 2024 (AP Photo/Armando Franca)
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Il 25 aprile di cinquant’anni fa il Portogallo venne liberato dalla dittatura fascista instaurata da António de Oliveira Salazar grazie a quella che passò alla storia come Rivoluzione dei Garofani (Revolução dos Cravos), dal gesto di una donna che nei giorni della sommossa, in una piazza di Lisbona, li offrì ai soldati fiori da inserire nelle canne dei fucili. I garofani divennero il simbolo della rivoluzione che, tra l’altro, non fu particolarmente violenta: le persone uccise dalle forze lealiste al regime furono quattro.

Fin dall’instaurazione della Repubblica, nell’ottobre del 1910, il Portogallo attraversò una violenta instabilità politica: conflitti sindacali, lotte tra clericali e anticlericali, colpi di stato, assassinii di capi di governo e decine di governi che si susseguirono, quasi tutti sotto il controllo dei militari. Nel 1926 una giunta militare pose fine al primo periodo repubblicano. Divenuto presidente, il generale António Óscar de Fragoso Carmona chiamò al ministero delle Finanze António de Oliveira Salazar, fino a quel momento conosciuto solo all’interno degli ambienti accademici. Salazar, in pochi anni e applicando una politica di rigido contenimento della spesa, risanò la situazione finanziaria del paese. Questo gli fece guadagnare un ampio prestigio che gli consentì di assumere, nel 1932, la presidenza del Consiglio e di dare inizio, un anno dopo, alla dittatura.

Il regime di Salazar venne chiamato “Estado Novo” (“Stato nuovo”) e fu simile, nella natura e nei princìpi, al fascismo di Benito Mussolini in Italia, al quale si ispirò esplicitamente. Sostenuto dalla Chiesa e da un partito unico creato nel 1933, l’Unione Nazionale, Salazar eliminò i sindacati, la libertà di stampa e ogni altro tipo di dissidenza politica grazie soprattutto alla PIDE, la temuta polizia segreta che arrestò, incarcerò, deportò in centri di detenzione e torturò decine e decine di oppositori politici. Organizzò poi lo stato in corporazioni da lui nominate e gestite, creò un’organizzazione giovanile ispirata alle associazioni giovanili fasciste italiane e alla gioventù hitleriana e una vasta macchina per la propaganda.

António de Oliveira Salazar a un incontro dei legionari a Lisbona, 11 marzo 1938 (AP Photo)

Sul piano della politica internazionale, il regime sostenne attivamente i nazionalisti di Francisco Franco nella guerra civile spagnola, nonostante una neutralità di facciata, quindi proclamò la neutralità del Portogallo all’inizio della Seconda guerra mondiale mantenendo comunque relazioni diplomatiche e commerciali con entrambi i fronti: diede le basi delle Azzorre agli Alleati per sorvegliare l’Atlantico e vendette materie prime ai nazisti.

Il dittatore portoghese António de Oliveira Salazar con le truppe che si stanno per imbarcare verso le colonie africane della Repubblica portoghese, 1950 circa (Evans/Three Lions/Hulton Archive/Getty Images)

Convinto colonialista, Salazar cercò di preservare l’immenso impero coloniale portoghese che andava dalla Guinea al Mozambico, da Timor Est a Macao iniziando una lunga guerra contro i movimenti indipendentisti locali, soprattutto in Angola, negli anni in cui tutto il resto dell’Europa stava progressivamente lasciando l’Africa. I costi crescenti di queste operazioni e la richiesta costante di soldati impoverirono però il paese.

Nel 1968 Salazar cadde da una sedia e batté la testa. I danni cerebrali che ne seguirono e l’operazione che subì costrinsero il presidente della Repubblica a sostituirlo. Nonostante non fosse più presidente del Consiglio dei ministri, i medici temevano però che Salazar non sarebbe sopravvissuto alla scoperta di non avere più alcun ruolo politico. Così fino alla sua morte, avvenuta nel 1970, Salazar non seppe mai di essere stato rimosso, continuando a parlare come se fosse ancora a capo del governo, a partecipare a finte riunioni ministeriali, a fare false interviste televisive e radiofoniche e a ricevere copie uniche del suo quotidiano preferito Diário de Notícias. Nel frattempo, dal settembre del 1968, il posto di Salazar era stato preso da Marcello Caetano che proseguì la politica del suo predecessore, avviando però una parziale liberalizzazione del regime.

– Leggi anche: Il libro femminista che contribuì a far crollare il regime portoghese

Con la morte di Salazar nel 1970 il malcontento nei confronti del regime aumentò, soprattutto nell’ala più di progressista dell’esercito riunita nel Movimento delle Forze Armate (MFA – Movimento das Forças Armadas). Nel marzo del 1974 ci fu un primo tentativo di insurrezione che fallì e un mese dopo l’MFA appoggiato da gran parte della popolazione e guidato da Otelo Saraiva de Carvalho organizzò il colpo di Stato decisivo contro il regime, in nome della democrazia, della decolonizzazione e dello sviluppo economico del paese.

Il segnale dell’inizio della Rivoluzione fu dato alla radio: il primo, per prepararsi, era rappresentato dalla canzone “E Depois do Adeus” con la quale, poche settimane prima, Paulo de Carvalho aveva partecipato all’Eurofestival. Un’ora dopo “Grândola, Vila Morena” di Zeca Afonso diede l’inizio alla rivolta.

Dopo il colpo di stato seguì un lungo periodo di transizione in cui i partiti politici di opposizione e l’MFA condivisero il potere. Le libere elezioni per l’Assemblea costituente si tennero nel primo anniversario della Rivoluzione, il 25 aprile 1975, la Costituzione fu approvata poco dopo e il 25 aprile del 1976 si tennero le prime elezioni per l’Assemblea della Repubblica, vinte dai socialisti di Mário Soares che aveva combattuto contro il regime dittatoriale di Salazar prima dalla prigione e poi dall’esilio.