La fatica di proteggere i frutteti dalle gelate
Per farlo vengono usate fiaccole e stufe a pellet, oppure impianti per ricoprire le piante di ghiaccio: entrambi i sistemi devono essere controllati durante la notte per evitare guai peggiori
Dopo un inverno piuttosto mite e un inizio di aprile caratterizzato da temperature molto al di sopra della media, quasi estive, l’inconsueto e improvviso freddo che sta interessando l’Italia rischia di rovinare molte coltivazioni soprattutto nelle regioni del Nord. I più preoccupati sono i coltivatori di mele e in generale di frutta in Trentino-Alto Adige, dove le gelate intense possono danneggiare in modo irreparabile lo sviluppo dei fiori e quindi dei frutti: perdere i fiori a questo punto della stagione rovinerebbe la raccolta e di conseguenza limiterebbe di molto i guadagni. Ci sono diversi modi per prevenire i danni, ma sono tutti faticosi e impegnativi.
Le gelate sono molto temute in primavera perché in questa stagione le piante hanno già sviluppato organi sensibili al freddo, come i fiori o i “frutticini”, come vengono chiamati in botanica i frutti ancora in fase di sviluppo. Negli ultimi decenni questo rischio è progressivamente aumentato non tanto perché ci sono state più gelate, ma perché il riscaldamento globale e in generale il cambiamento climatico stanno causando fioriture precoci più frequenti rispetto al passato. Le attuali basse temperature, insomma, sono un problema perché nei primi quattro mesi dell’anno in Italia sono stati registrati mediamente 2 gradi in più rispetto alla media storica, e per questo molte piante sono fiorite in anticipo. Nelle regioni del Nord questa anomalia è stata segnalata più volte negli ultimi dieci anni: nel 2017, nel 2019, nel 2021, in alcune regioni lo scorso anno e infine negli ultimi giorni.
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A differenza degli ortaggi, che si possono piantare nel periodo migliore rimandando la semina e il trapianto se sono previste gelate, la cura degli alberi da frutto è più complessa. Le varietà più a rischio sono peschi, susini, albicocchi, kiwi, viti, ciliegi e appunto meli.
Una delle tecniche di prevenzione usate in Italia è stata importata dalla Francia e consiste nell’accensione di fiaccole, per far alzare le temperature nei frutteti durante la notte. Oltre alle fiaccole si possono usare piccoli falò, stufette a pellet o candele. È una tecnica utilizzata in Piemonte nella zona delle Langhe, molto rinomata per la produzione di vino, e anche in Trentino-Alto Adige per la protezione delle coltivazioni di ciliegie e di mele.
In provincia di Trento e in Alto Adige è più diffuso il sistema chiamato antibrina. Il procedimento è controintuitivo: le piante vengono bagnate con gli impianti di irrigazione, in questo modo quando la temperatura scende sotto lo zero si crea un sottile strato di ghiaccio che protegge le gemme o i fiori. Il ghiaccio isola la pianta e mantiene la temperatura vicino allo zero, anche quando fuori si abbassa ancora di più.
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Già da qualche giorno gli impianti antibrina sono stati accesi, in particolare in Val Venosta e nella valle dell’Adige. Gli agricoltori si sono mossi dopo l’avviso di gelate emesso dalla fondazione Edmund Mach, un centro di ricerca che si occupa di agricoltura e che analizza i dati di oltre 40 stazioni meteo installate nel territorio. Paolo Calovi, presidente della Confederazione italiana agricoltori (CIA) del Trentino, dice che tutte e due le tecniche sono comunque rischiose e molto faticose per gli agricoltori: «Sia con le fiaccole che con i sistemi antibrina bisogna stare nei campi tutta la notte per controllare che tutto funzioni, altrimenti si possono provocare persino più danni rispetto a quelli di una gelata».
L’irrigazione deve essere leggera e dosata con attenzione. A seconda delle temperature bisogna fare in modo che si crei uno strato di ghiaccio non troppo spesso, altrimenti c’è il rischio di rompere i rami. «Bisogna stare molto attenti: il vento e le temperature vanno controllate costantemente in tutto il frutteto», continua Calovi. «L’acqua deve coprire la vegetazione strato dopo strato, quanto basta per proteggerla. Se si rompe un motore, se si intasa qualche ugello o si blocca qualche diffusore dell’acqua si può compromettere buona parte di questo sistema, che è tutto collegato». Anche le fiaccole, le candele o le stufe hanno bisogno di essere controllate durante la notte, riaccese o ricaricate di pellet, in più sono sistemi più costosi rispetto agli impianti antibrina.
Nelle valli del Trentino si produce circa il 65 per cento delle mele coltivate in Italia. Le tipologie più diffuse nei frutteti sono diverse, ma solo a tre di queste è stato riconosciuto il marchio DOP, la denominazione di origine protetta, cioè quello che attesta che la qualità e il sapore delle mele del luogo dipendono dalle caratteristiche del territorio in cui nascono: la Golden Delicious (mela gialla), la Red Delicious (la rossa con le 5 punte nella parte inferiore) e la Renetta (giallo-verdastra, più rugosa). Le varietà in commercio sono il risultato di una lunga ricerca genetica e selezioni che hanno tenuto conto dell’evoluzione del gusto dei consumatori, del sapore e della forma del frutto, ma anche della sua propensione alla lunga conservazione.
Negli ultimi anni in Trentino-Alto Adige la produzione di mele è sempre stata piuttosto costante, anzi lo scorso anno è cresciuta del 7 per cento in Alto Adige e del 4 per cento in provincia di Trento. Sono però aumentati i costi di produzione, una crescita non del tutto compensata dall’aumento del prezzo al dettaglio, che comunque c’è stato.
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