Il biglietto a pagamento per visitare Venezia funzionerà?
L'obiettivo di limitare il numero di persone che rimangono per poche ore è ambizioso, ma secondo i critici è irrealizzabile introducendo soltanto una nuova tassa
Giovedì 25 aprile le persone che arriveranno a Venezia dovranno pagare un biglietto per entrare nel centro storico: è la prima grande città italiana visitabile a pagamento, una delle prime al mondo. Il biglietto costa 5 euro ed è stato introdotto dal comune in forma sperimentale per tentare di limitare la quantità di turisti italiani e stranieri che ogni giorno arrivano in città e se ne vanno poche ore dopo, senza fermarsi. I cosiddetti “escursionisti” o “daytripper” sono decine di migliaia ogni giorno.
Negli ultimi decenni ci sono state diverse proposte per contrastare la progressiva trasformazione di calli, campi e canali in luoghi a uso e consumo dei turisti, ma nessuna così decisa come quella proposta dall’amministrazione guidata da Luigi Brugnaro. Dal 2022, cioè da quando il comune ha annunciato l’introduzione del biglietto, ci sono state molte discussioni sulla gestione pratica del pagamento e dei controlli, sulle esenzioni, sulla legittimità di un provvedimento così drastico e sulla sua efficacia sul lungo periodo. A molte domande è stata data una risposta, ad altre – alcune delle quali essenziali – non ancora.
Nel 2024 il biglietto sarà obbligatorio nelle giornate più affollate come dal 25 aprile al 5 maggio e nei fine settimana fino al 14 luglio. In totale saranno 29 giorni, ma solo nella fascia oraria che va dalle 8:30 alle 16. Sono esentate dal pagamento le persone che dormono a Venezia in albergo o in b&b, perché pagano la tassa di soggiorno, oltre a molte altre categorie: ovviamente gli abitanti di Venezia, ma anche i loro parenti fino al terzo grado e gli amici, chi lavora in città, le persone con disabilità, le persone convocate dagli uffici giudiziari, chi deve sottoporsi a esami o visite. Dopo un lungo confronto con la Regione sono state esentate anche tutte le persone che abitano in Veneto. Anche le persone esenti, tuttavia, devono registrarsi alla piattaforma messa online dal comune e scaricare un QR Code da mostrare in caso di controlli.
Il sindaco Luigi Brugnaro ha assicurato che non sarà introdotto il numero chiuso: almeno per il momento non è previsto, insomma, che il comune possa imporre un limite al numero di turisti che vogliono visitare Venezia. L’obiettivo del biglietto è piuttosto incentivare le persone a fermarsi in città e scoraggiare le visite di un solo giorno, che hanno un impatto notevole sui servizi e poche ricadute economiche sul commercio. «Questa operazione non è per chiudere una città, non è una caserma», ha detto Brugnaro. «Il primo obiettivo è difendere la città e riuscire a renderla vivibile».
Le conseguenze della turistificazione di Venezia sono state denunciate più volte negli ultimi anni. In due occasioni il comitato World Heritage dell’UNESCO, l’agenzia culturale dell’ONU, ha chiesto di inserire Venezia nella cosiddetta danger list, la lista dei patrimoni mondiali dell’umanità in pericolo. Gli esperti sostengono che Venezia sia in pericolo perché «gli effetti del continuo deterioramento dovuto all’intervento umano, tra cui il continuo sviluppo, gli impatti del cambiamento climatico e il turismo di massa minacciano di causare danni irreversibili all’eccezionale valore universale» della città.
Già prima della pandemia molte associazioni civiche avevano segnalato il progressivo spopolamento del centro storico, dovuto in parte all’impatto del turismo. Nel 2008 fu installato il cosiddetto contaveneziani, un contatore elettronico che mostra il numero aggiornato degli abitanti di Venezia. Lo scorso anno è stato installato anche un contatore dei posti letto per i turisti. Nel 2008 gli abitanti nella città storica erano poco più di 60mila e i posti letto per turisti 12mila, mentre dallo scorso settembre il numero dei posti letto ha sorpassato quello degli abitanti: 49.693 posti letto contro 49.304 abitanti, scesi ulteriormente negli ultimi mesi.
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Secondo Jan van der Borg, professore di economia del turismo all’Università Ca’ Foscari di Venezia che da molti anni studia questo problema, la proporzione tra turisti che pernottano in città e turisti giornalieri dovrebbe essere equilibrata, invece ora gli escursionisti sono l’80 per cento e chi rimane a dormire il 20 per cento. Nelle giornate più affollate si superano ampiamente le 100mila presenze, e anche nei giorni feriali i turisti sono molto più di quanti ne potrebbe sopportare la città.
Nel 2019 van der Borg e alcuni ricercatori del dipartimento di Economia dell’università calcolarono che Venezia potrebbe sostenere al massimo poco più di 40mila visitatori al giorno. «Il problema non sono i picchi, che qualunque città d’arte si trova ad affrontare in determinate giornate, ma il frequente superamento, per almeno 200 giornate l’anno, della capacità di carico massima della città», ha detto van der Borg al Giornale dell’arte. «È questo che la logora e ne cambia la natura, trasformandola appunto in una sorta di parco di divertimenti, allontanando i residenti».
È complicato capire se il biglietto di ingresso riuscirà a riequilibrare questa sproporzione. Van der Borg è scettico per due ragioni: sono state previste troppe esenzioni e il pagamento dovrebbe essere introdotto tutti i giorni dell’anno per avere effetti sul lungo periodo: «Non ha alcun senso ad esempio escludere i veneti, che sono proprio quelli che nel fine settimana calano su Venezia e intasano la città, insieme agli altri turisti stranieri e italiani».
Molti critici considerano il pagamento solo un’ulteriore tassa che garantirà più soldi al comune senza risolvere il problema del sovraffollamento e in definitiva senza incidere sull’organizzazione turistica, commerciale e sociale della città. Oltre alla tassa di soggiorno pagata da chi dorme in città, che di fatto penalizza la categoria di turisti che il biglietto a pagamento vorrebbe agevolare, a Venezia si paga anche la tassa di imbarco aeroportuale, aumentata a febbraio. L’assessore al Bilancio, Michele Zuin, ha detto che il comune non è tenuto a dare nulla o quasi in cambio a fronte di queste tasse: «Lo scopo è gestire i flussi dei turisti, non è un modo di fare cassa facile a loro spese».
Negli ultimi giorni gruppi politici di opposizione e associazioni civiche hanno molto criticato l’introduzione del biglietto a pagamento. Sono state proposte anche diverse strategie per boicottarlo: non mostrare il QR ai controllori, pubblicare QR online per distribuirli a chiunque, anche se non parenti o amici, semplicemente disobbedire non pagando i 5 euro richiesti.
L’Arci (Associazione ricreativa e culturale italiana) del Veneto distribuirà una sorta di passaporto che replica il biglietto di ingresso. Elena Gastaldello, presidente dell’Arci del Veneto, ha detto che l’associazione contrasterà in questo modo il pagamento perché il biglietto, per come è stato pensato, non risolverà il problema del sovraffollamento: «Il ticket non imporrà limiti agli accessi turistici a Venezia, poiché non è stato stabilito un numero massimo di visitatori, ma trasformerà ulteriormente la città in un parco divertimenti. Questa misura non è accompagnata da politiche concrete per lo sviluppo urbano, il contenimento degli affitti e la facilità nel trovare alloggi. Ciò aumenterà il fenomeno dello spopolamento anche tra i residenti poiché, anche se non comporta un costo diretto per i cittadini, rappresenta comunque un ulteriore impegno nella vita quotidiana».
Chi si oppone al pagamento ha rivendicato più volte la libertà di muoversi in uno spazio pubblico come le strade della città: l’articolo 16 della Costituzione italiana e all’articolo 45 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea garantiscono il diritto di circolazione e soggiorno libero su tutto il territorio nazionale e all’interno degli Stati membri. L’ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari ha definito il biglietto una «pura follia, del tutto illegittima, incostituzionale», perché in nessuna città al mondo si paga per entrare.
In realtà, come hanno chiarito diversi giuristi negli ultimi due anni, il provvedimento del comune rispetta i principi della Costituzione in quanto esistono ragioni di pubblico interesse che possono portare a limitare la libertà di circolazione. Le limitazioni devono attenersi a criteri di ragionevolezza e non possono essere sproporzionate: significa che possono essere introdotti pedaggi o tariffe per gestire il suolo pubblico, come quelle in vigore in moltissime città italiane. Nel caso di Venezia, ha spiegato Gian Paolo Dolso, docente di Diritto costituzionale all’Università di Trieste, la misura tutela un patrimonio culturale inestimabile e quindi è del tutto legittima.
Secondo Jan van der Borg Venezia ha perso un’occasione durante gli anni della pandemia, quando la città avrebbe dovuto sfruttare il calo dei visitatori per ripensare il suo modello turistico. Per esempio incentivando un modello più orientato alla qualità che alla quantità, e con qualità van der Borg non intende il turismo elitario di una città accessibile solo a chi ha alte capacità di spesa – in parte alimentato dal biglietto a pagamento – ma un turismo più votato all’ambiente e allo sviluppo sociale. «Quando viene a mancare il rispetto per gli abitanti del luogo, non si può più parlare di tolleranza», ha detto al Giornale dell’arte. «Quindi non si devono andare a vedere i numeri come hanno sempre fatto i ministri del turismo italiano: un più 5% di pernottamenti non è un dato positivo se poi i turisti devastano le montagne o le città. Ci vogliono dati sull’impatto complessivo».
Non è semplice, tuttavia, individuare provvedimenti concreti che aiutino a passare dalla quantità alla qualità. Uno dei modi è intervenire sulle cause dirette del sovraffollamento, per esempio la programmazione dell’offerta culturale che ora concentra gli eventi e le rassegne soprattutto nei mesi estivi. Oppure limitare ulteriormente gli sbarchi delle grandi navi da crociera in alcuni periodi dell’anno.
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