Gli arresti e le proteste nelle università americane per la guerra a Gaza
Da più di sei mesi a Yale, alla Columbia, alla New York University e al MIT, tra le altre, ci sono manifestazioni pro e contro Israele e vari episodi di intolleranza: ne è nato un più ampio dibattito sulla libertà di espressione
Lunedì la polizia statunitense ha arrestato decine di persone che da tre giorni stavano manifestando in favore del popolo palestinese all’università di Yale, nel Connecticut, una delle più prestigiose degli Stati Uniti. Il giornale studentesco Yale Daily News ha scritto che gli agenti hanno bloccato gli ingressi dell’università verso le 6:45 di lunedì (le 12:45 in Italia) e un portavoce di Yale ha detto che tra i manifestanti non c’erano soltanto studenti e laureati, ma anche persone non iscritte all’ateneo. L’università ha scritto in una nota che tra le persone arrestate ci sono anche 47 studenti, e che prenderà provvedimenti disciplinari nei loro confronti.
Nello stesso giorno sono state arrestate decine di persone che avevano partecipato a una manifestazione in favore della Palestina davanti alla New York University (NYU), a Manhattan. La Columbia University, un’altra importante università della città, ha annullato le lezioni in presenza in risposta alle proteste filo-palestinesi che vanno avanti dalla settimana scorsa, quando la polizia aveva arrestato più di 100 studenti che si erano accampati con delle tende nel cortile della scuola. L’università li aveva sospesi e la polizia li aveva arrestati per violazione di domicilio.
Le proteste hanno coinvolto anche il Massachusetts Institute of Technology (MIT), la Tufts University e l’Emerson College, tre università di Boston, in Massachusetts, dove da domenica decine di studenti si sono accampati in tenda davanti agli ingressi dei rispettivi atenei.
Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha criticato le proteste, specialmente quella della Columbia, dicendo che durante il suo svolgimento si sono verificati episodi di antisemitismo contro alcuni studenti ebrei. Gli studenti organizzatori della protesta alla Columbia hanno risposto a Biden dicendo che alcuni degli organizzatori erano ebrei e che fra i manifestanti arrestati c’erano 15 studenti ebrei.
In molte università statunitensi, sia pubbliche che private, le proteste erano cominciate dopo l’attacco di Hamas in Israele dello scorso 7 ottobre. Nei giorni successivi diversi gruppi studenteschi avevano organizzato sia manifestazioni di solidarietà per le famiglie delle persone israeliane e straniere uccise nell’attacco, sia proteste contro le politiche di Israele, che nel frattempo aveva iniziato a bombardare intensamente la Striscia di Gaza. Le tensioni crescenti tra i gruppi, spesso contrapposti all’interno dello stesso campus, avevano generato episodi di intolleranza e minacce la cui responsabilità era stata in parte attribuita all’incapacità delle amministrazioni universitarie di gestire quelle tensioni.
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Per esempio l’8 ottobre, il giorno dopo l’attacco di Hamas, 34 gruppi studenteschi a Harvard avevano pubblicato una lettera poi molto contestata in cui definivano «il regime israeliano interamente responsabile delle violenze in corso» (cinque gruppi hanno poi ritirato la loro firma). La rettrice Claudine Gay era stata criticata per aver condannato pubblicamente le azioni di Hamas solo in un secondo momento, dopo un iniziale comunicato in cui aveva indicato la necessità di «più spazio per il dialogo e l’empatia» nelle università.
Pochi giorni dopo la pubblicazione della lettera, un furgone con un cartellone pubblicitario digitale in giro per Harvard Square aveva mostrato i nomi e i volti degli e delle studenti dei gruppi firmatari della lettera, per una campagna di doxxing (la diffusione online di informazioni private) commissionata da un gruppo conservatore. La grafica della pubblicità era accompagnata dalla scritta: «I più importanti antisemiti di Harvard».
Ci sono stati anche diversi incidenti ed episodi di violenza. A ottobre durante una grande manifestazione filo-palestinese alla Berkeley, un’università californiana, uno studente con una bandiera israeliana era stato colpito con una bottiglietta d’acqua, e nello stesso mese alla Stanford uno studente arabo musulmano aveva detto di essere stato colpito da un SUV mentre camminava all’interno del campus di notte, da un automobilista che era scappato dopo avergli rivolto un’offesa razzista. Altri problemi di sicurezza si erano verificati alla Cornell e alla Columbia, entrambe a New York. Nella prima la polizia del campus aveva sorvegliato la sede del Center for Jewish Living, un centro ebraico in cui vivono alcuni studenti, dopo che su un forum di confraternite universitarie erano state pubblicate delle minacce rivolte al centro.
Le manifestazioni di protesta nelle università, critiche verso la posizione degli Stati Uniti in politica estera, storicamente vicina a Israele, hanno avuto estese conseguenze politiche di cui si è parlato molto negli ultimi mesi. Hanno prima di tutto risollevato la questione della libertà di espressione e dei suoi limiti, da sempre assai discussa negli Stati Uniti e ancora più complessa in un contesto che dovrebbe teoricamente favorire l’esercizio virtuoso di quella libertà e limitare ogni forma di intolleranza.
Le polemiche hanno mostrato inoltre le difficoltà delle università private a difendere determinate scelte senza perdere il sostegno dei loro principali finanziatori. E più in generale il dibattito in corso sta riflettendo e inasprendo divisioni ideologiche presenti già da anni nella politica e nell’opinione pubblica statunitensi.
Le università e l’istruzione negli Stati Uniti sono infatti da tempo un contesto di scontro politico e culturale. Da un lato i progressisti vengono accusati di aderire in modo acritico ai princìpi di sinistra diffusi nelle università prestigiose, e di adottare delle politiche di inclusione inefficaci. Un esempio di queste accuse ha riguardato le cosiddette affirmative action, ossia le politiche sociali di contrasto delle discriminazioni che sono state adottate per più di cinquant’anni da diverse università e che prevedevano un numero minimo di studenti non bianchi tra quelli ammessi. Per anni le affirmative action erano state criticate dai conservatori perché, nonostante le buone intenzioni, finivano per premiare alcune minoranze e danneggiarne altre, e a giugno erano state dichiarate incostituzionali dalla Corte Suprema, la massima magistratura statunitense.
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Dall’altro lato i conservatori sono accusati di strumentalizzare il dibattito e alimentare ipocritamente le paure collettive, incluso l’antisemitismo. Il loro obiettivo, sostengono i critici, è quello di limitare nei luoghi di formazione e istruzione non soltanto il dissenso ma anche le attività e la circolazione di libri e idee che loro stessi disapprovano, limitando di fatto quella libertà di espressione che dicono di voler difendere.