Fare le liste elettorali del PD è sempre un’impresa
A differenza dei segretari precedenti, Elly Schlein ha fatto scelte favorevoli alla minoranza interna, ma è passata comunque per una discussione lunga e turbolenta
Nelle ultime settimane la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein è stata alle prese con la composizione delle liste elettorali per le elezioni europee di inizio giugno. Le decisioni che Schlein ha preso tra sabato e domenica, dopo un lungo periodo di reticenza sulle sue reali intenzioni, hanno infine generato un gran subbuglio dentro al partito, producendo malumori e lamentele non solo nella minoranza interna che fa capo a Stefano Bonaccini, ma anche e soprattutto tra gli esponenti della maggioranza della sinistra del partito che ha sostenuto la candidatura di Schlein al congresso. E non è la prima volta: per comporre le liste elettorali del PD i leader di partito passano sempre attraverso discrete turbolenze, soprattutto perché è un partito che deve tenere insieme e mettere d’accordo diverse fazioni, trovando una sintesi dopo una lunga discussione interna.
Restando al caso più recente, questo subbuglio e queste lamentele hanno avuto come conseguenza di ammorbidire Schlein, che alla fine ha cercato di non scontentare nessuna corrente: anche andando contro alle intenzioni iniziali, di cui si era parlato sui giornali e che in parte aveva annunciato lei stessa.
È almeno da gennaio che l’ipotesi di una candidatura di Schlein alle europee va prendendo consistenza, nell’ottica di uno “scontro diretto” tra la segretaria del PD e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, pure lei intenzionata a candidarsi. Martedì 26 marzo Schlein aveva convocato una segreteria, cioè l’organo esecutivo del partito, e per la prima volta aveva fornito qualche indicazione sulle sue intenzioni. Il responsabile dell’organizzazione del partito Igor Taruffi, uno dei principali consiglieri di Schlein, aveva annunciato che la segretaria si sarebbe candidata in tutte e cinque le circoscrizioni elettorali in cui è suddiviso il territorio italiano per le elezioni europee. Inoltre, Taruffi aveva spiegato che come capilista, cioè i candidati messi in cima agli elenchi di nomi sulla scheda elettorale e che dunque hanno maggiore visibilità e maggiori possibilità di essere eletti, Schlein aveva in mente di proporre cinque donne non iscritte al partito, come per esempio la giornalista Lucia Annunziata.
L’annuncio aveva indispettito la minoranza interna del partito, che lamentava una scarsa rappresentanza dei cosiddetti moderati nelle liste. Dopo settimane di polemiche e di indiscrezioni, domenica è stata convocata nuovamente la segreteria, e subito dopo la direzione nazionale, cioè l’assemblea che definisce l’indirizzo politico del partito. Le liste che sono state definite da Schlein e condivise in direzione, ancora suscettibili di qualche cambiamento, sono in realtà piuttosto diverse da quelle anticipate nei giorni precedenti sui giornali: e rivelano, nel complesso, un approccio che si potrebbe definire inclusivo, perché gli elenchi tengono conto della necessità di accontentare un po’ tutte le correnti, o quantomeno di non scontentarne nessuna
L’idea delle cinque capilista esterne al partito è stata accantonata. Solo nelle circoscrizioni Nord Ovest e Sud il posto privilegiato è stato riservato rispettivamente a Cecilia Strada, figlia di Gino Strada, fondatore di Emergency, e Annunziata. Schlein ha riservato per sé il ruolo di capolista al Centro e nelle Isole; nel Nord Est ci sarà Bonaccini, davanti a quella che Schlein aveva pensato di proporre come capolista, Annalisa Corrado. Inoltre Schlein ha candidato vari esponenti a lei molto vicini: Alessandro Zan sia nel Nord Ovest sia nel Nord Est, Sandro Ruotolo e Jasmine Cristallo al Sud, Eleonora Evi nel Nord Ovest e Antonio Mumolo nel Nord Est, sia pure in posizione meno vantaggiosa.
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La corrente di Bonaccini ha ottenuto, tra gli altri, Irene Tinagli in terza posizione e Giorgio Gori sesto nella lista del Nord Ovest, Antonio Decaro secondo al Sud, Elisabetta Gualmini e Alessandra Moretti quarta e sesta nel Nord Est, e poi, in ordine sparso, Emanuele Fiano e Matteo Ricci, Alessia Morani e Antonio Mazzeo. La segreteria ha accettato persino una candidatura che sabato aveva rischiato di compromettere la trattativa tra le varie correnti: quella di Lello Topo, ex deputato che porta con sé molte preferenze in Campania, sponsorizzato dal presidente della regione Vincenzo De Luca e a lungo malvisto dai collaboratori di Schlein.
Contrariamente a quanto sembrava settimane fa, molti degli europarlamentari uscenti trovano conferma in lista, sia pure in posizione non privilegiata, compresi quelli che di recente avevano espresso perplessità su Schlein, come Pina Picierno. Invece Brando Benifei, capo della delegazione del PD al Parlamento Europeo dal 2019, sarà secondo nel Nord Ovest. Ma un po’ tutte le correnti hanno una discreta rappresentanza. Nicola Zingaretti è secondo in lista al Centro; la sinistra di Andrea Orlando (che ha rifiutato il posto di capolista che gli era stato offerto nel Nord Ovest) e Peppe Provenzano, oltre ad aver contribuito all’iniziativa di candidare Annunziata, ha ottenuto anche la conferma della candidatura di Marco Tarquinio, l’ex direttore di Avvenire per cui Orlando si è speso molto, nonostante le critiche per le sue posizioni sulla guerra in Ucraina, ritenute ambigue da alcuni esponenti del PD. Piero Fassino ha ottenuto la candidatura di Antonella Parigi; Matteo Orfini quella di Giuditta Pini; Dario Franceschini, tra gli altri, quella di Dario Nardella; Enrico Letta quella di Antonio Nicita..
Viste nel loro complesso, le liste mostrano un bilanciamento tra le correnti più vicine a Bonaccini e quelle della maggioranza di Schlein. Molti dei dirigenti della sinistra interna lamentano perfino un eccesso di concessioni da parte della segretaria alla minoranza interna. In effetti alla fine Schlein non ha voluto rotture traumatiche con Bonaccini, che sabato, quando ormai le scelte erano quasi definitive, ha riunito in videoconferenza la sua corrente, Energia Popolare, per rivendicare il successo.
Tutto ciò conferma una specie di tradizione nel PD: la composizione delle liste elettorali si risolve quasi sempre in una baruffa. Nell’estate del 2022 l’allora segretario Enrico Letta fece una trattativa convulsa per ridimensionare la componente renziana del partito, in vista delle elezioni politiche del 25 settembre: ma le pressioni delle correnti crebbero col tempo, e i negoziati si protrassero fino alla direzione conclusiva, convocata a Ferragosto e più volte sospesa nel corso della giornata. Alla fine rimasero esclusi alcuni parlamentari uscenti come Stefano Ceccanti e, soprattutto, Luca Lotti.
Proprio Lotti aiutò Matteo Renzi a comporre le liste elettorali per le politiche del 2018, in quella che venne definita dai giornali «la notte dei lunghi coltelli»: una nottata in cui, nel gennaio 2018, l’allora segretario coi suoi più fidati parlamentari modificò in maniera arbitraria la composizione delle liste per garantire maggiore rappresentanza alla sua corrente. Tra gli esclusi da questo rimaneggiamento delle liste ci furono Marco Sarracino e Peppe Provenzano, entrambi oggi nella segreteria di Schlein, e Marco Meloni, stretto collaboratore di Letta che nel 2022 poté, appunto, prendersi la sua vendetta politica sui renziani. I quali però a loro volta lamentavano i torti subiti quando Pier Luigi Bersani, che nel 2013 era segretario del PD, aveva penalizzato alcuni dei loro nella composizione delle liste elettorali. Insomma, una lunga catena ininterrotta di sgarbi, ripicche, rancori e litigate furiose.
Le liste compilate da Schlein da una parte si distaccano da questa tradizione, perché riconoscono ampia rappresentanza alla minoranza interna, dall’altra hanno comunque portato a rancori e lamentele, stavolta provenienti non tanto dagli avversari interni ma dalla sinistra del partito, più vicina a Schlein stessa.