Il battaglione ultraortodosso israeliano che gli Stati Uniti vorrebbero sanzionare
L'unità dell'esercito israeliano è da anni al centro di accuse di violenze verso civili palestinesi in Cisgiordania: secondo indiscrezioni giornalistiche gli Stati Uniti potrebbero inserirla nelle prossime sanzioni
Sabato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha pubblicamente protestato attraverso i suoi profili social contro la possibile imposizione di sanzioni da parte degli Stati Uniti nei confronti di unità militari israeliane accusate di violazioni dei diritti umani. La notizia che il governo statunitense stesse discutendo delle sanzioni è stata data dal sito Axios e poi ripresa e confermata da fonti proprie anche da vari media internazionali. È stata descritta come «imminente» e se fosse effettivamente presa sarebbe assai rilevante: sarebbe infatti la prima volta che gli Stati Uniti decidono di imporre sanzioni su un’unità militare israeliana, e l’ennesima conferma delle crescenti tensioni tra Israele e Stati Uniti sulla guerra nella Striscia di Gaza.
Netanyahu ha commentato dicendo che le sanzioni sarebbero «il massimo dell’assurdità e della bassezza morale». Non è chiaro ancora di che unità militari si stia discutendo, ma i media di Israele hanno parlato in particolare del battaglione Netzah Yehuda, una controversa unità dell’esercito israeliano composta da ebrei ultraortodossi che fino al 2023 aveva operato principalmente in Cisgiordania. Il battaglione Netzah Yehuda è stato definito dal quotidiano progressista israeliano Haaretz «una specie di milizia indipendente che non rispetta le regole dell’esercito».
Il battaglione è composto da soli uomini di religione ebraica (le donne non possono accedervi) e ha regole particolari che permettono di salvaguardare i principi della religione ortodossa. Negli ultimi anni è stato al centro di numerosi casi di presunte violenze nei confronti di civili palestinesi, che sarebbero alla base delle possibili sanzioni statunitensi. Negli ultimi mesi diversi soldati del battaglione sono stati impiegati anche nelle operazioni a Gaza, prima nel presidio dei confini e poi attivamente nell’invasione della Striscia.
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Gli ebrei ultraortodossi sono esentati dal servizio di leva dalla fondazione di Israele, non sulla base di una legge dello stato ma grazie a una serie di esenzioni religiose emanate dal governo come provvedimenti amministrativi che vengono rinnovati periodicamente. Nel 1999 alcuni appartenenti alla comunità ultraortodossa, anche definita haredi, fondarono un battaglione militare che avrebbe garantito ai soldati il rispetto delle proprie rigide regole religiose, dall’alimentazione strettamente kosher, cioè quello permesso dalle leggi religiose ebraiche, alla salvaguardia di parti della giornata per lo studio della Torah (il libro sacro della religione ebraica).
A partire dal 2009 il battaglione, chiamato inizialmente Nahal Haredi, assunse dimensioni consistenti, arrivando anche a 1000 soldati. Nelle basi del Netzah Yehuda non possono lavorare o entrare donne che non siano mogli dei soldati, e si deve rispettare la rigida separazione fra i sessi imposta dall’interpretazione ultraortodossa della religione ebraica.
Per quindici anni e fino al 2013 il battaglione operò principalmente in Cisgiordania. Secondo analisti militari citati dal Financial Times almeno la metà dei soldati del battaglione provengono dai settori più radicali e di destra dei movimenti nazionalisti ebraici, compreso quello dei coloni che occupano illegalmente zone sempre più ampie della Cisgiordania. Le colonie sono insediamenti che da decenni Israele mantiene e amplia in Cisgiordania, che però è un territorio che secondo gran parte della comunità internazionale appartiene ai palestinesi: per questo motivo sono generalmente considerate illegali, benché Israele lo contesti.
Nel 2022 il dipartimento di Stato statunitense iniziò a indagare su presunte violazioni dei diritti umani da parte del battaglione, che era stato al centro di numerosi episodi di violenza contro civili palestinesi negli anni precedenti. In particolare aveva avuto grande rilievo il caso di Omar Abdelmajed Assad, un uomo di 78 anni con doppio passaporto palestinese e statunitense. Durante un’operazione notturna del Netzah Yehuda nella cittadina dove viveva, Assad era stato ammanettato, imbavagliato e lasciato al freddo per terra fino a quando era stato ritrovato morto alcune ore più tardi, per un attacco di cuore. Tre comandanti dell’unità erano stati riconosciuti colpevoli di “condotta non corrispondente alle regole militari”, ma non era mai stato istituito un processo penale, perché il tribunale militare aveva indicato che non fosse possibile stabilire un legame fra la morte di Assad e le condizioni del suo arresto.
Il caso di Assad fu solo l’ultimo di una serie di violenze denunciate da civili palestinesi. Alcuni mesi dopo, nel dicembre del 2022, fu deciso il trasferimento del battaglione dalla Cisgiordania alle alture del Golan (altopiano di circa 1.800 chilometri quadrati occupato dall’esercito israeliano nel 1967, dopo averlo sottratto al controllo della Siria): ufficialmente la ricollocazione era indipendente dalle polemiche e dalle denunce di violenze.
Le possibili sanzioni statunitensi potrebbero essere legate proprio alle violazioni dei diritti umani in Cisgiordania e si basano su una legge del 1997 che prende il nome dal suo primo firmatario, il senatore Patrick Leahy: prevede che forze di sicurezza, militari e di polizia straniere non possano ricevere alcun tipo di sostegno, economico o di formazione da parte degli Stati Uniti nel caso siano credibilmente ritenute colpevoli di violazioni dei diritti umani.
La Camera statunitense ha approvato sabato lo stanziamento di 26 miliardi di dollari di aiuti militari per Israele, insieme ad aiuti umanitari per la popolazione di Gaza. La legge dovrà ora essere approvata al Senato per entrare in vigore. Secondo i media statunitensi le sanzioni potrebbero arrivare insieme all’approvazione definitiva del finanziamento, anche per rispondere alle critiche dirette contro il presidente Joe Biden e provenienti da sinistra. Vari movimenti e attivisti accusano Biden di un sostegno incondizionato alle politiche del governo israeliano e alla guerra condotta a Gaza, che ha causato oltre 34mila morti fra i palestinesi.