È un gran momento per i gatti di Hollywood
Il miglioramento delle tecniche di addestramento ha permesso di includerli sempre di più in film e serie, anche se rimane difficile fargli fare quello che si vuole
A inizio aprile è uscita su Netflix Ripley, serie ispirata al romanzo Il talento di mister Ripley della scrittrice statunitense Patricia Highsmith, da cui nel 1999 era già stato tratto un famoso film. Finora Ripley è stata recensita in maniera positiva dalla critica che, oltre a esaltare la pulizia della regia di Steven Zaillian e la prova di Andrew Scott (uno degli attori irlandesi diventati molto famosi negli ultimi anni, che nella serie interpreta il protagonista Tom Ripley), ha apprezzato la centralità che nella serie viene attribuita a Lucio, un gatto di razza Maine Coon, il cui vero nome è King.
Zaillian ha raccontato di averlo scelto dopo un lungo processo di selezione, spiegando che la sua presenza svolge un ruolo importante nella serie perché assiste silenziosamente a diversi crimini compiuti dal protagonista. King non è l’unico gatto che negli ultimi mesi si è fatto notare per le sue doti cinematografiche. In autunno per esempio le riviste di settore avevano dedicato una certa attenzione a Goose, il gatto alieno di Carol Danvers (Brie Larson), la protagonista del film dei Marvel Studios The Marvels, interpretato da due gatti di nome Tango e Nemo.
In Argylle, un film di spionaggio uscito a febbraio su Apple TV+, la protagonista Elly Conway, interpretata da Bryce Dallas Howard, è accompagnata in quasi tutte le scene da Alfie, uno Scottish Fold: è interpretato da Chip, che nella vita reale è il gatto della modella e attrice tedesca Claudia Schiffer. Un gatto compare anche nei trailer di A Quiet Place – Giorno 1, il terzo film della popolare saga horror A Quiet Place, che uscirà a giugno.
Il giornalista e critico cinematografico James Hibberd ha scritto sull’Hollywood Reporter che una tale «ondata di rappresentazione felina» è piuttosto insolita per il cinema. Infatti, se i cani hanno iniziato a ottenere dei ruoli importanti nelle produzioni cinematografiche e televisive già dagli anni Cinquanta, anche grazie al successo di film come Torna a casa, Lassie!, fino a non troppi anni fa i gatti diventavano protagonisti soprattutto nei cartoni animati, come Gli Aristogatti, Tom & Jerry, Garfield e Oliver & Company.
Nelle produzioni in live action (quelle interpretate da attori), i gatti erano stati trattati perlopiù come degli oggetti di scena. Comparivano in brevi inquadrature, o al massimo come “accessorio” di un personaggio: da questo punto di vista uno degli esempi più famosi è quello del gatto che Marlon Brando accarezza nella scena iniziale di Il padrino, che nel film compare soltanto per pochi secondi.
Secondo Hibberd, nella storia del cinema i registi hanno inserito i gatti nei film utilizzando tre cliché narrativi: i gatti che saltano fuori all’improvviso per spaventare i protagonisti dei film horror e gli spettatori attraverso la tecnica del jump scare; i gatti che vengono mostrati per pochi secondi per enfatizzare la solitudine dei protagonisti di una commedia (come accade a Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany); e i gatti posseduti da spiriti maligni, presenti in film come Black Cat (Gatto nero) di Lucio Fulci e Il terrore negli occhi del gatto di David Lowell Rich.
Per molti anni, i gatti hanno trovato poco spazio al cinema perché, intuitivamente, sono molto più difficili da gestire sul set rispetto, per esempio, ai cani. È piuttosto difficile far fare a un gatto quello che gli si vuole far fare, e ancora più difficile è far fare a un gatto qualcosa che non vuole fare. È normale insomma che durante le riprese si muovano, o non si muovano, di testa loro, anche nel caso di quelli più addestrati. Di conseguenza, i registi a lungo li hanno fatti comparire soltanto quando strettamente necessario. Una scena piuttosto famosa con un gatto è quella che apre il film di Robert Altman del 1973 Il lungo addio, nella quale il detective Marlowe, interpretato da Elliott Gould, è costretto a uscire a notte fonda per comprargli il cibo in scatola, soltanto per vederselo rifiutato non essendo della marca giusta.
Negli ultimi anni, però, i gatti sono diventati più difficili da ignorare: come ha notato Hibberd, sono diventati parte dello «spirito del tempo». Parlando di quanto siano diventati presenti nell’immaginario collettivo, il regista Matthew Vaughn, che ha diretto Argylle, ha citato l’esempio di Taylor Swift, la cantante più famosa al mondo, che lo scorso dicembre si era fatta fotografare per la copertina della rivista Time insieme al suo gatto Benjamin Button.
Fondamentale, nell’accresciuta presenza di gatti nel cinema e nelle serie, è stato il miglioramento delle tecniche di addestramento, e anche del numero di professionisti in grado di istruirli a compiere le azioni richieste dai registi.
Una di questi è Jo Vaughan. Intervistata da Hibberd, ha raccontato che il processo per addestrare un gatto per un film dura dalle 12 alle 14 settimane, e che in genere i registi scelgono sempre almeno due gatti per interpretare lo stesso ruolo: questo perché, nel caso in cui uno dei due non avesse voglia di girare una scena, l’altro deve essere pronto a sostituirlo. Per esempio, ha utilizzato questa tecnica per addestrare Tango e Nemo, i due gatti che hanno interpretato Goose in Captain Marvel (2019) e The Marvels (2023).
Sia Tango che Nemo non avevano mai recitato prima, e nel loro caso Vaughan ha dovuto «iniziare da zero»: per le prime settimane si è limitata a portarli con sé sul set, per farli abituare ai rumori di fondo della produzione e alla presenza degli attori e del personale. «L’ambiente è un fattore importante perché i gatti sono generalmente animali piuttosto nervosi, quindi devono sentirsi a proprio agio con tutte quelle persone e quei suoni», ha detto in un’intervista a People.
Vaughan ha anche spiegato che la timidezza iniziale della maggior parte dei gatti nei nuovi ambienti è una delle cose che rendono diversissimo il loro addestramento da quello previsto per altri animali, come per esempio i cani. Inoltre, a differenza dei cani, i gatti hanno meno occasioni di socialità con gli esseri umani: «tutti portano il proprio cane a fare una passeggiata o in macchina, nessuno porta i propri gatti da nessuna parte, se non dal veterinario. Per questo motivo, bisogna insegnare loro che tutte queste novità sono positive», ha spiegato Vaughan.
Ci sono anche registi che sottovalutano l’importanza dell’addestramento e che girano le scene immediatamente, senza che il gatto abbia il tempo giusto per abituarsi al set: in quei casi possono succedere diversi imprevisti, perché è molto probabile che il gatto non segua le istruzioni e che la scena debba essere ripetuta più volte.
Le scene in cui i gatti devono fare cose più dinamiche e pericolose, come per esempio saltare da un palazzo, non sono invece un grosso problema: in tutti i casi vengono realizzate utilizzando la CGI (computer-generated imagery, le immagini generate al computer), anche perché generalmente i loro proprietari tengono molto alla loro sicurezza.