In Ecuador si vota un referendum per rafforzare le misure di sicurezza
Lo ha voluto il presidente Daniel Noboa per contrastare le bande di narcotrafficanti, le cui violenze sono aumentate drasticamente negli ultimi anni
Domenica in Ecuador si tiene un referendum nel quale i cittadini potranno esprimersi su 11 quesiti che riguardano principalmente le misure di sicurezza nel paese, dopo che negli ultimi mesi la violenza legata al narcotraffico è aumentata significativamente. Soltanto l’anno scorso in Ecuador ci sono stati 8mila omicidi, quasi il doppio rispetto al 2022, con un tasso di 40 ogni 100mila abitanti.
Il referendum è stato voluto dal presidente Daniel Noboa, ricco imprenditore 36enne, centrista, eletto lo scorso ottobre. Dal suo insediamento le cose sono ulteriormente peggiorate, in particolare tra dicembre e gennaio: ci sono state diverse rivolte nelle carceri e grandi violenze in molte città, culminate nell’assalto armato agli studi della televisione pubblica trasmesso in diretta e oggetto di grandi attenzioni e preoccupazioni in tutto il mondo. Noboa aveva allora dichiarato lo stato di emergenza, indicando 22 bande di narcotrafficanti come gruppi terroristi, e mobilitando l’esercito.
Otto delle undici domande nel referendum di domenica riguardano il rafforzamento delle misure di sicurezza. Chiedono ai cittadini, per esempio, se sono d’accordo che l’esercito pattugli le strade insieme alla polizia o che le persone ecuadoriane condannate possano essere estradate in altri paesi, e propongono pene più dure per i narcotrafficanti e leggi più restrittive sulle armi da fuoco.
Un’altra domanda chiede se l’arbitrato, metodo per risolvere le dispute che non prevede l’intervento di giudici ma di autorità individuate dalle parti coinvolte, debba essere lo strumento da applicare per risolvere le controversie finanziarie internazionali. È una proposta che secondo Noboa renderà l’Ecuador più attraente per gli investitori stranieri, fortemente osteggiata da attivisti e organizzazioni ambientaliste, secondo cui toglierebbe sovranità al paese rendendo più difficile difendersi dalle potenziali cause legali delle grandi società.
Un sondaggio dell’istituto Comunicaliza aveva stimato che il 42,7 per cento degli elettori sostenesse le proposte di Noboa, e che il 27,5 per cento ancora non avesse deciso. Le persone aventi diritto al voto sono circa 13,6 milioni, e in Ecuador, come nella maggior parte dei paesi sudamericani, il voto è obbligatorio per le persone tra i 18 e i 65 anni.
Noboa sostiene il “sì” a tutte e 11 le domande, e dice che le misure proposte sono necessarie per affrontare l’allargarsi delle violenze in maniera strutturale, senza ricorrere di volta in volta a misure emergenziali. Lo stato di emergenza dichiarato a gennaio si è concluso a inizio aprile.
La Confederazione delle nazionalità indigene dell’Ecuador (CONAIE), la più grande organizzazione per i diritti delle persone indigene dell’Ecuador, sostiene invece il “no”, e ha accusato Noboa di voler sfruttare il referendum per rafforzare il proprio potere in vista delle elezioni che si terranno nel 2025 (quelle dell’anno scorso, anticipate, valevano soltanto per un mandato ridotto di 18 mesi). Altri gruppi per i diritti umani hanno detto di temere che le misure possano comportare una deriva autoritaria del governo, come successo in altri paesi interessati dalla violenza dei narcotrafficanti, come per esempio El Salvador.
L’Ecuador è uno dei paesi più violenti del Sud America, soprattutto per la presenza di diverse bande internazionali di narcotrafficanti: si trova infatti tra Colombia e Perù, i primi due produttori di cocaina al mondo. Anche i politici sono stati di frequente oggetto di violenze, tanto che lo scorso agosto Fernando Villavicencio, ex giornalista candidato presidenziale alle ultime elezioni con un programma anticorruzione, fu assassinato durante la campagna elettorale. Dall’inizio dell’anno cinque sindaci sono stati uccisi, l’ultimo dei quali, Jorge Maldonado di Portovelo, soltanto lo scorso venerdì.