La difficile posizione della Giordania
Dopo avere abbattuto droni e missili lanciati dall’Iran verso il territorio israeliano, deve barcamenarsi tra la sua tradizionale vicinanza con gli Stati Uniti e le richieste della sua popolazione palestinese di non schierarsi dalla parte di Israele
Sabato notte l’aviazione della Giordania ha collaborato ad abbattere 170 droni, 120 missili balistici e circa 30 missili da crociera lanciati dall’Iran contro Israele. Alcuni dei droni e dei missili sono stati intercettati nello spazio aereo giordano, e il regno di Giordania è stato una parte per certi versi inattesa dell’alleanza informale che ha difeso Israele, composta anche da Stati Uniti, Regno Unito e Arabia Saudita. In Giordania l’intervento a sostegno di Israele ha causato notevoli polemiche e critiche: un quinto della sua popolazione è palestinese (2,3 milioni di persone), e una porzione ancora maggiore è di origini palestinesi. La monarchia, già oggetto di critiche interne per non aver fatto abbastanza per la causa palestinese, ha detto di aver abbattuto i droni iraniani non per difendere Israele, ma per preservare il proprio spazio aereo. Sui social media però hanno cominciato a circolare fotomontaggi che mostrano Abdullah II, il re giordano, vestito con la divisa dell’esercito israeliano.
La Giordania partecipò a due guerre contro Israele, nel 1948 e nella guerra dei Sei Giorni del 1967, e parzialmente a una terza, la guerra dello Yom Kippur nel 1973. A partire dalla fine degli anni Ottanta i governi dei due paesi si impegnarono in trattative diplomatiche che nel 1994 portarono alla normalizzazione dei rapporti e al riconoscimento di Israele da parte della Giordania.
La Giordania appartiene a un blocco di paesi arabi sunniti che si oppone alle crescenti influenze dell’Iran sciita nella regione (sciismo e sunnismo sono i due principali orientamenti dell’Islam). Allo stesso tempo per ragioni storiche, culturali e demografiche mantiene una radicale opposizione, almeno retorica, alle politiche di Israele e una vicinanza alla causa palestinese. Questa vicinanza non si è sempre tradotta in atti concreti, anche se durante la guerra in corso il governo giordano si è impegnato per favorire l’arrivo di aiuti umanitari. C’è da considerare inoltre che la moglie di Abdullah II, Rania, è nata in Kuwait da genitori palestinesi.
La Giordania è un paese piccolo e relativamente povero, la cui economia dipende in buona parte dagli aiuti degli Stati Uniti e dagli investimenti dei ricchi paesi del Golfo come l’Arabia Saudita. Al tempo stesso la famiglia reale ha una storia secolare e numerosi elementi che la rendono una delle più prestigiose della regione: la dinastia hashemita, cioè la dinastia reale, secondo la tradizione discende direttamente da Maometto.
Formalmente la Giordania è una monarchia costituzionale, ma in realtà il re ha poteri esecutivi e legislativi estremamente ampi. Nomina il primo ministro, il Senato e la Corte costituzionale ed è il comandante in capo dell’esercito. La Giordania è uno dei paesi più stabili della regione, relativamente moderato dal punto di vista religioso e non ostile all’Occidente. Non è un paese davvero democratico: le elezioni (per la Camera) sono solo parzialmente libere, i media e i diritti civili sono limitati.
La Giordania è anche geograficamente molto importante: confina con Israele, la Siria, l’Iraq, e anche per questo ha spesso avuto ruoli diplomatici di grande rilievo. Da tempo si sente minacciata dalla presenza di gruppi filo iraniani in Iraq e Siria e ospita una grossa comunità di esuli palestinesi: le autorità temono che possa crescere ancora in seguito alla guerra in corso nella Striscia di Gaza.
I suoi rapporti con l’Iran sono tesi e conflittuali: nel 2004 il re giordano fu il primo nel mondo arabo a denunciare il pericolo di una «crescente influenza sciita» in Medio Oriente, e nel corso del tempo le autorità giordane hanno condotto azioni mirate a limitare i gruppi filo-iraniani nella regione (anche se in maniera meno intensa di altri paesi). Nei mesi scorsi l’esercito giordano aveva collaborato all’abbattimento di razzi e missili lanciati verso Israele da milizie filo-iraniane che operano in Iraq e in Siria, così come di quelli provenienti dallo Yemen e lanciati dagli Houthi (anche loro alleati dell’Iran).
Particolarmente complesso è il rapporto con Hamas: uno dei primi atti del re Abdullah II quando nel 1999 salì al potere fu espellere gli “uffici politici” dell’organizzazione che si erano spostati in Giordania nel 1990 (oggi sono in Qatar). Da allora non ci sono state aperture, ma diplomaticamente le autorità giordane evitano critiche troppo aperte al gruppo radicale palestinese, che ha un discreto sostegno all’interno della comunità palestinese giordana. Alcune manifestazioni a favore della causa palestinese negli ultimi mesi sono state represse anche in modo violento dalla polizia.
La politica della Giordania sembra mossa principalmente dall’opposizione all’Iran e dalla collaborazione con gli Stati Uniti: dal governo statunitense ottiene aiuti militari ed economici, ospita basi militari americane con centinaia di soldati e ha recentemente richiesto di ottenere anche il sistema antimissilistico Patriot. Allo stesso tempo la Giordania ha l’obiettivo di mantenere il Medio Oriente stabile e “in pace”.
L’opposizione all’Iran e la comune appartenenza al gruppo sunnita hanno avvicinato la Giordania all’Arabia Saudita, con cui per anni aveva avuto un rapporto stretto ma a volte turbolento. Il matrimonio fra il principe ereditario giordano Hussein e Rajwa Alseif, che fa parte di una delle più ricche e influenti famiglie dell’Arabia Saudita, sembra aver dato inizio a una nuova fase. L’Arabia Saudita sta vivendo una fase di avvicinamento e distensione diplomatica con Israele (al momento su un piano non ufficiale e rallentato dalla guerra a Gaza). Sono posizioni simili a quelle giordane, ma con mezzi economici assai superiori, che potrebbero usati anche per garantire un sostegno alla causa palestinese: i paesi del Golfo si sono già offerti di finanziare la ricostruzione di Gaza nel dopoguerra.
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